The state of things (Lo stato delle cose, 1982) . Regia di Wim Wenders. Scritto da Wim Wenders, Robert Kramer, Josh Wallace. Fotografia di Henri Alekan e di Fred Murphy. Musiche originali di Jürgen Knieper. Canzoni: The Del Byzanteens (Jim Jarmusch), Joe Ely, David Blue , The X. Interpreti: in Portogallo: Patrick Bauchau (il regista), Paul Getty III (lo scrittore), Viva Auder (la sceneggiatrice), Sam Fuller (il direttore della fotografia), Isabelle Weingarten (Anna), Rebecca Pauly (la violinista), Jeffrey Kime (Mark), Geoffrey Carey (Robert, il buffo), Alexandra Auder e Camilla Mora (le bambine), Artur Semedo (addetto alla produzione), Francisco Baiao (tecnico del suono), Robert Kramer (operatore alla macchina). a Los Angeles: Allen Goorwitz (Gordon), Roger Corman (un avvocato) Gisela Getty (segretaria) Monty Bane (l’autista di Gordon) Janet Rasak (ragazza nell’auto) Judy Mooradian (cameriera) . Durata: 125 minuti
Un film di fantascienza, dove i sopravvissuti ad una catastrofe tentano disperatamente di porsi in salvo dalle radiazioni, con tute improvvisate e occhiali a fessura orizzontale. Persone giovani, uomini e donne, due bambine, in marcia attraverso la natura ostile: vi ricorda qualcosa?
Questi sono i primi dieci minuti di “Lo stato delle cose”; poi la pellicola per girare il film finisce, non ci sono più soldi, bisogna interrompere le riprese. Cosa è successo? Il produttore dove è finito? Cosa si fa adesso?
E’ una storia vera: nel 1982 la compagna di Wenders, Isabelle Weingarten, è in Portogallo, sul set di “Le territoire”, un film del regista cileno Raul Ruiz. Ma Ruiz (un regista che amo moltissimo, detto en passant) rimane senza soldi e senza pellicola, e solo con l’aiuto di Wenders, che gli procura il materiale necessario, riesce a finire il film.
Rimasto sul set, quando le riprese del film di Ruiz sono terminate, Wenders ha l’idea di continuare questa storia in cui è capitato per caso. Eredita il cast del film di Ruiz, attori e tecnici compreso il direttore della fotografia, il leggendario francese Henri Alekan, e comincia a girare partendo proprio dalla situazione che ha trovato al suo arrivo in Portogallo, improvvisando e scrivendo giorno per giorno la sceneggiatura: così come aveva fatto in “Nel corso del tempo” e in “Alice nelle città”.
“Lo stato delle cose” prosegue così: una volta che è emersa la verità, e cioè che il film di fantascienza per ora non si può continuare, segue una situazione di stallo nella quale i personaggi sembrano girare a vuoto in attesa di novità. Si vorrebbe continuare, andare avanti con il lavoro iniziato; ma non è una situazione che dipenda dalla volontà della troupe, l’andare avanti o il tornare a casa dipende unicamente da fattori esterni. Non sembri una situazione strana, noiosa: questo è un film da vedere, molto bello ma difficilmente raccontabile. E le situazioni di stallo, in cui sembra non accadere niente, sono il soggetto principale di molti film e di molti romanzi tra i più belli.
Se ci fate caso, è una situazione che capita spesso anche nella nostra vita; ed è la materia di molti romanzi di Joseph Conrad, una lunga attesa che non dipende da noi, durante la quale non si sa cosa fare, perché prima o poi qualcosa dovrà succedere, e qualsiasi decisione si prenda potrebbe essere quella sbagliata. Penso che sia da questo che deriva il grande fascino del film, che di per sè – fino a questo punto – non sta raccontando alcuna storia. Un vero e proprio stallo, come in “Linea d’ombra” o in “The end of the tether”, o nelle lunghe sequenze di “Cuore di tenebra” dove si naviga risalendo il fiume, e dove sembra non succedere niente. (Per chi non se lo ricorda, al cinema “Cuore di tenebra” è come dire “Apocalypse now”).
«Un film deve avere una storia», dirà Gordon alla fine, quando è ormai chiaro che il film non si farà. «Se non hai una storia sei morto... » E ironizza pesantemente sul bianco e nero voluto dal regista: un produttore che si fa convincere a fare un film in bianco e nero, negli anni ’80...Bisogna proprio essere diventati pazzi per essersi imbarcati in una simile avventura: un regista tedesco, e un film in bianco e nero...
« Oh boy, you must have been a dog in another life»: «Ragazzo mio, tu devi essere stato un cane in un’altra vita. Hai una faccia da cane: basta che guardi qualcuno... Tu vuoi solo farmi sentire in colpa.» Così dice Gordon, il produttore fallito, al regista Fritz, a 1h40’ dall’inizio. “Fritz”, che è interpretato dall’attore belga Patrick Bauchau, sta per Friedrich Munro: che suona un po’ come Friedrich Murnau, il grande regista tedesco autore di “Aurora” e di “Nosferatu”. E’ solo uno dei tanti rimandi, dei piccoli suggerimenti per lo spettatore attento inseriti da Wenders nel film.
La struttura del film è molto simile a quella di Apocalypse now (cioè “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad), con Allen Goorwitz-Gordon al posto di Marlon Brando-Kurtz, e lo stallo invece della navigazione lenta, con i mafiosi alla ricerca del produttore fallito, persone pericolose che incombono ma che non si vedono mai, come gli indios di “Aguirre furore di Dio” (tutto si tiene: “Aguirre”, girato da Werner Herzog nel 1972, fu il modello dichiarato per molte sequenza del film di Coppola).
Raccontando “Lo stato delle cose” il nome di Francis Ford Coppola salta fuori da tutte le parti: il regista del “Padrino” e di “Apocalypse now” in effetti c’entra molto, perché era lui il produttore del film che Wenders fu costretto a interrompere per un anno (“Hammett-Indagine a Chinatown”) per ragioni indipendenti dalla volontà del regista, e da quell’interruzione forzata nacque l’idea per “Lo stato delle cose”. La storia completa è questa: Wenders è a Hollywood per girare “Hammett”, che però ha dei problemi evidenti. Quello che è stato girato non soddisfa, c’è molto da rivedere e da ripensare. Il produttore, che è Coppola, decide di fermare tutto e far riscrivere la sceneggiatura; il film verrà terminato, ma nel frattempo c’è una pausa di sei mesi in cui Wenders torna in Europa, e non sa ancora cosa succederà. Alla fine, questo stallo durerà un anno: poi Wenders tornerà a Hollywood da Coppola e finirà il film.
Tornando a “Lo stato delle cose”, quando il fallimento è chiaro, ed è chiaro che il film di fantascienza che avevamo visto all’inizio non si farà più, Gordon e Fritz diventano davvero amici. Questo è il finale del film, o meglio: è la sequenza che precede il finale del film. Il finale di “Lo stato delle cose” è girato magnificamente, una sequenza da antologia del cinema, e non va raccontato.
“Lo stato delle cose” è anche un film sul cinema, e riprende (ma in modo molto diverso) il tema di “Otto e mezzo” di Fellini: ha ancora senso fare del cinema, è ancora possibile raccontare storie? Il buffo del film, interpretato dall’attore Geoffrey Carey, prima della partenza per Hollywood, ancora in Portogallo, aveva detto al regista Fritz che “una vita senza storie è una vita molto triste”. E un discorso sull’argomento, un po’ improvvisato e sconclusionato, lo aveva tentato lo stesso Fritz poco prima della partenza per Los Angeles, nel tentativo di spiegare qualcosa alla sua troupe.
Di quel discorso, una delle attrici (Isabelle Weingarten) prende un appunto: «Stories only exist in stories (where as life goes by without the need to turn into stories)» Storie che esistono solo nelle storie, mentre la vita scorre nel corso del tempo senza bisogno di creare delle storie o di manifestarsi in storie.
Come già accadde per “Nel corso del tempo” e per “Alice nelle città”, due dei film più belli di Wenders, non è un film di cui si possa raccontare molto: i dialoghi sono pochi, la parte visiva è molto bella, tutto ruota intorno ai luoghi, alle emozioni, e alle persone che fanno parte del film.
Aggiungo, se può essere utile a qualcuno, che questo è uno dei miei film preferiti, e che l’ho rivisto molte volte sempre con grande piacere. E’ anche un film girato con grande piacere, sul set attori e troupe si trovavano in pieno accordo, e si nota molto: dopo l’esperienza a Hollywood, alla corte di Coppola con “Hammett”, qui Wenders riscopre il piacere di lavorare con una piccola troupe e in un ambiente piacevole, con gente appassionata e competente; è il definitivo ritorno al metodo usato in “Alice nelle città” e “Nel corso del tempo”, che porterà ai capolavori immediatamente successivi, “Paris Texas” e “Il cielo sopra Berlino”.
2 commenti:
Decisamente uno dei film migliori di Wenders, per lo meno per la mia risonanza con l'importanza data alla "situazione di stallo", al tempo intermedio dove il prima si è esaurito o bloccato e il dopo non si intravede ancora. E' comunque un momento pericoloso, dove la tentazione di trovare una qualche soluzione, pur di uscire presto dalla crisi, è sempre in agguato e ci vuole una grande pazienza e capacità di reggere la frustrazione e non fare errori. Non a caso questo tipo di film è molto impopolare. La maggior parte degli spettatori li trova "lenti, noiosi..."e preferisce decisamente film d'azione, dove gli eventi si susseguono rapidamente senza dare alcuna pausa in cui si corra il rischio di riflettere. L'accelerazione costante che ha preso il sopravvento in ogni aspetto del nostro ambiente sta minando profondamente la capacità di attraversare una crisi (qualsiasi essa sia e che la vita comunque ci ripresenta) e ci si butta sempre più spesso alla cieca in scappatoie offerte dal "mercato"(divertiti,fa un viaggio,trova subito un'altra persona...).
Il "nuovo" in realtà ha sempre una lenta e misteriosa "gestazione" e gli artisti, che inevitabilmente attraversano crisi creative lo sanno bene e ne danno testimonianza.
Tra i rimandi agli altri registi mi piace pensare al Truffault di "Effetto notte", uno dei primi (mi sembra) che ha fatto un film nel film e in cui i momenti di sospensione e di ripensamento sono notevoli. Ed è comunque un regista che amo molto. Mi sembra che non te ne sei ancora occupato. E' previsto?
Sì, sono film bellissimi (anche Kubrick, non solo quelli di Wenders) con un grave difetto: non sono adatti ad essere interrotti dagli spot. E' per questo che sono del tutto spariti, perché c'è ancora molta gente che ama vedere film diversi dal solito spara-insegui-sesso-streghe-medium...
Ehm, no, Truffaut... So che qui divento impopolare io, ma l'unico film di Truffaut che mi piace è "Il ragazzo selvaggio", l'ho rivisto parecchie volte e il post è anche già pronto.
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