venerdì 10 gennaio 2020

Come sono buoni i bianchi


Come sono buoni i bianchi! (1988) Regia di Marco Ferreri. Scritto da Rafael Azcona, Marco Ferreri, Evelyne Pieiller, Cheik Doukouré. Fotografia di Angel Luis Fernandez Musiche di Mozart, Verdi, ritmi e musiche africane (vedi lista) Interpreti: Michele Placido, Maruschka Detmers, Sotigui Kouyaté, Nicoletta Braschi, Michel Piccoli, Jean François Stevenin, Juan Diego, Katoucha Niane, e molti altri. Durata: 98 minuti
 
"Come sono buoni i bianchi" di Marco Ferreri è del 1988, e vede un gruppo di cinque camion partire per il Sahel carico di beni alimentari per i bambini africani, pasta e pomodoro soprattutto. Un'ottima idea, ma l'organizzazione non è delle migliori e i collaboratori locali (bianchi e neri, europei e africani) si rivelano inaffidabili. Inoltratisi nel deserto, da un certo momento quasi perduti ma sempre in contatto radio con il campo base, incontrano già la guerriglia islamica, i Fratelli Musulmani che stanno arrivando anche nelle residue zone animiste, ma in qualche modo riescono sempre a cavarsela, anche se la missione umanitaria difficilmente andrà a buon fine. Non sappiamo se il carico dei camion arriverà a destinazione, ma assistiamo alla lenta e contrastata nascita di un amore, quello tra un camionista (Michele Placido) e una giovane donna del gruppo (Maruschka Detmers). L'inizio è dei peggiori: la ragazza olandese si trova in mezzo ad entusiasmi "pasoliniani", molto rustici (del tipo di quelli che si vedono nei film di Pasolini sui borgatari romani: "ahò, ci sono le donne!"), però poi il viaggio è lungo e le difficoltà uniranno la coppia. "Come sono buoni i bianchi" è però stretto parente di "Il seme dell'uomo" (sempre Ferreri, nel 1969): quando la coppia nasce e si intravvede un futuro, ecco la catastrofe beffarda.
 

La carovana dei benintenzionati, tutti un po' fessi, è la perfetta rappresentazione non del 1988 ma dell'oggi: non abbiamo una percezione reale dei nostri bisogni, pensiamo che siano importanti cose che non lo sono affatto, e non siamo pronti alla rivelazione dell'inutilità di gran parte degli oggetti e delle usanze quotidiane che ci portiamo dietro. E non è l'Africa il luogo, Ferreri ci stava depistando: è qui da noi il deserto, navighiamo nel nulla. Il Sahel è solo un pretesto, una metafora. Non ci sono più punti di riferimento, non sappiamo cosa stiamo facendo (solo i neofascisti lo sanno bene, e credono perfino di essere furbi) e quale è la nostra meta; si va avanti pieni di buone intenzioni, ma questo non basta. Il carico dei cinque camion che vediamo nel film potrebbe essere la religione, la cultura, la musica, la morale, il lavoro... ma tutto è perduto a causa della nostra insipienza. L'attore mediocre che impersona il principe azzurro potrebbe essere il simbolo di tutta l'impresa, una rappresentazione molto realistica dell'odierna classe dirigente, dei pubblicitari e dei venditori al governo: una cazzata, come avrebbe detto lo stesso Ferreri, ed è a tutti gli effetti una cazzata quella che ci rappresenta, nel film, davanti agli africani. In questo contesto, la cultura occidentale (o quel che ne resta) verrà spazzata via, mangiata, fagocitata, ridotta in cenere e in merda; ne rimarrà solo un filmino. Abbiamo ancora speranze di raddrizzare la situazione, ma non è facile: i rischi principali sono due, la perdita della memoria storica (vedi il risorgere di nazifascismo e razzismo) e l'uso della violenza, guerra inclusa.
 

Gli attori: protagonisti Michele Placido e Maruschka Detmers, attrice olandese all'epoca molto famosa anche per motivi non precisamente artistici. Nel film avrebbe dovuto recitare Roberto Benigni, che però non fu disponibile durante il tempo delle riprese in Marocco; ed è facile pensare che il suo ruolo sarebbe stato quello del "principe", che in effetti ha mantenuto una scena con Nicoletta Braschi. Il capo della spedizione è Juan Diego, l'esploratore Peter è Jean François Stevenin; Katoucha, top model guineana, è la modella che ha un flirt con Michele Placido. Nel cast ci sono molti attori spagnoli e africani, più o meno tutti scelti da con cura da Ferreri per sembrare quasi incolori, inconsistenti, figurine disegnate e ritagliate e non veri personaggi. Lo si capisce bene quando arriva in scena, nel finale, Sotigui Kouyaté: che invece è un vero e grande attore, una presenza che non passa inosservata. Sotigui Kouyaté (1936-2010) di origini maliane e bourkinabé, è stato un grande attore di teatro, attivo in Francia soprattutto con Peter Brook, che lo scelse per ruoli importanti nel Mahabharata e nella Tempesta di Shakespeare. Ferreri sceglie proprio lui, grande attore di teatro e grande presenza scenica, perché Kouyaté è un Capo, un vero capo, una presenza vera e di grande spessore. Non è un negro qualsiasi quello che ci fa trovare Ferreri alla fine del viaggio, non è un cannibale da filmetto, è una figura imponente e tragica, e questo deve far pensare.


Nel cast c'è anche Michel Piccoli, che interpreta un frate missionario senza speranza, che pensa solo di tornare in Europa (in Bretagna) ed è lui l'altra chiave del film, la nostra religione perduta, una sconfitta che arriva dalla superficialità e dall'ignoranza: non del frate, ma di chi avrebbe dovuto aiutarlo e assisterlo. Molto più facile, rispetto al Cristo in croce, seguire ideali di guerra e conquista; ed è quello che incontrano i nostri protagonisti nel corso del film, africani guerrieri e islamisti armati, e un capotribù che lascia via libera nei suoi territori dopo il dono di pile per ascoltare la radio: è un animista, ma con la radio vuole ascoltare la propaganda dei Fratelli Musulmani, è solo per quello che la usa ed è facile prevedere che presto entrerà anche lui in guerra. Nel cortile della sua città, tre europei in catene: sono drogati o trafficanti di droga, uno è già morto.

 
Altri appunti presi durante la visione: 1) un film come "Le miniere di re Salomone", ma alla rovescia 2) "Il tè nel deserto" di Bertolucci, per la scena di Placido con il drogato incatenato e il villaggio nel deserto. 3) "Il seme dell'uomo" di Ferreri, ma con un finale ancora più pessimista 4) i guerrieri islamisti, c'erano già trent'anni fa. 5) il re (padre della modella) vuole le pile per la radio: vuole ascoltare i Fratelli Musulmani, è stanco dell'animismo 6) il missionario stanco riceve minacce e percosse perché è cristiano, la madre del ragazzo morto gli impedisce di benedire la salma 7) Michele Placido ha una videocassetta con un film di antichi romani, forse Ben Hur, e si commuove a una scena d'amore. 8) nel corso del film, quasi tutti arrivano a chiedersi "ma io cosa ci faccio qui", e a sperare in un rapido ritorno a casa. I bambini che dovevano essere destinatari dei doni non si vedono, lo scenario che hanno davanti è tutt'altro. 9) il capo tribù, all'arrivo nell'oasi, chiede ai due rimasti perché hanno sporcato l'acqua. L'acqua è preziosa, nel deserto. 10) Come nel "seme dell'uomo", davanti alla balena spiaggiata, anche stavolta Ferreri mette in evidenza la fragilità delle nostre nozioni, crediamo di sapere ma invece non abbiamo esperienza reale della vita. Il pensiero corre, oggi come nel 1988, a chi invece va ad operare come volontario in zone di guerra e di malattia, e sa bene cosa sta facendo. A tutti loro la mia stima e la mia solidarietà, probabilmente loro capiranno il fastidio di Ferreri davanti a questi nostri discorsi sul nulla.
 

Le musiche del film: Maruschka Detmers sul camion ascolta Mozart, nei titoli di coda si accenna a due quartetti, in re e in la, con Severino Gazzelloni al flauto; probabilmente si tratta di uno dei K285 e del K370. Come nel "Seme dell'uomo" Ferreri mette Verdi, il coro dall'atto terzo del Nabucco: i componenti della spedizione cantano "Va' pensiero", o meglio ci provano, quando arrivano all'oasi.
Le altre musiche, prese dai titoli di coda: Ritmi flokloristici marocchini (Tisnit); Antro Padre (A. Castillo); Tam tams - ritmi africani (Cisse Fode); Mudaa matchang (Jacob Diboum); Lion child (A.A. Tamba Kyata); Burnin' fire is burnin' my soul (Guy Eyoum)




Nessun commento: