YEELEN (La luce, 1987) Scritto e diretto da Souleymane Cissé (Mali) Fotografia: Jean-Noël Ferragut. Musica: Michel Portal, Salif Keita. Interpreti: Issiaka Kane (Nianankoro); Aoua Sangare (Attu); Niamanto Sanogo (Soma); Balla Moussa Keita (Peul King); Soumba Traore (Nianankoro's Mother); Ismaila Sarr (Djigui); Youssouf Tenin Cissé (Attu's Son); Koke Sangare (Komo Chief). Durata: 106 minuti.
In una radura verde (contrasto forte con il giallo della savana, indica che c’è acqua) si tiene la riunione, il Gran Consiglio, dei sacerdoti del Komo. C’è anche Somà, che spiega a tutti la pericolosità del figlio e la sua perfidia. Sembra la riunione degli Jedi di Guerre Stellari, i maghi sono tutti personalità forti; Somà appare sempre (in tutto il film) come molto aggressivo e arrogante, con voce acuta e urlante. Somà accusa il figlio di aver tradito lo spirito del Komo e di essersi impossessato dei simboli in maniera illecita. I sacerdoti parlano in tono aulico, con molti vocativi, forse in versi: sembra il linguaggio dell’Antico Testamento, ma non arrivano a una conclusione. Somà si rimette in marcia, e invoca il genio dei bivi e dei quadrivi, come se fosse dentro l’Edipo Re, oppure nel blues Crossroads di Robert Johnson (nero americano). Ha sempre con sè il Bastone con i due portatori.
Accompagnato da Attou, non più regina ma ormai sua moglie, Nyanankoro arriva alle rocce; salgono verso l’alto. In montagna c’è l’acqua, in abbondanza. Nyanankoro si rivolge ad un uomo seduto, gli chiede a chi bisogna chiedere il permesso per accedere alla fonte sacra, una cascatella. L’uomo gli dà il permesso (è infatti lui l’incaricato), Nyanankoro si spoglia e si purifica lavandosi e facendo scorrere su di sè l’acqua; poi manda Attou a fare la stessa cosa. Nyanankoro chiede all’uomo seduto l’origine dell’acqua; gli risponde che ce ne è molta, un pozzo senza fondo; ma che gli abitanti del luogo sanno anche come far piovere quando ce ne è bisogno.
L’uomo porta Nyanankoro da suo zio, Djigui Diarra (Gighì Diarà) . E’ cieco, e gli spiega che è il gemello di suo padre. Quando era giovane, chiese al padre di essere iniziato anche lui, e non solo Somà, ai misteri del Komo: era convinto che fosse giusto portarne i benefici alla maggior gente possibile. Ma il padre si arrabbiò moltissimo, andò a prendere l’Ala del Kore, luminosissima, e il suo splendore accecò per sempre Djigui.
“La vita e la morte sono come due scaglie della stessa corazza, l’una vicina all’altra”, dice Djigui a Nyanankoro. Gli profetizza la nascita di un figlio (accanto a loro c’è Attou), maschio. Il bambino sarà importante per il Komo, e ci saranno grandi cambiamenti per i Bambara, e anche catastrofi. I Bambara verranno ridotti in schiavitù e rinnegheranno la loro fede, il paese sarà oggetto di cupidigia da parte di stranieri; però la famiglia di Nyanankoro sarà salva e i cambiamenti alla fine porteranno benefici. Djigui sembra un profeta biblico, ha una tunica gialla molto ricca e ricamata.
Nyanankoro consegna allo zio gli oggetti che gli ha donato la madre; c’è una pietra che il cieco riconosce subito: è l’occhio magico, la pietra che completa l’Ala del Kore. Djigui custodisce l’Ala del Kore; manda il nipote a prenderla e colloca l’occhio al punto giusto, completandola.
Nyanankoro parte per il luogo dove ci sarà lo scontro con il padre. Attou disobbedisce al marito che le aveva detto di stare con Djigui; lo raggiunge in mezzo al paese, ma Nyanankoro (con l’Ala del Kore sulla spalla) la convince a tornare indietro e le dà la sua tunica, per donarla al figlio in suo ricordo. Nyanankoro deve risolvere da solo la sua questione.
Padre e figlio si incontrano. Il Bastone Magico sfugge dalle mani dei portatori, vola in cielo, si libera della copertura, va a conficcarsi in verticale nel terreno, precisamente di fronte all’Ala del Kore posata da Nyanankoro, in parallelo. E’ identica al palo che abbiamo visto all’inizio, quello dove era appeso il gallo sacrificale, con le due pietre piramidali.
“La morte è come un coltello nella cintura”, dice Nyanankoro al padre: intende dire che non è da temere. Ora il ragazzo sa che Somà è davvero suo padre, cosa della quale dubitava.
La Voce del Komo si fa sentire: dice che i Diarra hanno abusato del potere del Komo, che Somà morirà e che il Bastone andrà altrove. Somà è spaventato e perplesso.
Rivediamo il bambino con la capra bianca, come all’inizio, che arriva davanti alla statua del giovane seduto (suo padre Nyanankoro?).
Siamo al combattimento finale. I due si guardano a lungo, c’è una lunga sequenza al rallentatore dell’apparizione di un toro rosso (con le corna lunghe e la gobba come uno zebù), cui segue un toro nero, possente, simile ai nostri tori. Poi un elefante, che si sovrappone al volto del vecchio, e un leone, che si sovrappone al volto del giovane. Dall’Ala del Kore e dal bastone sorge una grande luce, che acceca Somà; segue una luce bianca su tutto lo schermo, per un tempo considerevole.
Alla fine, vediamo rocce vulcaniche, vapori, desolazione, montagne aride.
L’Ala del Kore è ritta e intatta; ad essa si avvicina Attou, che estrae dalla sabbia del deserto due sfere bianchissime, grandi come uova di struzzo. Le si avvicina il bambino, che porta le sfere altrove camminando fra le dune. Le consegna alla madre, che gliene rende una e gli dà la tunica gialla di Nyanankoro; la madre prende l’altra sfera e la porta sotto l’Ala del Kore; la seppellisce in quel punto, poi prende l’Ala del Kore e la porta al bambino. Vanno via insieme; il bambino porta l’Ala del Kore. Il bambino, con la tunica e l’Ala del Kore, da solo, cammina su una duna e sparisce lentamente alla nostra vista. Per tutta la scena, suono di tamburi e di sonagli, e un campana acuta, musica molto simile a quella dei riti buddisti.
Il riassunto che ho fatto non è facile da seguire, e me ne dispiace molto. Ma le cose da raccontare sono molte, e soprattutto manca la parte visiva, che è fondamentale. Nel film ci sono probabilmente molti tagli, si direbbe che manchi qualche raccordo nella storia che ne faciliti la comprensione.
Avrei voluto vedere altri film di Cissé, purtroppo non mi è stato possibile; al di fuori dei festival per specialisti, non c’è mai stato spazio per il cinema africano. Sugli schermi è arrivato di tutto, ma non questo; d’altra parte, non ero io a decidere e così è giusto, perché c’è di sicuro gente molto più capace di me di gestire il cinema e il mondo dell’arte in generale. E in quel periodo, non va dimenticato, nelle sale c’erano i film di Nando Cicero e si erano appena affacciati i Vanzina: non sia mai che fosse arrivato un regista dall’Africa nera a portargli via il posto...(non che oggi la situazione sia molto cambiata; e se è cambiata non è di certo in meglio).
Rimane la sensazione di una grande nostalgia per un tempo che non c’è più: chissà se questi luoghi sono ancora così belli e incontaminati. Da quelle parti infuriano le guerre e le compagnie petrolifere e minerarie, le pianure sono devastate dalle Parigi-Dakar e dai fuoristrada; ed è più che probabile che i figli e i nipoti delle persone che vediamo nel film siano oggi qui vicino a noi, magari nell’appartamento accanto al nostro. Nel caso che stiano leggendo queste mie note, sappiano che vedendoli da qui noi li abbiamo invidiati molto, in quel 1987; e penso che anche loro non si sarebbero mai mossi dal paradiso terrestre se non fossero stati costretti a farlo.
3 commenti:
Ho letto con molto interesse questi post su un film che deve essere bellissimo da come ne parli, ma che non ho avuto il piacere di vedere e che è introvabile. Non posso perciò parlarne, ma mi ha colpito il titolo: Yeelen, la Luce riferita realmente alla nostra fonte primaria di luce, vita e calore, il Sole stesso divenuto poi per analogia simbolo di ogni principio vivificante e penetrante.
E soprattutto la prima scena che descrivi del sorgere del sole mi ha subito fatto venire in mente una esperienza di cui parla Jung nel suo libro di memorie, durante il suo viaggio in Africa, in Kenia e Uganda. Al mattino, allo spuntare del sole, gli indigeni Elgonyi (abitanti delle pendici del monte Elgon) si sputavano sulle mani e le alzavano rivolgendole verso il Sole nascente. Il vecchio del villaggio gli spiegò che si trattava di un gesto di adorazione riservato al sole esclusivamente al momento del suo sorgere perchè solo allora era "adhista", cioè manifestazione della energia divina e Dio esso stesso. Mi sembra molto interessante perchè nella nostra concretizzazione il sole è sempre lo stesso, mentre per gli indigeni che vivono (o vivevano) direttamente a contatto con i cicli e i ritmi della natura, i diversi momenti del viaggio solare, così come le fasi della luna, hanno significati molto diversi. Anche noi siamo incantati dal sorgere del sole e dal suo sparire, ma la nostra è una emozione soprattutto estetica e ne abbiamo perso il contatto sacrale. Non che il sole sia Dio, ma lo manifesta al massimo al momento del suo sorgere...
Qui siamo in Mali, dove c'è la sorgente sacra dev'essere il posto famoso dove ci sono i Dogon - ma siccome non sono sicuro non l'ho scritto. Si vedono comunque bene quelle grotte famose, scavate in alto nella roccia gialla.
Il gesto dello sputare per togliere e mettere malefici o per fare magie è ripetuto molte volte; fatto con grazia, bisogna dire.
Gli attori sono bravissimi, si vorrebbe saperne di più; anche sui significati dei gesti e dei rituali sarebbe bello trovare qualche spiagazione precisa. Per esempio, qui ho messo all'inizio un gesto che si faceva anche da noi: prima di bere, il sacerdote più anziano versa un po' di birra per terra, come omaggio. Non so se si è capito il gesto, ma mi piaceva molto mettere quest'immagine.
Come avrai visto, torna la simbologia dell'uovo, e in modo potente.
Yeelen si può trovare su Amazon: me lo segnala Graziano di www.currenticalamo.com e io colgo l'occasione per segnalare il suo post sulla luce e su Eliasson (il link è qui a destra)
...Solo per darti la url del sito dove puoi acquistare il dvd di Yeelen.
Eccola: http://www.amazon.com/Yeelen-Issiaka-Kane/dp/B0000D0YWS
Un caro saluto.
Graziano
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