Come sono buoni i bianchi! (1988) Regia
di Marco Ferreri. Scritto da Rafael Azcona, Marco Ferreri, Evelyne
Pieiller, Cheik Doukouré. Fotografia di Angel Luis Fernandez Musiche
di Mozart, Verdi, ritmi e musiche africane (vedi lista) Interpreti: Michele Placido, Maruschka Detmers, Sotigui Kouyaté,
Nicoletta Braschi, Michel Piccoli, Jean François Stevenin, Juan
Diego, Katoucha Niane, e molti altri. Durata: 98 minuti
"Come sono buoni i bianchi"
di Marco Ferreri è del 1988, e vede un gruppo di cinque camion
partire per il Sahel carico di beni alimentari per i bambini
africani, pasta e pomodoro soprattutto. Un'ottima idea, ma
l'organizzazione non è delle migliori e i collaboratori locali
(bianchi e neri, europei e africani) si rivelano inaffidabili. Inoltratisi nel deserto,
da un certo momento quasi perduti ma sempre in contatto radio con il
campo base, incontrano già la guerriglia islamica, i Fratelli
Musulmani che stanno arrivando anche nelle residue zone animiste, ma
in qualche modo riescono sempre a cavarsela, anche se la missione
umanitaria difficilmente andrà a buon fine. Non sappiamo se il
carico dei camion arriverà a destinazione, ma assistiamo alla lenta
e contrastata nascita di un amore, quello tra un camionista (Michele
Placido) e una giovane donna del gruppo (Maruschka Detmers). L'inizio
è dei peggiori: la ragazza olandese si trova in mezzo ad entusiasmi
"pasoliniani", molto rustici (del tipo di quelli che si
vedono nei film di Pasolini sui borgatari romani: "ahò, ci sono le
donne!"), però poi il viaggio è lungo e le difficoltà
uniranno la coppia. "Come sono buoni i bianchi" è però
stretto parente di "Il seme dell'uomo" (sempre Ferreri, nel
1969): quando la coppia nasce e si intravvede un futuro, ecco la
catastrofe beffarda.
La carovana dei benintenzionati, tutti
un po' fessi, è la perfetta rappresentazione non del 1988 ma
dell'oggi: non abbiamo una percezione reale dei nostri bisogni,
pensiamo che siano importanti cose che non lo sono affatto, e non
siamo pronti alla rivelazione dell'inutilità di gran parte degli
oggetti e delle usanze quotidiane che ci portiamo dietro. E non è l'Africa il
luogo, Ferreri ci stava depistando: è qui da noi il deserto,
navighiamo nel nulla. Il Sahel è solo un pretesto, una metafora. Non
ci sono più punti di riferimento, non sappiamo cosa stiamo facendo
(solo i neofascisti lo sanno bene, e credono perfino di essere furbi)
e quale è la nostra meta; si va avanti pieni di buone intenzioni, ma
questo non basta. Il carico dei cinque camion che vediamo nel film
potrebbe essere la religione, la cultura, la musica, la morale, il
lavoro... ma tutto è perduto a causa della nostra insipienza.
L'attore mediocre che impersona il principe azzurro potrebbe essere
il simbolo di tutta l'impresa, una rappresentazione molto realistica
dell'odierna classe dirigente, dei pubblicitari e dei venditori al
governo: una cazzata, come avrebbe detto lo stesso Ferreri, ed è a
tutti gli effetti una cazzata quella che ci rappresenta, nel film,
davanti agli africani. In questo contesto, la cultura occidentale (o
quel che ne resta) verrà spazzata via, mangiata, fagocitata, ridotta
in cenere e in merda; ne rimarrà solo un filmino. Abbiamo ancora
speranze di raddrizzare la situazione, ma non è facile: i rischi
principali sono due, la perdita della memoria storica (vedi il
risorgere di nazifascismo e razzismo) e l'uso della violenza, guerra
inclusa.
Gli attori: protagonisti Michele
Placido e Maruschka Detmers, attrice olandese all'epoca molto famosa
anche per motivi non precisamente artistici. Nel film avrebbe dovuto
recitare Roberto Benigni, che però non fu disponibile durante il
tempo delle riprese in Marocco; ed è facile pensare che il suo ruolo
sarebbe stato quello del "principe", che in effetti ha
mantenuto una scena con Nicoletta Braschi. Il capo della spedizione è
Juan Diego, l'esploratore Peter è Jean François Stevenin; Katoucha,
top model guineana, è la modella che ha un flirt con Michele
Placido. Nel cast ci sono molti attori spagnoli e africani, più o
meno tutti scelti da con cura da Ferreri per sembrare quasi incolori,
inconsistenti, figurine disegnate e ritagliate e non veri personaggi.
Lo si capisce bene quando arriva in scena, nel finale, Sotigui
Kouyaté: che invece è un vero e grande attore, una presenza che non
passa inosservata. Sotigui Kouyaté (1936-2010) di origini maliane e
bourkinabé, è stato un grande attore di teatro, attivo in Francia
soprattutto con Peter Brook, che lo scelse per ruoli importanti nel
Mahabharata e nella Tempesta di Shakespeare. Ferreri sceglie proprio
lui, grande attore di teatro e grande presenza scenica, perché
Kouyaté è un Capo, un vero capo, una presenza vera e di grande
spessore. Non è un negro qualsiasi quello che ci fa trovare Ferreri
alla fine del viaggio, non è un cannibale da filmetto, è una figura
imponente e tragica, e questo deve far pensare.
Nel cast c'è anche Michel Piccoli, che
interpreta un frate missionario senza speranza, che pensa solo di
tornare in Europa (in Bretagna) ed è lui l'altra chiave del film, la
nostra religione perduta, una sconfitta che arriva dalla
superficialità e dall'ignoranza: non del frate, ma di chi avrebbe
dovuto aiutarlo e assisterlo. Molto più facile, rispetto al Cristo
in croce, seguire ideali di guerra e conquista; ed è quello che
incontrano i nostri protagonisti nel corso del film, africani
guerrieri e islamisti armati, e un capotribù che lascia via libera
nei suoi territori dopo il dono di pile per ascoltare la radio: è un
animista, ma con la radio vuole ascoltare la propaganda dei Fratelli
Musulmani, è solo per quello che la usa ed è facile prevedere che
presto entrerà anche lui in guerra. Nel cortile della sua città,
tre europei in catene: sono drogati o trafficanti di droga, uno è
già morto.
Altri appunti presi durante la visione:
1) un film come "Le miniere di re Salomone", ma alla
rovescia 2) "Il tè nel deserto" di Bertolucci, per la
scena di Placido con il drogato incatenato e il villaggio nel
deserto. 3) "Il seme dell'uomo" di Ferreri, ma con un
finale ancora più pessimista 4) i guerrieri islamisti, c'erano già
trent'anni fa. 5) il re (padre della modella) vuole le pile per la
radio: vuole ascoltare i Fratelli Musulmani, è stanco dell'animismo
6) il missionario stanco riceve minacce e percosse perché è
cristiano, la madre del ragazzo morto gli impedisce di benedire la
salma 7) Michele Placido ha una videocassetta con un film di antichi
romani, forse Ben Hur, e si commuove a una scena d'amore. 8) nel
corso del film, quasi tutti arrivano a chiedersi "ma io cosa ci
faccio qui", e a sperare in un rapido ritorno a casa. I bambini
che dovevano essere destinatari dei doni non si vedono, lo scenario
che hanno davanti è tutt'altro. 9) il capo tribù, all'arrivo
nell'oasi, chiede ai due rimasti perché hanno sporcato l'acqua.
L'acqua è preziosa, nel deserto. 10) Come nel "seme dell'uomo",
davanti alla balena spiaggiata, anche stavolta Ferreri mette in
evidenza la fragilità delle nostre nozioni, crediamo di sapere ma
invece non abbiamo esperienza reale della vita. Il pensiero corre,
oggi come nel 1988, a chi invece va ad operare come volontario in
zone di guerra e di malattia, e sa bene cosa sta facendo. A tutti
loro la mia stima e la mia solidarietà, probabilmente loro capiranno
il fastidio di Ferreri davanti a questi nostri discorsi sul nulla.
Le musiche del film: Maruschka Detmers
sul camion ascolta Mozart, nei titoli di coda si accenna a
due quartetti, in re e in la, con
Severino Gazzelloni al flauto; probabilmente si tratta di uno dei
K285 e del K370. Come nel "Seme dell'uomo" Ferreri mette
Verdi, il coro dall'atto terzo del Nabucco: i componenti della
spedizione cantano "Va' pensiero", o meglio ci provano,
quando arrivano all'oasi.
Le altre musiche, prese dai titoli di
coda: Ritmi flokloristici marocchini (Tisnit); Antro Padre (A.
Castillo); Tam tams - ritmi africani (Cisse Fode); Mudaa matchang
(Jacob Diboum); Lion child (A.A. Tamba Kyata); Burnin' fire is
burnin' my soul (Guy Eyoum)
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