L'ORA DEL LUPO (Vargtimmen, 1967) Regia, soggetto e sceneggiatura: Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist. Musica: Mozart, Il flauto magico. Musiche originali di Lars Johan Werle. Interpreti: Liv Ullmann (Alma Borg), Max Von Sydow (Johan Borg), Ingrid Thulin (Veronica Vogler), Erland Josephson (barone Von Merkens), Gertrud Fridh (Corinne von Merkens), Bertil Anderberg (Ernst von Merkens), Gudrun Brost (Gamla von Merkens), Georg Rydeberg (Lindhorst), Ulf Johannsson (Heerbrandt), Naima Wifstrand (la vecchia col cappello), Lenn Hjortsberg (Kreisler), Mikael Rundqvist (il ragazzo), Folke Sundqvist (Tamino, nello spettacolo di marionette). Durata: 90'
L’ora del lupo è nella notte, poco prima dell’alba. E’ un’ora particolare: Ingmar Bergman soffriva d’insonnia, io no (per fortuna), però la vita mi ha portato a fare i turni di notte in fabbrica, per 15 anni. Non che il lavoro fosse pesante, ma il turno di notte è tutta una cosa diversa dal lavoro normale: molti non lo sanno, ma gli incidenti peggiori – da Cernobyl a Three Miles Island, la lista completa è molto lunga – sono spesso avvenuti proprio in quell’ora lì, l’ora del lupo, fra le tre e le cinque del mattino.
Mi stupisce sempre la leggerezza e la stupidità dei nostri dirigenti (politici e capi del personale, capi piccoli e grandi) davanti alla facilità con la quale discettano di questi argomenti. Una volta il mio capo (ahimè, una donna) ebbe a dire, parlando del lavoro a turni: «Sì, ti alzi alle cinque del mattino, ma poi hai tutto il pomeriggio libero». Come se il sonno, il dormire e il non dormire, fosse una cosa senza importanza: gli incidenti peggiori sono dovuti al sonno, le statistiche (quelle serie) parlano chiaro e sono impressionanti.
E dunque l’ora del lupo la conosco anch’io, mio malgrado: i demoni arrivano per davvero, proprio come spiega Bergman in questo film. Che è il più impressionante, con “Sussurri e grida”, tra quelli del grande regista svedese: dopo aver visto questi due film, è davvero difficile prendere sul serio un qualsiasi horror o thriller girato da altri.
E’ un film così difficile e personale che rinuncio a parlarne: è un capolavoro e va visto, ma con le dovute precauzioni. Qualcosa di simile lo ricordo in alcune tavole di Guido Crepax (che di Bergman era un grande appassionato), forse in Dürer; ma qui tutto è davvero realistico e quotidiano, il disagio e l’orrore sono reali. Posso dire ancora che Liv Ullmann vi appare molto bella e molto giovane, che Max von Sydow è straordinario, che tutti gli attori sono eccellenti, e che Sven Nykvyst fotografa tutto a livelli di perfezione assoluta; e che uno dei momenti magici del film è una breve rappresentazione di un momento del “Flauto Magico” di Mozart, a metà film.
Per il resto, lascio volentieri la parola a Ingmar Bergman, che di questo film parla molto a lungo nei suoi libri. Ho tagliato molte parti, per rispetto al diritto d’autore ma anche e soprattutto perché ci sono pagine che avrei preferito non leggere: lo dico come avvertenza, e forse bisognerebbe mettere qualche segnale nei libri quando si arriva a certi livelli di durezza.
Ingmar Bergman, da “Lanterna magica” (ed. Garzanti)
(...) Per alcune estati, io e Käbi prendemmo in affitto una casa nell'arcipelago, sulla costa settentrionale dell'isola di Ornö. (...) Käbi era incinta e le era venuta una malattia innocua ma estremamente fastidiosa: viene chiamata restless legs e provoca una smania alle ginocchia e alle dita dei piedi, così che il malato è spinto a tenere le gambe in continuo movimento. La notte è il momento peggiore, l'insonnia è totale. Käbi, che ama lamentarsi per ogni sciocchezza, sopportò la sua sofferenza con pazienza, leggendo lunghi romanzi russi. Faceva interminabili passeggiate su e giù per la casa addormentata. A volte s'assopiva mentre camminava, quando si risvegliava si rendeva conto d'aver fatto cose di cui non si era resa minimamente conto. Una notte fui svegliato di colpo da un gran fracasso e un urlo di terrore. Käbi era distesa ai piedi delle scale, s'era addormentata camminando ed era caduta a testa in giù. Se la cavò con un po' di paura e qualche graffio. A me andò peggio. Lo shock mi distrusse il meccanismo del sonno. La mia insonnia, o sonno cattivo, divenne cronica. Se dormo quattro o cinque ore, va ancora bene. Spesso vengo strappato al sonno profondo come in una spirale. È una forza irresistibile, mi domando dove si nasconda. Sono vaghi sensi di colpa o è un inesauribile bisogno di tenere la realtà sotto controllo? Non so, in fondo mi è indifferente. Quello che conta è rendere sopportabile la notte ricorrendo a libri, musica, biscotti e acqua minerale.
Le ore peggiori sono quelle del lupo, fra le tre e le cinque. Allora arrivano i demoni: l'amarezza, la nausea, la paura, il disgusto, la collera. Non serve soffocarli, s'incattiviscono.
Quando gli occhi sono stanchi di leggere c'è la musica. Chiudo gli occhi e ascolto con concentrazione, lasciando via libera ai demoni: venite pure, vi conosco, so come funzionate, continuate finché non vi stancate, io non mi difendo. I demoni infuriano sempre di più, dopo un po' ogni resistenza cessa e loro diventano ridicoli, allora scompaiono e io m'addormento per qualche ora.
Daniel Sebastian nacque con taglio cesareo il 7 settembre 1962. Käbi e Anna Vogler lavorarono instancabilmente fino all'ultima ora. La sera successiva al parto, quando Käbi si fu addormentata dopo sette mesi di tormento, Anna prese dalla libreria lo spartito del Flauto magico. Io parlai della messinscena che sognavo e Anna cercò il corale cantato dai due uomini armati dalle lance infuocate. (...) Una regia affonda le sue radici attraverso il tempo e i sogni. Mi piace immaginare che riposino in una stanza segreta dell'anima. Se ne stanno lì comodamente a maturare come magnifiche forme di formaggio. Alcune si mostrano malvolentieri, altre abbastanza di buon grado e abbastanza spesso, altre ancora non si mostrano mai, non vedono la necessità di partecipare a un'attività di produzione continuamente in corso. Ora cominciano a mancare sia quelle che rimangono a lungo a maturare, sia quelle che si affrettano a venire alla luce. Questo non mi dà né dolore né un senso di vuoto. (...)
(Ingmar Bergman, da “Lanterna magica” , ed. Garzanti, pag.205)
(...) Nel mio film L'ora del lupo ho in seguito cercato di rappresentare la scena che mi ha commosso più profondamente: Tamino solo di fronte al palazzo. C'è buio, egli è stato colto dal dubbio e dalla disperazione. Grida: O notte oscura! Quando ti dissolverai? Quando troverò la luce nella tenebra? Le voci rispondono pianissimo dall'interno del tempio: presto, presto o mai più! Tamino: Presto? Presto? O mai più. Voi esseri a me nascosti, rispondete: Pamina vive ancora? Le voci rispondono lontano: Pamina, Pamina vive ancora!
Queste dodici battute contengono due domande ai limiti estremi della vita, ma anche due risposte. Quando Mozart scrisse la sua opera era già malato, l'intuizione della morte lo sfiorava. In un momento d'impaziente disperazione grida: O notte oscura! Quando ti dissolverai? Quando troverò la luce nella tenebra? Il coro risponde ambiguo: presto, presto o mai più. Mozart, mortalmente malato, grida una domanda alla tenebra. Da questa tenebra risponde egli stesso alla propria domanda - o riceve una risposta?
Così l'altra domanda: Pamina vive ancora? La musica traduce la semplice domanda del testo nella più grande delle domande: è vivo l'amore? È reale l'amore? La risposta giunge tremante ma piena di speranza, in una strana suddivisione del nome di Pamina: Pa-mi-na vive ancora! Non si tratta più del nome d'una attraente giovane donna, è una parola in codice che indica l'amore: Pa-mi-na vive ancora! L'amore esiste. L'amore è reale nel mondo degli uomini.
Nell'Ora del lupo, la macchina da presa fa una panoramica dei demoni cui il potere della musica ha dato qualche istante di pace, e si ferma sul volto di Liv Ullmann. Una doppia dichiarazione d'amore, tenera ma disperata.
Qualche anno più tardi proposi alla RadioTv Svedese di fare il Flauto magico. La relazione fu di dubbio, d'imbarazzo. Se non fosse intervenuto con energia ed entusiasmo il direttore del programma musicale, Magnus Enhörning, il progetto non sarebbe mai stato realizzato. (...)
(Ingmar Bergman, da “Lanterna magica”, ed. Garzanti, pag.196)
Ingmar Bergman, da “Immagini” (ed. Garzanti)
(...) Poi: perché Lindhorst trucca Johan prima che questi vada all'appuntamento amoroso con Veronica Vogler? Fin dall'inizio ci è chiaro che la passione è spoglia di sentimento, che è solo un'ossessione erotica. Ne siamo informati fin dalla prima scena. In seguito Alma legge il diario di Johan, da cui si capisce che la relazione con Veronica è stata catastrofica.
Lindhorst lo trucca da clown e insieme da donna, mettendogli addosso un accappatoio di seta che lo femminilizza ulteriormente. I clown bianchi hanno un significato ambiguo: belli, duri, pericolosi, in equilibrio sul confine tra la morte e una sessualità distruttiva. (...)
(...) A cena nel castello i dèmoni sembrano normali, seppure un po' strani. Gironzolano nel parco, conversano, fanno il teatro dei burattini. Tutto appare abbastanza tranquillo. In realtà, essi vivono la vita dei dannati in un insopportabile dolore, accapigliandosi eternamente tra di loro. Si aggrediscono e si mangiano l'anima l'un l'altro.
Per un breve attimo il loro tormento viene mitigato. È quando viene suonato “Il flauto magico” di Mozart nel piccolo teatro dei burattini. La musica concede qualche momento di pace e di sollievo.
La macchina da presa tocca il viso di tutti. La ritmizzazione del testo è un cifrario: Pa-mi-na significa amore. Vive ancora l'amore? «Pamina lebet noch», l'amore vive ancora. La macchina da presa su Liv: è una doppia dichiarazione d'amore. Liv era incinta di Linn. Linn è nata proprio nel giorno in cui abbiamo filmato l'entrata di Tamino nel cortile del palazzo. (...)
(Ingmar Bergman, da “Immagini”, ed. Garzanti, pag.31 e seguenti)
Tino Ranieri, volume su Bergman “Il castoro cinema”
(...) Poi Bergman ritorna all'isola. Ha da tempo nel cassetto un copione scritto « nelle ore tra le sette del mattino e le quattro del pomeriggio, di fronte a una parete bianca », com'è sua consuetudine. È “I mangiatori d'uomini”, che forma il primo nucleo inventivo di “L'ora del lupo”. Nella sua superficie, è quanto di piú vicino al cinema di fantasmi che Bergman abbia mai realizzato. Nobili fantasmi, naturalmente, non lenzuoli per atterrire il pubblico, ma ombre fonde dello sconforto; e nobili soprattutto perché cosí confessatamente autobiografici. È il proprio odioso passato, il grande « mangiatore d'uomini », lo spettro peggiore di tutti. (...) «L'ora del lupo è terribilmente personale - ha detto Bergman - Tanto personale che avevo predisposto anche un prologo e un epilogo per racchiudere il film dentro un gioco: un prologo e un epilogo ambientati nello studio cinematografico... Stavo seduto nello studio e raccontavo agli attori come m'era venuta l'idea del film, e cioè: una donna mi aveva lasciato un diario, il diario di Johan Borg e io le facevo raccontare davanti a un registratore la loro vita insieme. Adesso di tutto ciò è rimasta solo la colonna sonora che fa da sottofondo ai titoli di testa ». In altri termini Bergman ha provato con nuovi mezzi il principio brechtiano dello straniamento: lo spettatore non deve identificarsi nei personaggi ma continuare ad avvertire lo spazio giudicante, e quindi critico, che esiste tra lui e loro. Per la stessa ragione Bergman usa un trucco già sperimentato, prima, da Jean-Luc Godard: a metà del film ripete i titoli di testa. « Ho scoperto, e questa è una cosa terribilmente affascinante, che un film non soffre per niente del fatto che l'illusione si rompa e con essa la predisposizione di certe persone ad accettare l'illusione. Voglio riportare queste persone dove stanno, cioè nella sala cinematografica. È bene che il pubblico venga risvegliato per un po', per poi immergerlo di nuovo nel dramma ». (...)
(Tino Ranieri, volume su Bergman ed.“Il castoro cinema”)
PS: per chi volesse approfondire alcune scene, come quella tra Max von Sydow e il ragazzo, in riva al mare, rinvio a un libro della psicoanalista infantile Alice Miller ( Alice Miller “Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sè”, editore Bollati Boringhieri., pag.86) e ricordo che l’infanzia di Bergman e il suo rapporto con il padre sono descritti da Bergman stesso nei suoi libri, soprattutto in “Lanterna magica”, ed. Garzanti.
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