lunedì 17 maggio 2010

Le voyage imaginaire

LE VOYAGE IMAGINAIRE (t.l.: Il viaggio immaginario, 1925) Soggetto, sceneggiatura e regia: René Clair; aiuto-regia: Georges Lacombe; fotografia: Amédée Morin e Jimmy Berliet; scenografia: Robert Gys. Interpreti: Dolly Davis (Lucie), Jean Borlin (Jean), Albert Préjean (Albert), Jim Gérald (Auguste), Paul Olivier (il direttore), Maurice Schutz (la vecchia), Marguerite Madys (la fata buona), Yvonne Legeay (la fata cattiva); produzione: Rolf de Maré; durata: 80'.

Una ragazza molto carina è contesa da tre uomini, suoi colleghi d’ufficio; il protagonista è Jean, faccia da bambino con una frangetta molto strana. Jean viene preso in giro dai colleghi, è piuttosto goffo, non si è nemmeno accorto che è lui il preferito della ragazza; ma ecco che nell’ufficio si affaccia una donna anziana, una chiromante molto brutta che gli predice un futuro radioso e che sposerà la donna che ama. Jean sospira e si rimette al lavoro; più avanti, salverà l’anziana donna da due malintenzionati, e la donna adesso vuole che il giovanotto la baci. Jean è gentilissimo, la donna è molto brutta ma lui chiude gli occhi ed esegue. Sorpresa: la donna è una Fata, che grazie al bacio di Jean riacquista i suoi poteri. Infatti, solo il bacio di un giovanotto poteva estinguere il terribile sortilegio lanciatole da un mago adirato.
Per ricompensa, la Fata trascina Jean sottoterra, in un viaggio fantastico che comincia dal tronco cavo di un albero. Nel reame sotterraneo, tra grandi porte dentate e altre oscure minacce, Jean finirà in mezzo a tante donne, ma – disdetta -tutte brutte ed anziane: sono tutte Fate, riunite in un ospizio perché ormai nessuno crede più alla favole. Dovrà baciarle tutte: la cosa non gli fa certo piacere, ma – sorpresa! – ad ogni bacio, le donne anziane si trasformano in ragazze giovani e belle, con una grande stella dorata in fronte. Sono tante e la cosa richiede un po’ di tempo, ma Jean si applica con grande professionalità.
Nel reame sotterraneo c’è subito una festa, e arrivano tutti i Vip: il Gatto con gli stivali, Barbablù, Cenerentola e il Principe Azzurro, tanta bella gente. Però Jean non è contento, non sa cosa farsene di tante belle ragazze, lui vuole solo la sua Lucia: e l’avrà, le fate la fanno comparire a partire da una sola scarpina.
Ma tra le fate c’è anche la Fata Cattiva, cattivissima: trasforma Lucia in un topolino, che fugge a nuoto nella piscina inseguito dal Gatto. La Fata Buona rimetterà tutto a posto, ma intanto giungono anche i due colleghi di Jean, sempre dal cavo dell’albero, stesso percorso: nel parapiglia finiscono in piscina e ne risorgono subito, vestiti solo con un pannolino da neonati ma con la bombetta in testa. Tutti e quattro (forse fanno troppa confusione), vengono presto spediti via dal Regno delle Fate e si ritrovano di sopra, nel mondo normale, sui tetti di Notre Dame; ma siccome la Fata Cattiva ha dato ai rivali di Jean un anello fatato, Jean viene trasformato in cane (un piccolo bulldog).
Lucie cerca Jean ma non lo vede e non sa che è un cane; tutti insieme finiscono al Museo Grevin, il Museo delle Cere, dove però i cani non sono ammessi e dove Jean dovrà lottare con i poliziotti per entrare. Segue una lunga scena notturna al Museo delle Cere, dove il cagnolino vive momenti drammatici ma verrà salvato dalla statua di cera di Charlot, vero deus ex machina (ma prima di lui c’è un boxeur, risvegliato da Lucie, che fa il lavoro grosso).

Se avete capito tutto siete stati bravi: ovviamente si tratta di un sogno, dal quale Jean si risveglierà conscio delle sue possibilità, verso un lieto fine clamorosamente felice.
“Le voyage imaginaire”, scritto e diretto da un giovanissimo René Clair, è un film allegro e divertente, pieno di trovate, che però è diventato quasi introvabile: io ne ho una copia in pessime condizioni, e trovare le immagini in rete non è facile, perciò mi sono dovuto un po’ arrangiare (un paio di queste foto, le più pertinenti al film, vengono da http://eldesvandelabuelito.blogspot.com )
“Le voyage imaginaire” , che - se ci si pensa bene - potrebbe essere il titolo definitivo per tutta la storia del cinema, quello che meglio ne riassume il percorso, è liberamente ispirato a una precedente comica di Harold Lloyd, “Il talismano della nonna”, e ha molto che fare con il surrealismo; ma con René Clair tutto diventa un gioco, e ci si diverte molto. Il reame sotterraneo delle fate è molto buffo, sembra preso da un cartone animato o da un film di Karel Zeman, e l’influenza di Méliès (che aveva smesso di fare film già da dodici anni) è così dichiarata da sfociare in apertissime citazioni. Il film è molto datato, ma anche molto simpatico; e i panorami di Parigi visti da Notre Dame meritano da soli la visione del film.
Le statue di cera, numerosissime, hanno tutte gli occhi chiusi e le iridi disegnate sulle palpebre abbassate: c’è di tutto, da Jack lo Squartatore a Robespierre con i girondini e i giacobini (ovviamente alle prese con una ghigliottina che vorrebbero subito usare), guardie e ladri in grande quantità: come si vede nel cinema non si inventa niente e si ricicla moltissimo, se andate a vedere il recentissimo “Una notte al Museo” molte gags sono simili.
Stranamente, al tempo della sua uscita il film fu un insuccesso: va detto che la concorrenza era spietata, negli anni ’20 erano in piena attività tutte le grandi star del cinema muto, da Charlot a Griffith alle comiche di Mack Sennett e Ridolini, e stavano arrivando anche Stanlio e Ollio, i fratelli Marx...Insomma, non era più il tempo di scherzare e bisognava fare sul serio, diventare più professionali: René Clair aveva tutte le carte in regola per diventare uno dei grandi del cinema, e lo avrebbe dimostrato ampiamente e già dal 1927, con “Il cappello di paglia di Firenze”, diventerà uno dei preferiti dal grande pubblico. Il film è prodotto da Rolf de Maré, che era l’impresario della compagnia di ballo che aveva commissionato a Clair “Entr’acte”.
Dolly Davis, la protagonista femminile, è come tutte le donne del primo Clair, molto bella e molto simpatica (René Clair sapeva scegliersi bene le sue attrici!). Dei protagonisti maschili, Albert Préjean lavorerà moltissimo in seguito sia con Clair che con Jean Renoir. Il piccolo bulldog è il miglior attore del film, recita benissimo, una grande interpretazione: e non è un modo di dire, guardate il film e poi venitemi a dire se ho torto.
PS: Non ho trovato immagini relative allo Charlot del film, perciò – data l’importanza di Charlot nel film - ne prendo una del vero Charlot: il cane che gli è accanto è identico a quello del film di Clair, ed è quindi probabile che sia una citazione diretta.

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