Morte a cinque voci (Tod fur funf Stimmen, 1995), di Werner Herzog. Documentario su Gesualdo da Venosa. Musiche di Gesualdo da Venosa. Fotografia: Peter Zeitlinger Interpreti: Alan Curtis e Il Complesso Barocco, Gerald Place e il Gesualdo Consort di Londra, Pasquale D'Onofrio, Salvatore Catorano, Angelo Carrabs, Milva, Angelo Michele Trorriello, Raffaele Virocolo, Principe d'Avalos. Durata: 59 minuti.
Gesualdo da Venosa (Carlo Gesualdo principe di Venosa, 1560-1613) è unanimemente riconosciuto come uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi; per alcuni è addirittura il più grande. Le sue composizioni, madrigali e musica sacra, sono belle e difficili: solo un musicista vero, che conosca il contrappunto e la polifonia, può apprezzarle come si deve. Non è come Bach, che è rigoroso e matematicamente perfetto, ma ha anche il dono della melodia e conosce la semplicità: Gesualdo è sempre molto difficile, spesso astratto, richiede molto impegno anche solo per l’ascolto.
Alla vita di Gesualdo è dedicato questo breve documentario di Werner Herzog. Non è uno dei suoi migliori, e si può capirne il motivo: si tratta infatti di un soggetto molto impegnativo, perché il celestiale Gesualdo è anche il responsabile dell’assassinio della propria moglie, e del suo amante; era nobile e ricco, e il delitto d’onore, già per conto suo, era visto con occhio di particolare riguardo: se la cavò con poco e continuò a scrivere musica.E’ stato anche ispiratore di molte dicerie e leggende, che Herzog riporta con cura forse eccessiva; ma non si può nascondere una certa inquietudine nel venirne a conoscenza. Herzog inizia infatti anche un discorso sulle malattie mentali, ma la sceneggiatura è un po’ monca e goffa, le immagini non sono mai all’altezza di quelle straordinarie di quando Herzog lavorava con operatori come Thomas Mauch, tutto il discorso rimane appena abbozzato. Forse Herzog voleva farne un film, sul tipo del “Kaspar Hauser”, e poi ha rinunciato? Troppo difficile il soggetto, viene da pensare, troppo forte: molto più che Jekyll e Hyde, per intenderci, e anche molto più difficile di “Nosferatu”.
Gesualdo visse fra Venosa, Napoli, Ferrara (capitale della musica, dove si risposò, ma la moglie lo detestava), e il regista ci porta a vedere i luoghi dove visse e abitò, compresa la terrificante Cappella Sansevero di Napoli, che pare abbia qualche attinenza con le sue attività alchimistiche. Va però detto (Herzog non lo dice perché probabilmente gli fa comodo) che l’alchimia in quei secoli pre-scientifici era pratica diffusa: perfino Claudio Monteverdi, che era persona mite e devota, e sanissimo di mente, la praticò a lungo, anche perché era figlio di farmacista e per confezionare medicine e preparati chimici nel ‘500 e nel ‘600 la tecnologia era ancora tutta di origine alchemica.
Herzog gioca molto sulla contrapposizione tra il mondo quotidiano e quello di Gesualdo, ma Gesualdo non ha nulla di quotidiano o di popolaresco, e non so quanto il gioco proposto sia riuscito: direi poco. Herzog fa un passo indietro rispetto alle sue abitudini e gira un normale documentario, tutta la sua pazzia l’ha già sfogata altrove, in Aguirre e Fitzcarraldo. E forse è giusto così, ma chi si aspettava lo Herzog di Aguirre e Fitzcarraldo rimarrà deluso.
Il film è girato a Gesualdo (il paese in provincia di Avellino dove c’è ancora la casa di famiglia), Arezzo, Cortona: si nota subito che manca Ferrara, e la scelta di alcune locations lascia un po’ perplessi, così come la scelta di chiudere il film con l’interminabile primo piano di uno sbandieratore col telefonino.
La musica è eseguita da Alan Curtis, e dal Gesualdo Consort of London diretto da Gerald Place. Alan Curtis dice: « Quando ascoltai per la prima volta la musica di Gesualdo, quarant’anni fa al college in Michigan, non la trovai bella; la trovai affascinante ma difficile. Ovviamente, egli era un uomo difficile che scriveva musica difficile - e che viveva in tempi difficili, in cui la gente doveva rischiare e c’era avventura e tensione, come c’è ancora oggi in Italia (sorride). E’ ancora necessario assumersi dei rischi, e credo che questa sia una delle chiavi di lettura di Gesualdo. Gli esecutori devono assumersi dei rischi, osare; solo allora la bellezza di questa musica selvatica appare in piena luce.» All’inizio del film, un’altra citazione d’obbligo: « L’essere un dilettante gli permise di scrivere per sé, come più gli sembrava giusto. Non doveva compiacere dei committenti, o aspirare al successo con il pubblico.»
Nel Palazzo d’Avalos a Napoli (Maria d’Avalos era la moglie che fu assassinata da Gesualdo), un discendente del compositore suona il preludio dal Tristano di Wagner (1857-59): spiega che è basato anch’esso su accordi molto distanti, come faceva Gesualdo e come non faceva nessun altro; si tornerà a scrivere come Gesualdo solo da Wagner in poi.
Il contrappunto è una misura del Tempo. Anni fa ho avuto modo di parlare con dei cantanti, che eseguono questo repertorio, e mi hanno spiegato che c’è un piacere profondo nella perfezione degli “incastri” tra le varie voci della polifonia: bisogna essere precisi, andare a tempo, altrimenti crolla tutto. E’ difficile, bisogna essere bravi ma si può fare. Un piacere non spiegabile se non si entra almeno un po’ nella Musica; e al contrappunto dobbiamo pagine e pagine di musica bellissima, da prima di Gesualdo e per molti secoli ancora dopo di lui.
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