sabato 26 marzo 2011

Narciso nero

Black Narcissus (Narciso Nero, 1947) Regia e sceneggiatura: Michael Powell, Emeric Pressburger  Soggetto: Michael Powell ed Emeric Pressburger, dal romanzo di Rumer Godden. Fotografia (col.): Jack Cardiff. Operatore: Ted Scaife. Montaggio: Reginald Mills. Musica: Brian Easdale. Suono: Stanley Lambourne. Production designer: Alfred Junge. Costumi: Henri Heckroth.  Interpreti: Deborah Kerr (suor Clodagh), David Farrar (il signor Dean), Flora Robson (suor Philippa), Kathleen Byron (suor Ruth), Jenny Laird (suor Honey), Judith Furse (suor Briony), Sabu (il giovane generale), Esmond Knight (il vecchio generale), May Hallatt (Angu Ayah), Shaun Noble (Con), Eddie Whaley (Joseph Anthony), Nancy Roberts (madre Dorothea), Jean Simmons (Kanchi).  Produzione: Michael Powell, Emeric Pressburger. Produttore associato: George R. Busby. Compagnia di produzione: The Archers. Durata: 100'.


Un rajah indiano, che si fa chiamare “ il Generale “, decide che è ora di avere una scuola come si deve nel suo territorio; per questo contatta, tramite l’unico inglese che vive da quelle parti, le suore Serve di Maria, a Calcutta. Sono suore inglesi e irlandesi, e siamo in epoca coloniale; l’occasione che si presenta è unica e la suora anziana acconsente ad aprire un convento in quel posto sperduto. Ne prenderà la guida suor Clodagh (è un nome irlandese), che è molto giovane: sarà quindi la più giovane superiora del suo Ordine. Il convento (che il Generale ospita in una casa che era il suo harem) è a 2700 metri d’altitudine; le suore chiamate dal “Generale” partono da Calcutta. Vengono accolte da Mr. Dean (David Farrar), l’unico europeo sul posto, che si presenta vestito in modo anomalo: calzoni cortissimi che lasciano scoperte tutte le gambe, sandali e piedi nudi. Dean giunge su un minuscolo cavallino bianco (i piedi quasi toccano terra), non un pony ma un vero e proprio cavallo bianco, però piccolo. L’apparizione di Dean (un uomo giovane e prestante, che sarà di grande aiuto per le suore) ha un aspetto vagamente comico, qualcosa di straniante, quasi fosse l’improvvisa l’apparizione di un fauno, o di Dioniso in persona. Nei dintorni c’è anche un santone, un sadhu veneratissimo, zio del Generale, immobile da anni, seduto sotto una roccia, dentro il perimetro del convento.
Questo è l’inizio di uno dei più spettacolari, e famosi, film realizzati dal duo Michael Powell & Emeric Pressburger: i film li firmano sempre insieme, ma l’inglese Powell è più propriamente il regista, l’altro (ungherese d’origine) è lo scrittore. Ma poi è difficile capire dove inizia l’uno e dove finisce l’altro, e inoltre i due si avvalgono sempre di collaboratori di prim’ordine, a partire dallo scenografo e dagli artigiani che costruiscono materialmente il set. Si parte da un romanzo di Rumer Godden, una signora inglese che ha trascorso tutta la sua vita in India, autrice molto famosa in quei tempi (suo è anche il punto di partenza per "Il fiume" di Jean Renoir), per raccontare questa storia fantastica e reale allo stesso tempo, favolosa verrebbe da dire: morbosa e fiabesca.
“Narciso nero” è l’altro lato di Shangri-la. Non so se lo si possa definire come il lato oscuro della stessa medaglia, forse è troppo semplice come definizione. Ma certo quello che nel film di Frank Capra (precedente a questo, e tratto da “Orizzonte perduto” dell’inglese James Hilton) era un influsso positivo, qui si trasforma in disagio e malore, e lo splendore dell’Himalaya diventa quasi come la torbida Venezia di Thomas Mann. L’aria limpida, “chiara come il cristallo” (niente ombre: Powell ci sta attento), e il vento, rendono questo posto paragonabile all’Oceano di Solaris. Nel film di Tarkovskij, su un pianeta lontano un’entità misteriosa (che assomiglia ad uno dei nostri oceani) legge nelle nostre menti e ne materializza il contenuto, ricordi ed emozioni; anche in “Narciso nero” vengono ritrovati e ripresentati i nostri ricordi, il nostro io più profondo viene a galla, e non è detto che sia un io presentabile. Succede perfino alla più solida ed esperta delle sorelle, suor Philippa; succede a suor Clodagh, che riesce a controllarsi; e succede in modo devastante a suor Ruth, la novizia che non ha ancora pronunciato i voti. La pazzia di suor Ruth, interpretata in modo magistrale dall’attrice Kathleen Byron, è la più terrificante mai vista in cent’anni di cinema; e non bastano le parole per descriverla.
Le suore dovranno rinunciare, e ritornare a Calcutta. Il film finisce con l’inizio della stagione delle piogge, e con lo sguardo perduto di Dean. Il ruvido inglese aveva previsto fin dall’inizio il fallimento della spedizione, ma non aveva previsto suor Clodagh: “Narciso nero” è soprattutto la storia di un amore mancato.
“Narciso nero” è il profumo che porta il Piccolo Generale, figlio del rajah, interpretato da Sabu, un giovane attore anglo-indiano all’epoca molto famoso: racconta alle suore che lo fa venire apposta dai magazzini militari di Londra, spiega. E suor Philippa decide di chiamarlo così, Narciso Nero (non è nero, “ma a me sembrano tutti uguali”). Il Piccolo Generale verrà sedotto da una bellissima ragazza indiana, proprio nel convento; fuggiranno insieme e questo contribuirà al fallimento dell’impresa. La giovane indiana è Jean Simmons, col piercing al naso, che danza sensualissima, e conquista grazie all’ospitalità del convento il marito a cui non avrebbe mai potuto aspirare: “la storia di Cenerentola” commenta sarcastico Dean. Dean si era presentato ubriaco come Dioniso proprio la notte di Natale. Suor Clodagh lo scaccia e lui se ne va cantando “Oh, I cannot be a nun / ‘cause I’m so full of pleasure...”
La cosa più stupefacente di questo film, roba da non crederci, è che è stato girato quasi tutto in studio, e rimanendo sempre in Inghilterra. Metto qui di seguito quello che ne racconta Michael Powell:
- (...) Pressburger si era sposato e fu proprio sua moglie che, dopo aver letto il romanzo di Rumer Godden, ce ne parlò.
- Cosa l'aveva affascinata nella storia? Il confronto tra costumi occidentali e mondo orientale?
- Era una bellissima storia d'amore in un ambiente insolito. Ma non volevo andare a girare in India. I film di questo genere si sono sempre fatti così: con scene in studio e raccordi negli esterni reali, con veri attori e controfigure. Non mi piaceva assolutamente. Ero certo che si doveva girare o tutto in India o tutto negli studi.
- E lei l'ha fatto tutto negli studi.
- Tutto, tranne qualche scena. Sa, in Inghilterra si trova di tutto. Dal momento che abbiamo avuto per tanto tempo un impero, c'era sempre qualcuno che importava quantità di cose diverse dai quattro angoli del mondo: alberi, fiori, rocce! Cose straordinarie! Sono riuscito a trovare giardini enormi con rocce e montagne ai margini; e tutti i colori del mondo! E tutti i fiori dell’Himalaya! E gli alberi più antidiluviani, nel Sussex! Il resto è girato in studio. Abbiamo costruito il convento a Pinewood, all'esterno. Poi, Junge ha avuto un'idea. Ha fatto costruire tutto intorno a questa scena enorme un grande fondale di gesso, con un'angolazione di 20 gradi rispetto al sole. Così, tutto il giorno, con il sole che si muoveva, non c'era mai ombra sul fondale. Tutto il giorno era bene illuminato. E sul fondale abbiamo dipinto tutto l'Himalaya: l'Everest, le vallate, le foreste. Tutte illuminate dal sole! Ed era magnifico quando passava una nuvola! Semplicissimo. Alfred Junge è un grande maestro.
(intervista del 1979, alla rivista francese “Ecran”) (dal volume “Powell & Pressburger”, edito da Bergamo Film Meeting nel 1986)

2 commenti:

Marisa ha detto...

Sicuramente è un film più complesso di quello che potrebbe apparire ad una visione frettolosa e il paragone che fai con "Orizzonte perduto" di Franz Capra e la sua Shangri-la può essere la chiave di approfondimento per capire il fallimento delle suore.
La differenza fondamentale è tutta nell'atteggiamento interiore con cui si affronta un'esperienza così estranea ed estrema come quella che simbolicamente viene posta al limite del mondo conosciuto e così diverso da quello ordinato da regole rigide che dominava la coscienza occidentale nell'epoca vittoriana, almeno fino alla caduta a ruota libera del Super-Io a cui stiamo assistendo dopo la fine del patriarcato, e di cui le regole del convento amplificano l'evidenza.
Mentre la comunità di Shangri-la, pur fondata da un occidentale, è retta da principi di assoluta tolleranza ed integrazione della spiritualità orientale ed in particolare indiana e buddista, in "Narciso nero" assistiamo ad una intolleranza cieca e fondata sulla rimozione, che non può che andare incontro al "ritorno del rimosso", con tutte le conseguenze dell'incapacità di un'elaborazione e dell'integrazione.
La ancor govane superiora sì è rifugiata in convento dopo una delusione amorosa ed affida la rimozione ad una regola di duro e indefesso lavoro (il loro non è un ordine contemplativo, come ipotizza Mister Bean, bensì molto attivo). L'orgoglio ferito e lo sforzo di volontà reggono la giovane donna che vorrebbe allontanare qualsiasi elemento estraneo alle regole a cui si aggrappa, compreso il Santone, che con la sua sola immobilità mette in crisi tanto attivismo, e la giovane idiana che con la sua sensualità riattiva tutto l'eros che le suore hanno rimosso (la prima cosa che Suor Clodagh fa è far portar via il quadro con la raffigurazione di scene dell'harem ).
Ma tante precauzioni non bastano e il rimosso, ormai slatentizzato, irrompe ed avrà la sua vittima nella più fragile Ruth, già individuata come instabile e soggetta a crisi di nervi e per questo ancora non sufficientemente temprata per pronunciare i voti definitivi.
La volitiva e apparentemente dura Clonagh, già in crisi anche lei e turbata dalla presenza di M. Bean, non è proprio preparata a fronteggiare una irruzione dell'inconscio così drastica e non può evitare la catastrofe.
Se non possono reggere la rivelazione di tutto quello che hanno voluto fuggire sperando di cancellare per semre il passato, è meglio che le suore se ne vadano, come aveva predetto Bean, l'unico inglese presente che può convivere in un ambiente così diverso dal volontarismo occidentale proprio perchè ha imparato a non voler cambiare il mondo. E speriamo che qualcosa le suore abbiano imparato. Non si sa mai...

Giuliano ha detto...

Il rimosso è proprio l'elemento centrale del film, che infatti è un film molto bello ma anche molto disturbante - conosco persone che l'hanno odiato e che non lo sopportano, perchè è bello e affascinante, ma anche qualcosa che va diritto dove tutti noi abbiamo dei nervi scoperti.
Hai fatto un'altra analisi perfetta, ecco qualcosa che dovevo scrivere ma mi è sfuggito.
Devo dire che dopo aver visto Narciso Nero e Il fiume di Renoir, sono diventato curioso su Rumer Godden, ma in italiano su di lei non c'è niente, peccato. In rete ci sono anche le sue foto, bisognerà decidersi a imparare bene l'inglese...