Il pianeta delle scimmie (Planet of the Apes, 1968). Regia di Franklin J. Schaffner. Tratto da un racconto di Pierre Boulle, Sceneggiatura di Michael Wilson, Rod Serling Fotografia: Leon Shamroy Musica: Jerry Goldsmith Con Charlton Heston, Roddy McDowall, Kim Hunter, Maurice Evans, James Withmore, James Daly, Linda Harrison (112 minuti)
“Il pianeta delle scimmie” è una variazione da Swift: non il più famoso dei viaggi di Gullliver, ma quello meno citato, il viaggio nel Paese dei Cavalli Sapienti, dove gli uomini sono bestie rozze e sporche, che i Cavalli chiamano “yahoo”. E i Cavalli Sapienti sono molto stupiti quando incontrano Gulliver, uno yahoo che parla e ragiona proprio come loro.
E’ il mondo alla rovescia, l’apologo settecentesco di un “illuminista matto”, che qui viene ripreso in modo ancora più deciso e violento, perché le scimmie somigliano all’uomo molto più dei cavalli. Sbaglia chi vuole vederci Darwin: innanzitutto perché Darwin non ha mai detto che l’uomo discende dalla scimmia (lo hanno detto altri, dopo l’uscita dei suoi libri – Darwin era cosciente del possibile postulato alle sue teorie, ma aveva fatto un discorso molto più complesso, parlando dell’evoluzione delle specie e partendo dalla botanica, dai fringuelli delle Galapagos, e dai cirripedi), ma soprattutto perché il discorso delle scimmie è soltanto un accessorio alle teorie sull’origine delle specie, molto spettacolare e molto utile ma pur sempre accessorio.
Sto parlando, ovviamente, del film che uscì nel 1968: il primo della serie, che quarant’anni fa provocò un notevole shock, perché si trattava di una novità assoluta per il cinema. Gli altri film seguiti al primo sono stati girati più che altro per motivi di cassetta (non so quanto a ragione) e si possono anche vedere, ma hanno due difetti fondamentali: spiegano troppo, e insistono troppo sulle scimmie.
Nei film e nei romanzi di fantasia spiegare troppo è controproducente. Che bisogno c’è di spiegare? E’ come se leggendo Biancaneve qualcuno ci dicesse da dove vengono i sette nani, e che tipo esatto di veleno ha messo la strega nella mela. L’importante è lo shock che si prova vedendo il nostro mondo rovesciato. E’ lo shock che si prova quando Charlton Heston, catturato dalle scimmie, riesce finalmente a fuggire; e nella fuga passa attraverso il Museo di Scienze Naturali. Ovviamente, è il Museo di Scienze Naturali delle Scimmie: e in una sala il fuggitivo Heston non può fare a meno di fermarsi, perché vi è esposto – imbalsamato e in posa plastica – uno dei suoi amici e compagni d’avventura. La stessa cosa che noi abbiamo fatto agli animali.
E’ lo stesso shock, stavolta virato sul comico, che si prova nel finale, quando Heston vorrebbe ringraziare dando un bacio sulla guancia alla Dottoressa, che lo ha aiutato molto. Ma lei vorrebbe sottrarsi: “Un bacio? Ma sei così brutto...”, ed ovviamente la Dottoressa è in tutto e per tutto identica ad uno scimpanzé. (Pochi minuti prima, Heston trova un rasoio e riesce a radersi, e la Dottoressa non riesce a trattenere l’orrore per quello che a lei sembra il gesto di un folle, grattar via il pelo dal volto).
E poi c’è, forse per la prima volta in queste dimensioni, il discorso sull’ecologia e sulla conservazione del mondo. Il mondo delle Scimmie è un mondo distrutto che sta faticosamente ricostruendosi, ed è stato distrutto dall’Uomo. Il finale, giustamente famoso, è di quelli che non si dimenticano.
Il soggetto del film viene da un romanzo del francese Pierre Boulle, scritto nel 1963 (Boulle è anche l’autore di “Il ponte sul fiume Kwai”); recentemente ne è stato fatto un remake, con la regia di Tim Burton. E’ un bel film, che purtroppo ricade nei due difetti di cui parlavo sopra: spiega troppe cose, e insiste troppo sulle scimmie. E poi, la novità e l’effetto shock dopo quarant’anni se ne sono andate da un bel pezzo: del Pianeta delle Scimmie sono state tratte una serie di telefilm, cartoni animati, tutte cose che la tv ha trasmesso e ritrasmesso con infinita dedizione. E’ però notevole la parodia del finale del film, fatta da Mel Brooks in “Balle spaziali”(è proprio alla fine).
Di notevole, nel remake di Tim Burton, ho trovato questo: che tutte le scimmie sono rappresentate nel cast, divise in tribù proprio come gli umani di oggi, sempre sull’orlo della guerra e con razzismi e divisioni (nazionalismi) al loro interno. Ci sono Oranghi, Gorilla, Scimpanzé, Macachi, Gibboni, Mandrilli, Babbuini; e in armature medievali elegantissime, simili a quelle dei film di Kurosawa.(e complimenti ai truccatori!).
Si può ancora aggiungere che, nello stesso anno, arrivarono sugli schermi altri uomini truccati da scimmie, ma in maniera molto diversa: gli ominidi di “2001 odissea nello spazio”.
(le immagini qui sopra vengono dal "Corriere dei Piccoli", anno 1968)
2 commenti:
Fim che ho visto per la prima volta soltanto una decina di anni fa, e del quale oggi ricordo ben poco. In effetti è come dici tu, la sorpresa è svanita nel rivedere il film a distanza di così tanti anni, il finale è strafamoso e molto citato. Vidi al cinema il remake di Tim Burton e ricordo ben poco anche di quello. Evidentemente, è una storia che non ha catturato la mia attenzione più di tanto.
Per il resto, caro Giuliano, complimenti per le interessanti informazioni letterarie che hai riportato, che ignoravo del tutto. Ultima, ovvia annotazione: l'attrice protagonista, Kim Hunter credo che si chiami, è spettacolare. :)
La foto finale di Linda Harrison l'ho messa - criteri estetici a parte - perché mi fanno sempre sorridere queste cose, al cinema: del tipo di quello che finisce in acqua e dopo un attimo ha i vestiti asciutti, oppure (Zabriskie Point di Antonioni!) trascorre un giorno intero nel deserto e ha la camicia bianca che più bianca e non si può, e con appena due o tre pieghettine.
Vedere Linda Harrison così ben depilata, in un film come questo, è davvero divertente...
Kim Hunter è molto brava, forse l'unica che riesce davvero a recitare sotto quel mascherone; ho scoperto che non era più giovanissima quando ha fatto il film.
Roddy Mc Dowall, l'altra scimmia scienziato, ha fatto parecchi film, ma ormai lo si ricorda quasi solo per questo.
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