Dillinger è morto (1969). Regia di Marco Ferreri. Sceneggiatura di Marco Ferreri e Sergio Bazzini. Fotografia di Mario Vulpiani. Musiche originali di Teo Usuelli, e molte canzoni. Con Michel Piccoli, Anita Pallenberg, Annie Girardot, Carole André. Durata 95 minuti.
Per una di quelle strane coincidenze che la vita ci mette davanti a ogni momento, mi sono trovato a rivedere “Dillinger è morto” (un film di Marco Ferreri girato nel 1968) proprio nel giorno in cui i giornali davano la notizia di un terribile fatto di cronaca: un commercialista veneto, benestante se non ricco, aveva appena ucciso la moglie e i tre figli piccoli, di notte. Una strage, e un suicidio, senza una causa apparente: i vicini ne erano sconvolti, non sapevano cosa pensare.
Ho ripreso la visione del film il giorno dopo, e l’ho fatto con una buona dose di angoscia. La storia narrata è infatti molto simile: quantomeno, il protagonista del film di Ferreri (un grande Michel Piccoli) uccide una sola persona, di notte, nel sonno. Quest'uomo ha una moglie, o la compagna che sia (nel film non è specificato) che è giovane e bellissima, e abita in una casa bellissima e piena di oggetti raffinati, non ha problemi economici, è in ottima forma fisica, ha un ottimo lavoro. Non occorre tirare in ballo talenti profetici o la vecchia storia dell’artista che vede e prevede: fatti come questo succedono e sono sempre successi, e purtroppo negli ultimi anni hanno avuto un’accelerazione spaventosa. Ci sono periodi in cui quasi ogni giorno siamo assaliti da queste notizie, e tendiamo sempre a rimuovere: come è giusto, perché bisogna pur andare avanti e perché la vita non è fatta solo di cose brutte.
Mi sono guardato anche le interviste sul dvd: una è con Sergio Bazzini, autore della sceneggiatura del film, che dice alcune cose interessanti e altre un po’ meno. Viene da pensare, ascoltando Bazzini, che il film sia tutto di Ferreri e che l’aiuto gli sia servito per rendere il film più scorrevole; ma forse non è così, perché Bazzini dice anche alcune cose che fanno riflettere. Lo sceneggiatore inserisce il film nell’anno in cui fu girato, il 1968, e parla del rapporto fra uomini e donne; e sono temi interessanti che riprenderò più avanti, ma per adesso mi fermo a un particolare che sembra essere sfuggito un po’ a tutte le critiche che ho letto, ed è ben strano che sia sfuggito visto che Ferreri ce ne parla quasi in ogni scena.
Il particolare è questo: che oltre ai protagonisti “umani” che vediamo nel film, gli attori, ce ne è un altro, ed è la pistola. Una vecchia Colt, che Michel Piccoli trova per caso in un armadio, avvolta in un giornale del 1934 che dà la notizia dell’arresto del gangster Dillinger. Anzi, due giornali: uno di Chicago e uno italiano, “Il Messaggero”. La pistola è avvolta e impacchettata con cura, Michel Piccoli la discopre con gesti chiari e precisi, usando un taglierino di pregio la cui lama viene ogni volta rimessa in posizione di sicurezza: è un gesto automatico di quelli che si fanno quasi senza pensare, non sia mai che qualcuno si possa fare del male. La vecchia Colt è un po’ ossidata, Piccoli la pulisce con cura, la olia per bene e la rimette in funzione: impiega una notte intera per farlo e noi lo seguiamo passo passo, mentre fa questa e altre attività.
In questa notte, Piccoli fa molte cose: appena tornato a casa saluta la bellissima moglie (Anna Pallenberg), molto più giovane di lui, che ha un po’ di mal di testa e preferisce stare a letto; si fa da mangiare e si dimostra un cuoco sopraffino; guarda i filmini delle vacanze in Spagna; fa l’amore con la domestica (una Annie Girardot molto in forma). Insomma, tutte attività normali e condotte da una persona assolutamente a posto, gentile e premurosa: a parte l’evidente insonnia, niente si può dire sulla condotta e sulla personalità del personaggio interpretato da Michel Piccoli. Sarebbe una notte come tante altre, se non ci fosse la pistola. Ma adesso la pistola c’è, e verrà usata.
Stilisticamente, questo è un film grandioso. Oserei dire che sfiora la perfezione: eppure è un film a bassissimo costo, girato in poco più di un mese.
L’appartamento che vediamo apparteneva al pittore Mario Schifano, la cucina è quella di Ugo Tognazzi: due cari amici di Ferreri. Ci sono pochi movimenti di macchina, niente effetti speciali a parte la meravigliosa fotografia di Mario Vulpiani: ma il risultato è di quelli favolosi, e al film dedicherei volentieri molti altri post.
Dopo la tragedia, il protagonista lascia la casa e lo ritroviamo al mare, a Portovenere, alla Grotta di Byron: è un finale che ha fatto molto discutere, e anche scandalizzare. Ma come, si diceva e si dice, uno fa un delitto così e poi se ne va via tranquillamente? Appunto, viene da dire: è un finale così irreale che non può essere stato messo lì per caso. Il finale vero, e non può essere diversamente, è quello che sappiamo dalla cronaca dei fatti reali simili a quello raccontato dal film: il protagonista è morto, e tutto quel rosso nel quale Ferreri avvolge le ultime inquadrature del film, con quel sole vistosamente falso ad accompagnare la barca a vela verso Tahiti, parla chiaro. Non è certo verso il “sol dell’avvenire” di cui parla Bazzini che sta veleggiando il meraviglioso veliero sul quale Michel Piccoli si è imbarcato come cuoco: è piuttosto “a slow boat to China”, una metafora marinaresca che sta a indicare un’altra cosa, solo che Ferreri ha cambiato la Cina con una meta ancora più favolosa, la Polinesia.
Come si diceva, la vera protagonista è la pistola. Se non ci fosse stata questa vecchia Colt da film western, una pistola a tamburo, verso mattina Michel Piccoli se ne sarebbe andato a dormire: prima o poi un po’ di sonno sarebbe venuto anche a lui. Invece, la pistola c’è e le cose vanno diversamente. La pistola c’è e si fa trovare: è lei che comanda il gioco, e così va anche nella vita reale. Va anche ricordato il mestiere di Michel Piccoli nel film: un ingegnere o un designer, che si occupa di armi e di armamenti. All’inizio del film lo vediamo infatti assistere al collaudo di una maschera antigas da lui disegnata, e poi in ufficio mentre sfoglia riviste di forniture belliche.
Al di là di questi discorsi davvero cupi, va detto che il film non è invecchiato in niente, perfino gli oggetti oggi non più d’uso sembrano come nuovi; ed è pieno di spunti, alcuni davvero sorprendenti. Prima di tutto, l’uso della luce e delle musiche, di cui bisognerà parlare a parte; e la grande quantità di oggetti e di immagini che si vedono nel film, davvero sorprendenti. E la recitazione degli attori, tutti molto naturali e molto al di sopra della media a cui siamo abituati: ma con Ferreri questa non è certo una novità. La cosa che più mi ha sorpreso, mentre lo sceneggiatore Bazzini parlava del film in chiave “femminista”, un mondo senza donne e una presunta misoginia di Ferreri, è la presenza di così tanti rimandi al mondo mitologico, un mito molto antico.
Non so quasi nulla di Marco Ferreri, a parte il fatto che studiò veterinaria senza laurearsi: ma qui sono presenti simboli antichi e ancora molto potenti, di quelli che lavorano ancora sottoterra – cioè nel nostro inconscio – e che rappresentano conflitti ancora irrisolti. C’è una sequenza centrale molto eloquente, che è quella del filmino della vacanze con la corrida in Spagna: e sembrerebbe una cosa perfino banale, la Spagna e la corrida in una vacanza dei primi anni Sessanta. Invece il Toro è simbolo di religioni antiche, molto antiche: il Toro minoico, la leggenda del Minotauro, il culto della Dea Madre a Creta, a Malta, in tutto il Mediterraneo. Lasciando casa, nel finale, il protagonista va a tuffarsi nel mare, un mare aperto senza segni di civiltà; quando sale sulla nave, vi prende il posto di un morto; al collo ha un diadema e un collare che rimandano ad ori simili trovati a Creta, o magari in Egitto o tra i Maya. E, sulla barca, incontra una donna molto giovane di una bellezza quasi risplendente (la interpreta Carole André), alla quale dà il diadema. Una sequenza di simboli e di rimandi (dall’antica Creta alla Grecia classica, dall’Egitto dei faraoni all’America precolombiana) che dà perfino i brividi.
E’ dunque un conflitto fra il maschile e il femminile, ma non nel senso della nostra vita quotidiana. Siamo dalle parti del sogno, del mito, dell’inconscio, del ciclo morte-rinascita; mai Ferreri avrebbe fatto un finale così, con un assassino che va via in quel modo, se avesse voluto fare un finale realistico... Ferreri non è uno dei tanti registi di splatter che vanno di moda oggi: anche la scena dell’omicidio è molto soft, potrebbe quasi passare inosservata. Quella che non passa inosservata è la invece fisicità di Michel Piccoli, molto sottolineata, addirittura ricercata: la fisicità di chi è abituato a stare all’aria aperta, al sole, nel mare. E anche questo è tutt’altro che un dettaglio.
Ma mi rendo conto di aver fatto troppi discorsi complicati, e allora chiudo con un’immagine sorridente e con la citazione di una delle sequenza più belle del film: tra i filmini che Michel Piccoli guarda in questa notte (ne ho messo un fotogramma qui sopra) ce ne è uno di Maria Perego, un gioco con le mani davvero sorprendente, una danza magica e leggera come avrebbe potuto essere tutto il film, se non fosse apparsa quell'arma pericolosa.
2 commenti:
Anche questo è uno di quei film che ho visto circa dieci anni fa ma di cui ricordo ancora molti dettagli. Sarà l'atmosfera insolita e quasi surreale (la pistola dipinta a pallini), l'assurdità di tutta la vicenda, l'interpretazione di Piccoli... Non conosco molto Ferreri, ma forse vale la pena di approfondire il suo cinema.
Ferreri è grande ma anche molto (volutamente) disturbante. Un po' come capita con Fellini, che molti non amano per gli stessi motivi: però Fellini è fondamentalmente una persona tranquilla, buono e gentile; Ferreri è spietato. Magari sbagliava qualche film, ma andava sempre al cuore dei fatti. Il metodo più anticommerciale che esista: eppure negli anni '70 la gente andava a vedere i suoi film, ricordo benissimo le discussioni su "L'ultima donna".
Oltre a tutta questa mia tirata, va detto che questo "Dillinger" è tutto da vedere, le immagini sono una splendide e sono sicuro che aggiungerai la Girardot e la Pallenberg alla lista delle tue preferite (per tacere di Carole André!)
:-)
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