Paris, Texas (1984) Regia di Wim Wenders. Scritto da Sam Shepard e Wim Wenders, adattamento di L.M. "Kit" Carson. Fotografia: Robby Muller Musica: Ry Cooder. Interpreti: Harry Dean Stanton, Hunter Carson, Nastassja Kinski, Dean Stockwell, Aurore Clément, Sam Berry, Bernhard Wicki, Claresbie Mobley, Viva Auder, John Lurie, Tom Farrell (147 minuti)
« “Paris, Texas” è legato al mio incontro con Sam Shepard avvenuto durante l’avventura di “Hammett”. (...) L’origine di “Paris, Texas” è anche nell’Odissea, che avevo letto per la prima volta a Salisburgo. Secondo me il suo mito non può prendere corpo nel paesaggio europeo, mentre trova la sua giusta collocazione nel paesaggio dell’America dell’Ovest.» (Wim Wenders, da “Stanotte vorrei parlare con l’angelo”, UbuLibri 1989)
Prima di tutto, prima di ogni altra considerazione: questo film è di una bellezza assoluta, spettacolare. Parlo delle immagini: se volete capire chi è Wenders e come racconta, visto che non si può più andare al cinema a vederlo (ahinoi), procuratevi il dvd e il televisore più bello possibile. E guardatevi, fin dall’inizio, la meraviglia delle riprese, nitide fin nei minimi particolari, dei panorami del Texas e di Los Angeles, e delle strade che li collegano. Una meraviglia, una festa per gli occhi dall’inizio alla fine del film; e gran parte del merito va all’operatore Robby Müller, uno dei grandi maestri nella storia dei direttori della fotografia, capace di filmare anche l’impossibile.
E adesso si può parlare del film, cioè del suo soggetto. Non mi capita facilmente di commuovermi, ma questo è un film che commuove. Racconta di un padre e di un figlio, di problemi grandi come una casa (alcolismo, prostituzione, vagabondaggio) ma lo fa con una delicatezza inarrivabile, e con altrettanta profondità. E’ un roadmovie, la situazione è simile a quella di “Alice nelle città”, ma il suo protagonista, Harry Dean Stanton, non è come Rüdiger Vogler: è più nevrotico, ansioso, si vede subito la sofferenza che esprime; ed è anche più vecchio, un padre cinquantenne per un bambino di sette anni, con una moglie bellissima che ha la metà dei suoi anni. Una famiglia andata in frantumi, dove solo il bambino si è salvato dalla deriva: è stato praticamente adottato dallo zio paterno e da sua moglie, e lì lo troviamo all’inizio del film, sereno e contento.
Wenders come Comencini, e come De Sica, coi bambini è magnifico. Non so cosa sia, forse un dono di natura: sta di fatto che la recitazione del bambino (Hunter Carson, figlio dell’attrice Karen Black e di uno degli autori del film) è assolutamente naturale, così come lo era la bambina (stessa età, tra i sette e gli otto anni) che interpretava “Alice nelle città”. Wenders spiega che il bambino ha avuto parte decisiva in molte delle scene, e anche sul finale del film. La libertà concessa al bambino la si capisce al volo, per esempio nel giochino del walkie talkie tra padre e figlio - una scena che oggi non si potrebbe più fare, che peccato (i telefoni cellulari sono comodi, ma hanno tolto molto fascino al cinema). I walkie-talkie, radiotelefoni che avevano una portata limitata, che a noi sembravano solo un gioco per bambini e come tali venivano infatti venduti nei negozi di giocattoli, avevano in realtà un uso pratico in quei posti di lavoro, come i cantieri edili e i set cinematografici, dove era indispensabile comunicare a distanza fra le varie persone che stavano lavorando.
Per le immagini, Wenders e Robby Müller hanno scelto dei modelli precisi, molto americani: il fotografo Walker Evans e il pittore Edward Hopper. Sul rapporto fra Hopper e Wenders è stata fatta anche una mostra fotografica, pochi anni fa, che ha girato per varie città.
La musica che percorre tutto il film viene da un vecchio disco di blues del 1928, una canzone che si chiama “Dark was the night” e che è opera di un signore che si chiamava Wild Billie Johnson; la suona e la rielabora Ry Cooder, ed è un’altra delle cose indimenticabili di “Paris, Texas”.
L’attore protagonista è Harry Dean Stanton, che aveva già una lunga carriera alle spalle, ma quasi soltanto in parti di fianco. Qui è finalmente impiegato in un ruolo che gli permette di dimostrare tutta la sua bravura, e da “Paris Texas” in avanti la sua carriera avrà una svolta. Il titolo del film è spiegato proprio da lui nel corso del film: Parigi, ma nel Texas, è il luogo dove è stato concepito. Era suo padre, padre anche di suo fratello, che lo diceva sempre, una vecchia e simpatica battuta: Parigi, ma quella del Texas. E Paris, Texas, è solo un posto qualsiasi nel deserto.
Suo fratello è interpretato da Dean Stockwell, la moglie dalla francese Aurore Clément: due interpretazioni di quelle che rimangono in memoria, gesti semplici ma molto toccanti e partecipi. Viene da chiedersi come mai gli attori non siano tutti così, come in questo film: ma forse qui sta la magia dei veri grandi autori, che con i loro collaboratori hanno sempre un rapporto speciale che va al di là delle semplici capacità professionali.
E infine, una nota per gli appassionati che nel film si aspettano altro: il film dura due ore e un quarto, e Nastassja Kinski la vediamo apparire solo dopo un’ora e trentadue minuti.
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