giovedì 20 maggio 2010

Mahabharata: storia di Amba

The Mahabharata (1989). Regia di Peter Brook. Dal poema indiano. "Mahabharata" Sceneggiatura: Peter Brook, Jean-Claude Carrière, Marie-Hélène Estienne Direttore della fotografia: William Lubtchansky Montaggio: Nicholas Gaster Assistente regia: Marc Guilbert, Marie Hélène Estienne, Philippe Tourret Scenografia: Emmanuel de Chauvigny Costumi: Chloé Obolensky, eseguiti da Barbara Higgins Musica: Toshi Tsushitori, Kim Menzer, Kudsi Erguner, Mahmoud Tabrizi-Zadeh, Diamchid Chemirani, Sarmila Roy
Interpreti. Robert Langdon Lloyd (Vyasa) Bruce Myers (Ganesh/Krishna) Vittorio Mezzogiorno (Arjuna) Andrzei Seweryn (Yudhishthira) Mamadou Dioume (Bhima) Jean Paul Denizon (Nakula) Mahmud Tabrizi-Zadeh (Sahadeva) Mallika Sarabhai (Draupadi) Myriam Goldschmidt (Kunti)Erika Alexander (Madri/Hidimbi) Richard Ciezlak (Dritharashtra) Hélène Patarot (Gandhari) Georges Corraface (Duryodhana) Jeffrey Kissoon (Karna) Yoshi Oida (Drona) Sotigui Kouyate (Bhishma/Parashurama) Ciaran Hinds (Aswattaman) Tapa Sudana (Salya/Shiva/Pandu) Corinne Jaber (Amba/Sikandin) Velu Viswanadhan (Santanu) Leela Mavor (Satyavati) Tuncel Kurtiz (Shakuni) Durata: 318 minuti

A Parigi, a metà anni ’80, in teatro, Peter Brook decise di mettere in scena una delle opere poetiche più grandi della storia dell’umanità: il Mahabharata. Si fece aiutare dallo scrittore Jean Claude Carrière, ed insieme misero mano ad una riduzione del grande poema indiano.
Quando si dice “grande”, riferito al Mahabharata, non è un modo di dire e nemmeno un’opinione: si tratta del più lungo poema epico conosciuto, diviso in 18 libri per un totale di 106.000 distici, corrispondenti a quindici volte la Bibbia, a sette volte e mezzo l'Iliade e l'Odissea messe insieme. Jean-Claude Carrière, che ha scritto la riduzione per il teatro e poi la sceneggiatura, ha detto che serve un anno solo per leggerlo. Il testo originale è in sanscrito e risale al quarto secolo dopo Cristo, ma è un testo che viene trasmesso per via orale da un tempo che si può soltanto immaginare. “Mahabharata” (l'accento tonico cade sulla terza a ) significa una apologia «grande» (maha) della nobile famiglia dei Bhàrata, da cui presero origine negli anni e nei secoli successivi le stirpi dei Kaurava e dei Pandava che, pur legati da stretti vincoli di sangue, si trovarono a guerreggiare ferocemente tra di loro. «Bharata» significa per estensione “hindu” e più generalmente “uomo”: dunque, Mahabharata è “la grande storia dell'umanità”. In India il «Mahabharata» è ovunque, come per noi la mitologia greca o romana, e ancora più popolare. Dodicimila pagine di epica e filosofia, che Brook riassume così: «E' un'epopea con eroi, dei, demoni ed animali favolosi, ma è anche un'opera intima: i personaggi, infatti, sono anche vulnerabili, pieni di contraddizioni, umani. Gli indiani ne parlano come se si trattasse di loro parenti che potrebbero suonare alla porta da un momento all'altro».
Lo spettacolo di Peter Brook andò in scena per la prima volta al Festival di Avignone, nel 1985, e durava nove ore: nove ore di teatro, divise in tre sere ma anche tutte di seguito. Si proseguì poi a Parigi; ha girato tutto il mondo ed è arrivato anche da noi, ma solo a Prato, in tre serate. Nel 1989 esce la versione filmata in due versioni, una di quasi sei ore che verrà trasmessa in tv e una ridotta a due ore e mezzo per il cinema. L’originale teatrale era in francese, la versione filmata è in inglese; il cast è internazionale, con attori di 16 paesi diversi. La versione completa è pubblicata su dvd dalla Dolmen Home Video.
Non si tratta di una ripresa dal teatro, ma di un lavoro diverso, fatto in studio e ripensato per il cinema a partire dall’allestimento teatrale, del quale conserva il cast intero (un cast internazionale, con attori provenienti da 16 nazioni di tutto il mondo), fatto di attori eccezionali ma quasi tutti poco noti. Il più famoso è forse Vittorio Mezzogiorno, che all’epoca era reduce dal grande successo internazionale della “Piovra”, e che ha uno dei ruoli principali. In un’intervista del 1989 Mezzogiorno raccontava il lavoro con Brook come esaltante ma anche molto impegnativo, sul piano fisico e non solo: « (...) è un lavoro improntato alla semplicità come punto di arrivo, all'essenzialità. Un giorno il regista si è presentato con una ruota: "Simboleggia un carro", ci ha detto. E ha aggiunto: “Se saremo bravi non avremo bisogno di altro, se non saremo bravi utilizzeremo carri dorati ed elefanti". »
La visione del film è dunque piuttosto impegnativa, ma il film è anche molto spettacolare, e ha attori favolosi dei quali ci si può solo innamorare. Viste le sue dimensioni, e viste le dimensioni di quello che c’è dietro, provo a raccontare il “Mahabharata” meglio che posso, una storia alla volta; e comincio da quella che più mi ha colpito. E’ una storia sulla reincarnazione, ed è una delle riflessioni più profonde che mi sia mai capitato di incontrare in proposito.
Storia di Amba e di BhishmaBhishma è un re guerriero, ma anche un filosofo e un uomo molto devoto. Si rivolge agli dèi, ed emette un voto solenne e molto complesso; gli dèi sono molto contenti di lui, e per questo suo voto Bhishma ottiene un dono che è molto vicino all’immortalità: potrà scegliere egli stesso il momento della sua morte. Ma del giuramento così complesso, con il quale si consacra agli dèi, fa parte anche il voto di castità: ne consegue che Bhishma non può più essere re, perché non potrà avere eredi. E così fa, lasciando il trono a suo fratello.
A questo punto entra in scena Amba: è una giovane che è stata vinta come sposa da Bhishma, in un torneo nel quale il valoroso guerriero ha combattuto. Amba supplica Bhishma di lasciarla andare: ha un fidanzato che ama e che la ama, e una famiglia che la riaccoglierà a braccia aperte. Bhishma la lascia andare, per via del suo voto di castità ma soprattutto perché il suo animo è buono e grande. Ma una brutta sorpresa attende Amba: il fidanzato la respinge, perché ormai (secondo il suo parere) è stata di un altro uomo; e il re suo padre la scaccia, perché in quella situazione (respinta due volte) non è più degna di stare a corte. Amba torna da Bhishma, che però le spiega che la accoglierebbe più che volentieri, ma il suo voto non glielo consente. Amba è colta da una terribile ira, e giura che ucciderà Bhishma per quel rifiuto, e che da quel momento solo a questa missione, che sa essere praticamente impossibile, sarà dedicata la sua vita.
Passano molte pagine del libro, e molti eventi succedono. Ritroveremo Amba sul campo della battaglia di Kurukshetra, nel finale. Si presenta a Bhishma, capo imbattibile di uno dei due eserciti, ed ha un aspetto terribile. E’ notte, e i due sono soli; Amba parla apertamente a Bhishma, e lo fa con estrema durezza; gli racconta le infinite prove che ha dovuto superare per poter essere degna di affrontarlo, e così conclude: « ..... Io sono morta, Bhishma. Sono morta e mi sono reincarnata in Sikhandin, un guerriero schierato con l’esercito di Arjuna; ora finalmente potrò ucciderti.»
Bhishma, colpito da quelle parole, chiama Krishna: poiché la battaglia non potrà mai terminare fino a quando Bhishma combatterà, egli comunica al dio che ha deciso che è giunto il momento della sua morte, così da porre fine alla carneficina che dilania i due rami della stessa sua famiglia. E pone una condizione: a scoccare la freccia che lo ucciderà deve essere un guerriero che si trova nelle loro fila, e che si chiama Sikhandin.
Ed ecco arrivare l’alba, e il momento fatidico: Sikhandin è davanti a Bhishma, che lo riconosce e si ferma, smette di combattere e lo guarda. Di fianco a Sikhandin, l’eroe Arjuna e il dio Krishna; Arjuna invita il giovane a scoccare la sua freccia, ma Sikhandin gli risponde che non può, non può uccidere quel vecchio così bello e così valoroso, dall’aspetto così saggio e dallo sguardo così benevolo nei suoi confronti. « Avanti, Amba! Che cosa aspetti? Scocca la tua freccia!» grida Bhishma. Sikandhin, pallido in volto, lascia cadere l’arco e arretra: « Perché mi chiami Amba? Io sono Sikhandin, l’arciere...»Allora Krishna ordina ad Arjuna di scoccare la freccia; è Krishna stesso a guidarla, invisibile, fino al petto di Bhishma. Il vecchio guerriero, duramente colpito, riconosce dal dolore atroce che la freccia non proviene da Sikhandin: cos’è questo inganno? L’inganno è stato ordito da Krishna, non è il primo e non sarà l’unico. La vita è una partita a dadi, e spesso i dadi sono truccati.
Ed è appunto da una partita a dadi che parte la storia che è al centro del Mahabharata.
(Bhishma è interpretato dal magnifico Sotigui Kouyate, nero africano , uno degli attori preferiti di Peter Brook in teatro; Amba è la francese Corinne Jaber. Krishna è l’inglese Bruce Myers, Arjuna è Vittorio Mezzogiorno.)

4 commenti:

Marisa ha detto...

Accidenti Giuliano, ti stai mettendo in un'altra impresa "da far tremar le vene e i polsi"!
Non so se riuscirò a seguirti perchè del Mahabharata conosco solamente la Bhagavad Gita, che è il cuore mistico e yogico di tutto il poema. Apprezzo molto Peter Brook come regista teatrale (indimenticabile il Don Giovanni che ho visto al nuovo Piccolo con una compagnia di giovani), e di questa versione cinematografica ridotta ho pochi ricordi. Dovrei rivederlo. L'episodio che hai messo al centro di questo post è molto bello e ci ricorda che in definitiva scegliamo sempre noi (in genere del tutto inconsciamente) il momento di morire...
Io ne sono perfettamente convinta.

Giuliano ha detto...

E' un film a cui sono molto legato, e mi è dispiaciuto di non aver mai visto niente di Brook in teatro: negli anni in cui usciva il film il Mahabharata aveva già finito da tempo le sue tournée, ma c'erano questi attori nella Tempesta di Shakespeare...
Però questa è un'impresa già conclusa...
:-)
Risale a tre anni fa, sono sei puntate, la mia prima cosa seria scritta su un blog per il cinema. Purtroppo, lavori come questo furono tra le ragioni della rottura del gruppo originale di quel blog, del quale rimanemmo solo io e Solimano a scrivere quotidianamente. Di questa cosa mi è sempre dispiaciuto molto.
Forse più avanti aggiungerò altre puntate, vedremo. Gli spunti non mancano di certo: se ti ricordi ne ho già messo un brano in "Solaris" di Tarkovskij.

Marisa ha detto...

Sì, non solo in "Solaris". Un riferimento al Mahabharata lo hai messo anche in "Stalker" a proposito dei lanci di dadi. I motivi mitologici, anche appartenenti ad altre culture, sono sempre legati da un filo invisibile ed è molto bello scoprirli e ripercorrerli. Non è questo un modo per sentirci veramente simili ed appartenenti alla stessa "famiglia umana?". E' lo spirito che unisce, altro che la globalizzazione delle merci...

Giuliano ha detto...

Sono storie e racconti che abbiamo tutti in comune, la differenza è che in India si sono conservate. Il timore è che stia scomparendo tutto anche lì, e penso che più che un timore sia una certezza.
Mi sarebbe piaciuto approfondire questi temi, ma ormai sono parecchi anni che me ne sono distaccato. D'altronde, con i tempi che corrono, leggere e istruirsi e informarsi è diventato una cosa da disprezzare.