giovedì 4 marzo 2010

La donna scimmia

La donna scimmia (1964) Regia di Marco Ferreri. Soggetto e sceneggiatura di Rafael Azcona e Marco Ferreri. Fotografia di Aldo Tonti. Musiche originali di Teo Usuelli. Con Annie Girardot, Ugo Tognazzi, Achille Majeroni, Filippo Pompa Marcelli, Elvira Paolini, Ugo Rossi, Eva Belami, Ermelinda De Felice Durata: 92 minuti (100 minuti nell’edizione francese).

Ugo Tognazzi, in visita ad un convento che organizza uno spettacolo di beneficenza, trova nelle cucine una ragazza che volta sempre le spalle e che non si vuole mostrare. E perché mai, si chiede sornione il nostro, traffichino dedito ad organizzare piccoli spettacoli da strada. “Fatti un po’ vedere che non ti mangio mica”, le dice, e lei dopo un po’ si volta, perché tutto sommato, a suo modo, quell’uomo è gentile e non le dispiace.
La ragazza, timida e un po’ rozza ma ben fatta e intelligente, è coperta di peli molto vistosi un po’ ovunque, peli biondi, chiari, anche in faccia. Un caso di ipertricosi, non raro nella storia medica: non una malattia, ma comunque qualcosa di molto disturbante, soprattutto per una donna.
Oggi le cose sono cambiate, di sicuro si troverebbe un rimedio, ma per secoli e secoli avere la faccia coperta di peli, anche sulla fronte e vicino agli occhi, è stato un handicap mica da poco; la storia però ci ha tramandato una storia di questo tipo con un lieto fine, quella cinquecentesca di Pedro Peloso, portato dalle Canarie alla corte di Spagna come attrazione e dimostratosi poi molto intelligente ed educato, al punto da avere discendenza, pelosa come lui. La sua storia è raccontata nel volume “Il selvaggio gentiluomo. L'incredibile storia di Pedro Gonzales e dei suoi figli” scritto dallo storico dell’arte Roberto Zapperi (Donzelli editore). Una delle discendenti di Pedro, che fu gentilmente donata (un pacco dono: come un oggetto o un animale) ai Farnese di Parma, è ritratta in un famoso quadro di Lavinia Fontana datato 1594.
Nel film di Ferreri, a Tognazzi viene un’idea, e chiede alle suore che l’hanno in custodia se acconsentono a far uscire la ragazza. Ottenuto il consenso (in fondo non è una bambina, ma una donna maggiorenne), organizza con lei uno spettacolino, presentandola come “donna scimmia” e prendendo per sè la parte dell’esploratore che l’ha catturata nella selvaggia Africa. La cosa funziona, anche troppo; ma lei ovviamente non è contenta; fugge e torna dalle suore, che non vorrebbero più renderla a Tognazzi. A meno che, fanno intendere, quell’uomo non la sposi... All’uomo l’idea non dispiace, e anche lei ne è contenta, anche se non lo dà molto a vedere. Il problema viene la prima notte di nozze, quando lei vorrebbe dormire con il marito, ma il marito ha qualche reticenza; comunque, si sa, sono cose che si superano.
Grottesco? Sì, è lo stile di Ferreri ed è la sua caratteristica quella di cercare temi forti e inusuali; ma il film è girato con una naturalezza che avvince, perfino con rispetto (nonostante il tema di partenza), e tutto è molto credibile e molto quotidiano. Il grottesco è solo nel soggetto, ed è questa la forza del film. I due sono una coppia normale, lei si pettina e usa i bigodini, è un’ottima moglie ed è molto brava a far da mangiare. Le scene tra i due sono da coppia vera, con molto amore anche nei litigi; da moglie vera è anche la gelosia di lei nelle scene di Parigi. Il finale sarà cinico e duro, così come molte scene iniziali, ma queste scene di coppia prevalgono nel complesso. Tognazzi alterna cinismo e dolcezza, qua e là affiora il ricordo di “La strada” di Fellini ( ma Zampanò era molto più duro e ottuso), e anche un anticipo di “L’udienza”, sempre di Ferreri.
Dai primi spettacolini ruspanti di Napoli si passa alla raffinatezza da night di Parigi, dove Annie Girardot viene esibita con dovizia, forse per un dovuto risarcimento del regista, a mostrare quanto era bella. Si usava poco, nei primi anni 60, mostrare le attrici come si mostra la Girardot nella scena dello strip tease parigino. Il numero dello spogliarello francese è da antologia, non solo per la Girardot ma anche per Tognazzi in abiti e casco coloniale, con lo schioppo in mano e recitazione adeguata alle circostanze; ed è ottimo come documento d’epoca, serissimo ma divertito. Stesso discorso per le scene nei camerini, un “dietro le quinte” molto vero e quotidiano.
Ferreri con “La donna scimmia” si permette di toccare temi che sono difficili da toccare ancora oggi, figuriamoci nel 1962: l’eugenetica, l’aborto consigliato dal medico francese: “io che sono signorina non posso dire certe cose, io che non mi sono sposata per non sentir parlare di aborti...” dice la vecchina delle pulizie in albergo a Parigi (è toscana e deve far da interprete con il medico, perché il francese non lo parla nessuno). Buffa la scena che segue, molto breve: un ragazzo nero con la livrea dell’albergo porta le scarpe dei clienti alla vecchina, ma lei le butta via: “proprio adesso mi hai da portare le scarpe da lucidare?” (e il ragazzo dice “shit” e raccoglie le scarpe, mentre il dramma continua).
Può essere interessante fare un paragone con Buñuel, un autore per molti versi simile a Ferreri: il regista spagnolo è quasi sempre assente e distaccato, una visione da spettatore esterno; Ferreri è sempre partecipe anche quando non sembra. Vedere “La donna scimmia” è anche utile perché il film serve anche per constatare che qualche progresso lo si è fatto, oggi non si trattano più così gli handicappati, nemmeno quelli più gravi; ma una volta era normale nasconderli e vergognarsene. Il film può dar fastidio, ma sottolinea la normalità di lei (e la mostruosità degli altri, di quelli che si considerano “normali”). All’inizio del film, Tognazzi porta la ragazza allo zoo a vedere come deve fare per imitare le scimmie: ma oggi non ci sono più nemmeno gli zoo.
Ci sono due belle scene di cucina, certamente inserite per Tognazzi: la cucina italiana all’inizio nell’ospizio dove incontra la Girardot, e la cucina francese a Parigi nel locale dello strip. Vista da oggi, è notevole anche la somiglianza di Tognazzi con Silvio Berlusconi in molte scene, come quella del matrimonio (una somiglianza di portamento, naturalmente: di viso sono diversissimi): penso che non ci sia niente di profetico in questa somiglianza, ma in questi casi non si sa mai: però è più giusto dire che certi comportamenti non passano mai di moda, che in certe cose la civiltà è solo un’apparenza, e che Tognazzi e Ferreri ci hanno regalato il ritratto di un tipo umano che per nostra sfortuna non tramonterà mai.
L'ultima immagine (doveroso) è per Annie Girardot, grande attrice e donna bellissima, molto coraggiosa ad accettare una parte come questa quand'era all'apice del suo successo: un piccolo omaggio che ho trovato in rete. Chissà se questo suo libro si trova anche da noi...

6 commenti:

angela ha detto...

è un film che mi piace e anche Ferreri (non sempre, non tutto)
particolare la scena del matrimonio, mentre lei canta "La Novia" di Dallara
ciao Giuliano

Giuliano ha detto...

Sì, hai ragione; e sulla musica nei film di Ferreri bisognerebbe aprire un capitolo a parte - però io non sono adattissimo, forse andresti meglio tu.
Si tratta di scelte mai banali, e l'accostamento con le immagini è sempre qualcosa di fuori dal comune.

angela ha detto...

io sono pigra e "riottosa" :)

Giuliano ha detto...

ma dai, che sei pigra non ci crede nessuno!
:-)
(riottosa, non so...)

angela ha detto...

vivo di rendita e di grandi abbuffate, il resto del tempo (abbastanza) mi riposo ;)
poco incline, allergica a tutto ciò che può apparire più adatto alla mia personcina

Giuliano ha detto...

beata te che hai una personcina! Io sono grande e grosso, e anche un bel po' peloso...
:-)