Tutti i Vermeer a New York (All the Vermeers in New York, 1990) Scritto e diretto da Jon Jost. Fotografia di Jon Jost (luce naturale). Musica: Bay Area Jazz Composers Orchestra. Interpreti: Stephen Lack (Mark), Emmanuelle Chaulet (Anna), Grace Philips (Felicity), Katherine Bean (Nicole), Gracie Mansion (la gallerista), Gordon J. Weiss (il pittore), Laurel Kiefer (la collezionista) Durata: 87’
Tre ragazze che si dividono l’affitto in un appartamento può sembrare un’idea poco originale, già vista e rivista; ma “All the Vermeers in New York” non è un film banale. Non so dire se sia perfettamente riuscito, ma la parte visiva è notevole, e la recitazione degli attori (tutti) è molto superiore alla media. Il film vive per sequenze, a scatti, e alcuni episodi (quello della gallerista, all’inizio) sembrano non avere molto a che fare con la storia principale, ma nel complesso il risultato è stilisticamente omogeneo, e nel complesso io sono contento di aver visto questo piccolo film.
Una parte della critica ha fatto il nome di Rohmer (e da Rohmer viene la sua protagonista, la francese Emmanuelle Chaulet), però qui siamo proprio a New York, e la grande città americana si fa sempre sentire quando viene chiamata in causa. Il film è girato in luce naturale, senza riflettori, con sequenze molto belle sia in interni che in esterni, con panoramiche mozzafiato sui grattacieli e sul mare. Appena può, negli interni, Jost va a cercare la luce di Vermeer: una luce che viene da sinistra, orizzontale, molto particolare. Qualche riferimento, nella storia, si può cercare anche in “Morte a Venezia”, sia Thomas Mann che Luchino Visconti: qui l’ambientazione è diversa e si tratta dell’attrazione di un quarantenne verso una ragazza di vent’anni, ma il paragone ci può stare.
Un appartamento a New York, e tre ragazze che vi abitano. Ambiente alto, la proprietaria è Felicity, figlia di un signore facoltoso. La prima che incontriamo è Nicole, che studia da cantante d’opera e fa strani esercizi vocali. I musicisti sono fatti così, vanno avanti ore e ore a provare le stesse cose, magari un vocalizzo o tre battute, sempre le stesse: possono essere estenuanti, e infatti le altre due ragazze cominciano a non poterne più della nuova inquilina (Nicole è lì da poco). Felicity e Anna vanno molto d’accordo, Anna è francese e spera di diventare attrice.
Ci spostiamo negli uffici di un operatore di Borsa, sui quarant’anni, un tipo tosto e molto deciso, che sembra molto preso nel suo lavoro, così preso che non gli rimane molto tempo per altre cose. Tra le altre cose, come vedremo, c’è una grande passione per l’arte: nel tempo libero va volentieri al Metropolitan Museum. Più avanti ci dirà che a New York ci sono otto Vermeer: cinque al Met e tre al Frick.
Ma adesso siamo nell’ufficio della gallerista Gracie Mansion, che sta discutendo con un giovane artista di nome Gordon. Il motivo della discussione è presto detto: Gordon vuole un anticipo, molto consistente, e la gallerista non ne vuole sentir parlare. Eppure ha appena venduto 13 quadri di Gordon: ma sono serviti per pagare le spese della Galleria, risponde la Mansion. Arriva una cliente importante, una bella donna di nome Ariel, e Gracie mette alla porta Gordon. Il pittore, esasperato, stacca uno dei suoi quadri dalla parete per portarselo via; mentre sta uscendo viene sorpreso dalle due donne. Intuendo che forse c’è del denaro in arrivo, si ferma; inventa una scusa lì per lì (devo fare un ritocco) e se ne va con la bella cliente. Non ho mai capito il motivo dell’inserimento di questa scena nel film, il pretesto è quello di mostrare Felicity nel suo ambiente di lavoro (è la segretaria di Gracie Mansion); si tratta comunque di una scena molto ben fatta e ben scritta, quasi un piccolo film dentro il film, e sarei stato curioso di sapere cosa è successo a casa di Gordon, alle prese con la sua bellissima ammiratrice: ma Jost si ferma qui, peccato.
E finalmente siamo al Metropolitan, davanti ai quadri di Vermeer. Lì troviamo Anna, e dietro di lei Mark, il nostro agente di Borsa. C’è una lunga sequenza dentro al Museo, con molti dettagli e un bel jazz in colonna sonora. Alla fine, davanti a un Vermeer, Mark attacca discorso con la ragazza che lo guarda sorpresa; lascia un biglietto tra le dita di Anna, che si allontana ma non butta via il messaggio.
Lungomare di New York. Mark passeggia lungo il parapetto che reca una lunga scritta patriottica; sta andando all’appuntamento con Anna. Anna gli ha infatti telefonato, ma per precauzione, dovendo vedere uno sconosciuto, si è portata dietro Felicity. Sono tutte e due sedute ad un tavolino di un bar; Anna sta dicendo a Felicity che deve far credere all’uomo che lei parla solo francese, e che quindi Felicity dovrà far finta di tradurre quel che lei le dirà all’orecchio. Mark si presenta con un bel mazzo di fiori, non si aspettava Felicity ma è un uomo di mondo e si adatta subito. Comincia il giochino dell’interprete: lui le dice che lei somiglia al quadro e che è bellissima (Anna è carina, ma è una ragazza come tante e non somiglia al Vermeer). Cominciano le domande: è sposato? No, non è sposato. Che lavoro fa? Che macchina ha? Mark è preparato, ha studiato da tempo e sa la risposta esatta: due macchine, un 4x4 Subaru e una BMW.
Torniamo nell’appartamento, dove Anna legge le pagine di Proust sulla Veduta di Delft; poi troviamo ancora Anna e Felicity in un locale di lusso, forse la suite di un albergo, dove Felicity incontra suo padre. Il papà di Felicity è molto ricco, ma Felicity ha molti dubbi sulla sua ricchezza. Si tratta di investimenti etici? Ha forse interessi nelle armi, aiuta il terzo mondo? La discussione avviene davanti a Anna, anche se Felicity non vorrebbe, la francese dice che a lei non dispiace stare a sentire quando si parla di economia. E’ ancora un colloquio a tre, ma la situazione è rovesciata rispetto a quella di prima. Adesso è Felicity ad essere imbarazzata mentre Anna è curiosa anche se fa finta di niente; e ancora un uomo più anziano di loro sta parlando e solo una di loro è coinvolta emotivamente.
Terrazza panoramica, molto in alto; si vede tutta New York. Anna è con Mark, ha accettato un secondo appuntamento. A Mark non piace essere così in alto, dice che si sentiva già piccolo e insignificante quand’era di sotto. E la gente che va e viene, là sotto: sembra un formicaio, si sente ancora il rumore delle sirene delle ambulanze. E’ disgustoso stare qui, conclude.
Nell’appartamento, le due amiche affrontano finalmente Nicole, che sta vocalizzando da ore sulla parola “sweet”: le rimproverano anche di essere molto sciatta.
Anna è a casa di Mark, al terzo appuntamento. Mark straparla di Europa, di gotico, di Notre Dame e di Vermeer. Anna è molto brava a rendere l’idea della donna che sta ferma e aspetta che l’uomo faccia qualcosa, una situazione molto frequente. Ha l’aspetto imbarazzato, ma forse è una posa; intanto l’uomo (educatissimo) è costretto a parlare, inevitabilmente parla di lavoro e dei numeri che è costretto a leggere tutti i giorni, che si sfoga solo nell’arte, eccetera. Sembra una storia ormai logora, ma c’è una sorpresa: Anna confessa di avere un problema, non ha i soldi per pagare l’affitto. Vuole dei soldi? Quanto le serve? Tremila dollari, dice Anna. Mark si alza, li prende da una busta e glieli dà. E’ molto deluso, ma non lo dà a vedere. La scena successiva vede Anna e Felicity. Anna, sul lungomare, dice a Felicity che vuol tornare in Francia, che le manca il suo ragazzo, che ha paura di perdere se stessa e di diventare una di quelle attrici che pensano solo ai soldi. Felicity le dice: vengo anch’io.
Nell’ufficio di Mark, assistiamo a un crollo in Borsa: scena molto lunga e dettagliata. Mark ha perso un sacco di soldi, i suoi clienti protestano. Lui torna al Met e si ferma davanti alla "bambina malata" di Vermeer (cioè la ragazza con l'orecchino, che lui vede in quel modo), quella che secondo lui assomiglia ad Anna. Il finale è triste, non lo racconto anche per rispetto verso chi non ha visto il film. Il film si chiude su un lungo primo piano della "bambina malata" di Vermeer, mentre Anna parla di karma e di reincarnazione.
Dopo la visione, rimane una sensazione piacevole. “Tutti i Vermeer a New York” probabilmente non è un capolavoro, ma è un film che merita di essere visto e ricordato; Jost è uno di quei nomi che mi ero segnato sull’agenda e che speravo facesse molti bei film in seguito, ma così non è stato. Di film ne ha girati molti, come si può vedere su www.imdb.com, qualcuno l’ho anche visto; da quel che ne so, pare che pochi siano rimasti memorabili. Non so bene se e perché Jost si sia perso per strada, però dispiace sempre quando capita.
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