mercoledì 16 marzo 2011

L.A. Story

L.A. Story (Pazzi a Beverly Hills, 1991). Regia di Mick Jackson. Soggetto e sceneggiatura di Steve Martin. Fotografia di Andrew Dunn. Musiche originali di Peter Melnick. Interpreti: Steve Martin, Victoria Tennant, Marilu Henner, Sarah J. Parker, Susan Forristal, Richard E. Grant, Kevin Pollak, Patrick Stewart, Chevy Chase, Iman, Woody Harrelson, e con Rick Moranis (il becchino dell’Amleto di Shakespeare). Durata: 95 minuti.

“L.A. Story”, cioè “Una storia di Los Angeles”, per il distributore italiano è diventato “Pazzi a Beverly Hills”; ogni tanto passa in tv ed è lì che ho cominciato a vederlo, per puro caso, facendo zapping. Il film in sè, opera di Steve Martin che lo ha scritto e lo interpreta, non avrebbe molto da dire; è simpatico e girato con professionalità, ma me lo sarei dimenticato subito e l’avrei confuso con mille altri film identici se non fosse stato per due particolari, e cioè: 1) il pannello indicatore stradale, che è un vero personaggio del film, e che parla con Steve Martin dandogli consigli su cosa fare; 2) le numerose citazioni, molto libere, da Shakespeare.
Il pannello indicatore è una trovata curiosa, non del tutto risolta, e si direbbe vagamente ispirato all’angelo “di seconda classe” di un famosissimo film di Frank Capra, “La vita è meravigliosa”. Essendo un pannello stradale, di quelli che indicano le condizioni del tempo e del traffico, ha poche righe a disposizione e deve essere estremamente sintetico; per questo usa le abbreviazioni tipiche degli sms, ed è facile pensare che si sia trattato in origine proprio di messaggi sms (nel 1991 erano agli inizi) e che Steve Martin si sia inventato una trovata simpatica fatta per evitare di essere troppo banali mostrando i messaggi direttamente sul display del cellulare. Fatto così, ha invece qualcosa di soprannaturale (ma non troppo) che culminerà nella citazione shakespeariana più famosa, il momento i cui Hamlet si rivolge all’amico Horatio commentando l’apparizione dello spettro di suo padre:
HAMLET: (...) There are more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt of in your philosophy.
(William Shakespeare, Hamlet, atto primo scena quinta)
(ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia...)
La protagonista femminile è Victoria Tennant, e i numerosi primi piani sul suo volto lasciano immaginare che il film sia dedicato proprio a lei: e infatti è bastato curiosare su wikipedia per scoprire che era la moglie di Steve Martin, proprio in quel periodo.
Il film è in gran parte costruito con battute e scene più o meno comiche su Los Angeles (a L.A. non si va a piedi, il traffico è come andare in guerra, al bancomat si danno i soldi direttamente al rapinatore), sui ristoranti carissimi dove non si mangia ma si fa atto di presenza, sui presentatori tv e sulle previsioni del tempo (en passant: chi è stato quell’idiota di pubblicitario che per primo ha deciso di riempire il meteo di spot?), sui cinquantenni che si fanno l’amante giovane, sui divorzi, sulla chirurgia plastica, eccetera. Tutte cose che si potevano fare meglio, soprattutto tenendo conto che le battute sono spesso brillanti; il pensiero infatti corre subito al primo Woody Allen, a “L’aereo più pazzo del mondo”, eccetera – insomma, “L.A.Story” non era una brutta sceneggiatura e meritava una sorte migliore.
Bruttine le musiche, molti attori più o meno famosi in piccole parti, come Patrick Stewart (interprete autentico di Shakespeare in teatro, e famosissimo in tv per “Star trek”), Woody Harrelson, Sarah Jessica Parker (un’attrice che non mi è mai piaciuta), la modella Iman (moglie di David Bowie), eccetera. Tra gli attori ospiti di Steve Martin ce ne è anche uno molto bravo e molto riconoscibile che però non è citato nei titoli, penso per i soliti motivi contrattuali: Rick Moranis.
Ed è proprio la scena con Rick Moranis, che a molti (anche tra i critici di professione, ahinoi) sarà sembrata del tutto incomprensibile, che mi ha convinto a scrivere questo post. Si tratta infatti dell’Amleto, atto quinto scena prima. Nell’Amleto, al momento dei funerali di Ofelia, i becchini sono due; qui a Rick Moranis tocca fare tutto da solo, e dunque anch’io trascrivo dal punto in cui, in Shakespeare, il secondo becchino è andato a farsi una birra. Non senza però ricordare che nell’originale i due non sono indicati come becchini né come “gravediggers” (scavatori di tombe), ma con il nome corretto di “CLOWNS”.
Atto Quinto Scena Prima
Entrano Amleto e Orazio, a distanza
PRIMO BECCHINO: (Esce il secondo Becchino; il primo continua a scavare e canta)
In gioventú, quando amavo, amavo,
mi sembrava dolce veramente,
ma come invecchiavo, invecchiavo,
non mi sembrava piú divertente.
AMLETO: Non ha quest'uomo il senso del suo mestiere, che canta mentre fa una fossa?
ORAZIO: L'abitudine gliel'ha resa una faccenda indifferente.
AMLETO: È proprio cosí, la mano poco usata ha il tatto piú delicato.
PRIMO BECCHINO (canta):
Ma l'età, coi suoi passi furtivi,
nella sua presa mi ha artigliato,
e mi ha sbarcato dentro la terra,
come se tale non fossi mai stato.
(getta su un teschio)
AMLETO: Quel teschio aveva una lingua, dentro, e poteva cantare, una volta. E quel furfante lo getta in terra, come se fosse la mascella di Caino che commise il primo assassinio. Potrebbe essere la zucca di un politicante, di cui quest'asino adesso si fa gioco: uno che avrebbe raggirato Iddio, non potrebbe essere?
ORAZIO: Potrebbe, mio signore. (...)
AMLETO: O di un cortigiano, che sapeva dire "Buongiorno, dolce signore; come stai, buon signore?" Questo potrebbe essere monsignore tal dei tali, che lodava il cavallo di monsignore tal dei tali, quando voleva farselo dare, non potrebbe essere?
ORAZIO: Potrebbe, mio signore.
AMLETO: Già, proprio così, e ora è della Signora Verme, smascellato e picchiato sulla capoccia dalla vanga di un becchino; ecco una bella rivoluzione, se avessimo l'arte di capirla. Costò cosí poco tirar su queste ossa che ci si può giocare ai birilli? Le mie mi dolgono a pensarci.
PRIMO BECCHINO (canta):
Un piccone, e una vanga, e una vanga,
e per sudario un lenzuolo, un lenzuolo,
oh, una fossa d'argilla da fare
è giusto per un ospite tale.
(getta su un altro teschio)
AMLETO: Eccone un altro. Perché non potrebbe essere il teschio di un avvocato? Dove sono ora le sue quiddità, i suoi quissimili, le sue cause, le sue questioni di proprietà, e i suoi trucchi? Perché sopporta ora che questo zotico furfante lo picchi sul cocuzzolo con un sudicio badile e non gli ingiunge causa per aggressione? Uhm! Questo tizio poteva essere al suo tempo un grande compratore di terre, con le sue ipoteche, le sue obbligazioni, i suoi compromessi, le sue doppie garanzie, i suoi riscatti. È questa la fine dei suoi fini, e il riscatto dei suoi riscatti, di avere la sua fine zucca riempita di polvere fine? Le sue garanzie non gli garantiscono, per i suoi acquisti, anche quelli doppi, piú spazio, in lunghezza e larghezza, d'un paio di fogli dentellati? Gli stessi titoli d'acquisto delle sue terre starebbero a malapena in questa scatola; e lo stesso proprietario non deve avere di piú, eh?
ORAZIO: Non un briciolo di piú, mio signore.
AMLETO: La pergamena non è fatta di pelle di pecora?
ORAZIO: Si, mio signore, e anche dì pelle di vitello.
AMLETO: Loro sono pecore e vitelli, che cercano garanzie in queste cose. Voglio parlare a quest'uomo. Di chi è questa tomba, brav'uomo?
PRIMO BECCHINO: Mia, signore.
(canta)
Oh, una fossa d'argilla da fare
è giusto per un ospite tale.
AMLETO: Credo che sia tua davvero, poiché ci stai dentro.
PRIMO BECCHINO: Voi ci state fuori, signore, e perciò non è vostra; per parte mia, non ci dormo dentro, eppure è mia.
AMLETO: Tu ci stai a mentire, standoci dentro e dicendo che è tua. E’ per i morti, non per i vivi; perciò tu menti.
PRIMO BECCHINO: È una viva menzogna, signore, e ritornerà da me a voi.
AMLETO: Per quale uomo la stai scavando?
PRIMO BECCHINO: Per nessun uomo.
AMLETO: Per quale donna allora?
PRIMO BECCHINO: Per nessuna, nemmeno.
AMLETO: Chi ci dev'essere seppellito dentro?
PRIMO BECCHINO: Una che fu una donna, signore, ma, pace all'anima sua, è morta.
AMLETO: Com'è assoluto questo furfante! Dobbiamo parlare facendo il punto o l'equivocare ci perderà. Perdio, Orazio, in questi tre anni ne ho preso nota, quest'epoca s'è fatta cosí raffinata che l'alluce del contadino s'avvicina tanto al calcagno del cortigiano da sfregargli le galle. Da quanto tempo fai il becchino?
PRIMO BECCHINO: Di tutti i giorni dell'anno, mi ci misi il giorno in cui il nostro povero re Amleto sconfisse Fortebraccio.
AMLETO: Quanto tempo è passato?
PRIMO BECCHINO: Non sapete dirlo? Ogni scemo lo sa dire. Fu proprio il giorno che nacque il giovane Amleto: quello che è pazzo e l'hanno mandato in Inghilterra.
AMLETO: Già, perbacco, perché l'hanno mandato in Inghilterra?
PRIMO BECCHINO: Beh, perché era pazzo. Ritroverà la ragione laggiú, e se no, non fa differenza laggiú.
AMLETO: Perché?
PRIMO BECCHINO: Non lo noteranno laggiú; là gli uomini sono pazzi quanto lui.
AMLETO: Come è diventato pazzo?
PRIMO BECCHINO: In modo molto strano, dicono.
AMLETO: Come strano?
PRIMO BECCHINO: In fede mia, proprio perdendo la ragione.
AMLETO: Su quali fondamenta?
PRIMO BECCHINO: Beh, su queste fondamenta, la Danimarca. Ho fatto il becchino qui, ragazzo e poi uomo, per trent'anni.
AMLETO: Quanto deve stare un uomo sottoterra per marcire?
PRIMO BECCHINO: In fede, se non è marcio prima di morire, che al giorno d'oggi ne abbiamo di cadaveri sifilitici che quasi si sfanno a seppellirli, durerà un otto anni, o nove anni. Un conciatore può durarvi nove anni.
AMLETO: Perché lui piú di un altro?
PRIMO BECCHINO: Beh, signore, il suo pellame è cosí conciato dal suo mestiere che terrà fuori l'acqua per un bel pezzo; e l'acqua è una gran corruttrice di quel figlio di puttana di cadavere. Ecco qui un teschio; questo teschio è stato sottoterra ventitré anni.
AMLETO: Di chi era?
PRIMO BECCHINO: Di un pazzo figlio di puttana era, di chi pensate che era?
AMLETO: Boh, non lo so.
PRIMO BECCHINO: Gli prenda un canchero, se non era un pazzo furfante! Una volta mi versò in testa un bricco di quello del Reno; questo preciso teschio, signore, era, signore, il teschio di Yorick, il buffone del re.
AMLETO: Questo?
PRIMO BECCHINO: Proprio questo.
AMLETO: Fammi vedere. (prende il teschio) Ahimè, povero Yorick! Lo conoscevo, Orazio, un tipo di un'arguzia infinita, di una straordinaria fantasia. Mi ha portato sulle spalle mille volte, e ora, com'è repellente nella mia immaginazione! Lo stomaco mi si rivolta. Qui stavano appese quelle labbra che ho baciato non so quante volte. Dove sono ora i tuoi lazzi? Le tue capriole, le tue canzoni, i tuoi lampi d'allegria, che facevano scoppiare dalle risa l'intera tavolata? Non uno solo ora, a farsi beffe del tuo ghigno? Ti son cascate le ganasce? Va' ora nella camera della mia signora e dille che si dia pure un dito di trucco, a quest'aspetto dovrà ridursi. Falla ridere di questo. Ti prego, Orazio, dimmi una cosa.
ORAZIO: Che cosa, mio signore?
AMi.ETO: Credi che Alessandro avesse quest'aspetto sotto terra?
ORAZIO: Proprio cosí.
AMLETO: E puzzava cosí? Puah! (depone il teschio)
ORAZIO: Proprio cosí, mio signore.
AMLETO: A quali vili usi possiamo ritornare, Orazio! Eccome, non può la nostra immaginazione seguire la nobile polvere di Alessandro finché non la trovi a turare l'orifizio di una botte?
ORAZIO: Ben strano riflettere, riflettere a questo modo.
AMLETO: No, in fede mia, nient'affatto, solo seguirlo fino a quel punto con sufficiente moderazione, e facendosi guidare dalla verosimiglianza; cosí per esempio: Alessandro morì, Alessandro fu sepolto, Alessandro tornò polvere, la polvere è terra, dalla terra facciamo la malta, e perché con quella malta in cui fu convertito non potrebbero averci turato un barile di birra? Cesare imperiale, morto e in argilla volto, un buco può turare e dal vento riparare. Oh che quella creta che il mondo atterrì molto debba tappare un muro e allontanare il vento invernale.
Ma piano, piano un momento, ecco che arriva il re,
Entrano il Re, la Regina, Laerte, in processione funebre dietro il corpo di Ofelia (...)
(William Shakespeare, Hamlet, traduzione di Alessandro Serpieri, ed. Feltrinelli)
Nel film ci sono molte altre citazioni da Shakespeare, più o meno ritoccate da Steve Martin: in primo luogo ovviamente questa, dal Macbeth: atto quinto, scena prima.
MACBETH: Perché quelle grida?
SEYTON La regina, mio signore, è morta.
MACBETH Sarebbe pur morta, un giorno o l'altro. Il tempo per quella parola sarebbe pur dovuto venire... domani, e domani e domani. Striscia a piccoli passi, di giorno in giorno, fino all'ultima sillaba del tempo prescritto; e tutti i nostri ieri hanno illuminato a dei pazzi il cammino verso la polverosa morte. Spegniti, spegniti, breve candela! La vita non è che un'ombra in cammino; un povero attore, che s'agita e si pavoneggia per un'ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla. È un racconto narrato da un idiota, pieno di strèpito e di furore, e senza alcun significato. (...)
(William Shakespeare, Macbeth. Traduzione di Gabriele Baldini, ed.BUR-Rizzoli)

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