Il tempo si è fermato (1959) Regia di
Ermanno Olmi. Scritto da Ermanno Olmi e Carlo Bellero. Fotografia di
Lamberto Caimi. Interpreti: Natale Rossi, Roberto Seveso, Paolo
Quadrubbi. Durata: 100 minuti
Siamo in montagna, sul cantiere di una
diga; è inverno, c'è neve dappertutto e non si può lavorare. A
controllare i lavori rimangono solo due persone, due operai,
praticamente isolati dal mondo se non fosse per un telefono, una
teleferica e una radio. L'anno è il 1958, la montagna è
sull'Adamello, diga del Venerocolo. Uno dei due operai, due montanari
esperti, ha finito il suo turno e sta tornando a casa; si salutano e
quello che rimane si dispone ad aspettare l'arrivo del turnista
subentrante, il Pedrazzini. Ma c'è una sorpresa: il Pedrazzini non
c'è perché sua moglie ha avuto un bambino, e al suo posto arriva un
ragazzo molto giovane, uno studente lavoratore, uno di città. Questo
film di Ermanno Olmi, che segnerà il suo debutto nel cinema
importante con un lungometraggio, racconta dell'incontro fra il
"vecchio" montanaro e il giovane cittadino: ma è meglio
lasciar parlare lo stesso Olmi, che racconta la nascita del film in
una bella intervista disponibile qui on line:
Conversazione con Ermanno Olmi, di
Tatti Sanguineti
Olmi: (....avevo girato) tanti
documentari, tutti ambientati nel mondo del lavoro, e naturalmente
poi l'interesse si focalizzò soprattutto sulla presenza degli uomini
nelle attività lavorative (...) la scoperta del mondo di queste
valli che erano rimaste isolate, direi da secoli, rispetto ai grandi
centri dove avveniva tutto ciò che si considerava progresso;
improvvisamente in queste valli incominciarono a suonare sirene e a
rombare motori, e arrivarono le attrezzature per costruire questi
monumenti giganteschi, ciclopici, che erano le dighe che sbarravano
l'intera valle (...) Gli abitanti di queste valli si sono sentiti
improvvisamente investire dal progresso, lì dove per secoli non si
era mosso nulla. Quell'umanità conservava in quegli anni un dato
distintivo rispetto all'umanità delle città. Direi che nelle valli
vedevi l'uomo nella sua accezione più alta, l'uomo in rapporto con
la Natura, l'uomo in rapporto con i problemi della sopravvivenza
(...) lì si aveva bisogno solo dell'essenziale. Nelle città del
dopoguerra, a Milano, c'era già il boom economico (...) Volevo
rappresentare l'uomo come era prima che avvenissero tutti questi
grandi cambiamenti (...) mettevo vicino queste due generazioni perché
avvertivo, allora forse inconsapevolmente o non con la consapevolezza
di oggi, che quella era una linea storica di demarcazione: finiva
un'era dell'uomo e ne cominciava una nuova. Direi che addirittura il
mondo industriale, cominciato con il Ballo Excelsior all'inizio del
secolo, non ha segnato così il processo di mutamento storico della
società a venire. Nell'ultimo dopoguerra è finito l'Ottocento ed è
cominciato il Duemila. (...) sento che quella è proprio una data di
nascita, di questo nuovo mondo che oggi vediamo poi esprimersi
attraverso tecnologie di immensa raffinatezza, allora assolutamente
inimmaginabili (...)
(Conversazione con Ermanno Olmi, a
cura di Tatti Sanguineti, Cineteca di Bologna)
E' un'intervista molto bella, dura 23
minuti e Olmi continua raccontando il silenzio dopo il fermo del
cantiere, l'enorme quantità di neve, l'immobilità, le figure minime
degli uomini nel cantiere deserto. Un film sulla pausa, dopo i rumori
delle macchine e l'andirivieni dei lavoratori dei mesi precedenti; ed
è nella pausa che emergono le differenze prima non avvertibili.
C'erano tutti i motivi per cui queste due persone non si
conoscessero: d'estate, con il cantiere aperto, non si sarebbero
nemmeno parlati, ma ora i due cominciano a scoprirsi e a
riconoscersi. Olmi dice ancora che "il tratto preciso del film è
che pur nella diversità ci si può intendere" e sottolinea la
presenza di uno studente lavoratore, figura tipica degli anni '50 e
'60: molti figli di operai si sono laureati così, perché altrimenti
non avrebbero potuto pagarsi gli studi. E' molto bello anche il
discorso sulle pellicole cinematografiche e sul montaggio
cinematografico; alla fine Olmi decide di girare in Cinemascope, cioè
nel formato dei kolossal, per dare il giusto risalto al panorama e
alla diga e anche perché all'inizio pensava di fare un documentario,
ma si era accorto che il piccolo formato dei documentari, nelle sale
cinematografiche, veniva penalizzato nella proiezione. Dopo il
Duemila, girando "Cantando dietro i paraventi", Olmi si
dichiarerà entusiasta delle nuove tecnologie e anche questa può
essere una sorpresa per chi non conosce Ermanno Olmi se non
attraverso luoghi comuni e stereotipi nati dalla pigrizia di chi
scrive di cinema con superficialità. Per quanto mi riguarda, trovo
l'analisi di Olmi sul Novecento molto migliore di quelle del tipo "il
secolo breve", che si occupano solo di guerre e di ideologie:
Olmi coglie il momento vero del cambiamento (nei primi anni '60
arrivano anche le materie plastiche e l'elettronica), e indica un
altro cambiamento epocale che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Sta
scomparendo il lavoro manuale, sempre meno persone sono in grado di
fare lavori con le proprie mani, e ce ne accorgiamo quando c'è
bisogno di un idraulico o di un muratore; e stanno scomparendo anche
le persone, un lavoratore vale ormai pochissimo in termini economici,
le macchine hanno tolto spazio e lavoro agli umani, e stiamo facendo
di tutto per non vederlo.
In anni passati mi ero segnato queste
righe di appunti su "Il tempo si è fermato":
- Un Olmi del 1959, un film che avrei
voluto scrivere io. Anche se può apparire ormai datato, è un film
che apre il cuore; bisogna proprio dirlo, Olmi non è un regista come
tanti altri, è un poeta del dettaglio e la sua grandezza va cercata
nei particolari minimi, e nella scelta dei luoghi e degli attori.
Natale Rossi, per esempio, me lo ricorderò, anche perché di persone
così belle e semplici ne ho conosciute anch’io, e mi dispiace che
siano di una razza in via d’estinzione. (maggio 1993)
- "Il tempo si
è fermato" racconta di neve e solitudine, ma non è
"Shining": è il mondo del lavoro e delle persone buone e
semplici, dei lavoratori; sono le persone che mandano avanti il mondo in cui viviamo, in silenzio, anche con sacrifici personali, mentre gli altri si mettono in vista e non fanno niente, o fanno solo confusione. E' grazie alle persone come Natale Rossi (il "vecchio" del film) se viviamo in un mondo confortevole, ma purtroppo di Natale Rossi ne sono rimasti ormai pochissimi. Visto dopo tanti anni, è sempre molto
bello; sembra a tratti un film di Disney degli anni '50, dove il
cucciolo chiassoso irrompe nella vita dell'uomo maturo, l'uomo
silenzioso, il montanaro paterno e un po' bambino ancora nell'anima,
in soggezione verso il ragazzo "che ha studiato" e che
veste abiti di marca, non fatti in casa. Ricorda un po', quindi,
anche il "Balthasar" di Robert Bresson, dove c'è
l'irruzione della radiolina nel silenzio del tempo di Pan, il rumore
elettronico (qui è un disco di Celentano) che interrompe una quiete
ancestrale, però questo è un film buono con una storia positiva. Mi
sono divertito anche nel vedere Natale Rossi, nell'attesa che arrivi
il Pedrazzini (non arriverà, gli è nato un figlio) giocare
schizzando acqua sulla stufa, come facevo anch'io quando avevamo in
casa una stufa simile (un gesto ritrovato, dimenticato da tempo). Per
un ragazzo di città, sulla neve si va per sciare; per un montanaro
gli sci servono per spostarsi nella neve; ed anche questa è una
differenza notevole, della quale abbiamo dimenticato tutto. Film da
conservare con cura, molto amato, della mia stessa età, girato
sull'Adamello, diga del Venerocolo. (anno 2014)
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