Psycho (1960). Regia di Alfred Hitchcock. Sceneggiatura di Joseph Stefano, da un romanzo di Robert Bloch. Fotografia di John L. Russell. Musica di Bernard Herrmann. Girato in Arizona e in California. Interpreti: Anthony Perkins, Janet Leigh, Vera Miles, John Gavin, Martin Balsam, John McIntire, Simon Oakland, Patricia Hitchcock, Frank Albertson. Durata: 109 minuti.
The Birds (Gli uccelli, 1963). Regia di Alfred Hitchcock. Sceneggiatura di Evan Hunter, da un romanzo di Daphne du Maurier. Fotografia di Robert Burks. Consulente per il sonoro: Bernard Herrmann. Suoni elettronici di Remi Gassman e Oskar Sala. Girato in California, a Bodega Bay e a San Francisco. Interpreti: Rod Taylor, Tippi Hedren, Jessica Tandy, Suzanne Pleshette, Veronica Cartwright, Ethel Griffies, Charles McGraw, Ruth McDevitt. Durata: 120 minuti.
«Quasi tutti film di Hitchcock mi hanno mandato in estasi tranne “Gli uccelli”, che pone un problema al quale un etnologo non può non essere sensibile: i rapporti tra natura e cultura. Ora, mi sembra che Hitchcock in “Gli uccelli” abbia commesso un errore molto grave: gli uccelli, che rappresentano la natura, vengono presentati unicamente sotto l'angolazione visiva, cioè, tra tutti i sensi, quello più intellettuale, più socializzato, quello che sta già sul versante della cultura. Fare un film basato sui rapporti tra uccelli e uomini nel quale non ci siano sterco e puzza, quando tutto il problema dei rapporti tra uomini e uccelli consiste in questo: avremmo dovuto vedere la gente invischiata nella sporcizia. Ed è un errore che compromette l'impresa».
- Ma il lato “operistico” degli Uccelli... perché si esprimono, “cantano”...
«Non sono neppure eloquenti, rispetto agli uccelli reali, per qualcuno che abbia esperienza di questi animali. Io conosco gli uccelli, ne ho avuti, ho allevato alcuni pappagalli in questo stesso studio... I rapporti che si stabiliscono tra gli uomini e gli uccelli sono infinitamente più conturbanti, più ambigui, anche, di quanto non si mostri nel film. Per la sua costituzione anatomica, l'uccello è molto lontano da noi; non appartiene a una famiglia animale con la quale si stabilisce facilmente una comunicazione; tale comunicazione risulta angosciante, proprio perché riesce quasi a superare gli ostacoli fisici che ci separano. Questo, inoltre, fa dell'uccello un animale straordinariamente minaccioso, misterioso, attraente e ripugnante al tempo stesso. E’ quello che si può comprendere, insieme, meno e meglio. Ma gli animali del film sono uccelli impagliati, asettici, animati da
un movimento meccanico, senza alcun significato».
- Quegli uccelli sono, forse, il veicolo di un'allegoria?
«Che però perde la propria portata, perché resta visiva e ideologica. Detto questo, ho visto la maggior parte degli altri film di Hitchcock con enorme piacere: "Vertigo -La donna che visse due volte" è stupendo».
Claude Levi-Strauss, da un’intervista del 1964 a Jacques Rivette ripresa da Repubblica 21.9.2006
Questo giudizio del grande etnologo e antropologo francese (famosissimo il suo “Tristi tropici”) mi ha divertito molto la prima volta che l’ho letto, e mi ha trovato molto d’accordo. Lo so che è un discorso che non è bello da fare, ma tanti anni fa avevo dei canarini in gabbia ed è incredibile quanto “sporchino” degli animali così piccoli. La stessa cosa accade con le galline, con i piccioni, e non oso pensare agli struzzi; e tutto questo accade non per una natura dispettosa degli uccelli, ma a causa della particolare conformazione del loro intestino. Questi aspetti ai quali accennava Levi-Strauss sono invece ben presenti e ben sottolineati in un film di Robert Altman dei primi anni ’70, che in italiano ricevette il titolo “Anche gli uccelli uccidono” (ne ho già parlato su questo blog, per chi volesse leggerlo il mio post è qui in archivio). Per quanto riguarda questo aspetto, e soprattutto per quanto riguarda il comportamento dei gabbiani, dei corvi e degli uccelli a loro simili (quelli che vediamo in “Birds” di Hitchcock) , il rimando d’obbligo è invece a uno dei libri più belli che siano mai stati pubblicati, “L’anello di Re Salomone” di Konrad Lorenz.
Ma non è una questione di etologia che non mi fa apprezzare “The Birds” di Alfred Hitchcock, quanto una ragione puramente estetica e cinematografica: il particolare sottolineato da Levi-Strauss è rivelatore, perché questo è un film finto, gli uccelli sono quasi tutti pupazzi, e i trucchi con gli uccelli veri erano già grossolani se visti a metà anni ’60 (quando io vidi “The Birds” per la prima volta); inoltre, gli attori vi appaiono quasi tutti legnosi e poco espressivi, soprattutto il protagonista maschile Rod Taylor, che avrebbe potuto benissimo essere sostituito in molte scene (anche lui, come gli uccelli) da un pupazzo; e che è lontanissimo dal fascino dei James Stewart, dei Cary Grant, e di tutti i protagonisti dei film di Hitchcock nel suo periodo inglese, prima di arrivare ad Hollywood.
Insomma, qui siamo di fronte a qualcosa che non va: i meccanismi perfetti di Hitchcock avevano cominciato a scricchiolare, i suoi attori preferiti stavano invecchiando, e già in “Vertigo” (La donna che visse due volte, secondo il titolo italiano) qualcosa cominciava a scricchiolare: e Hitchcock se ne era accorto. Il discorso diventa più chiaro se a “Birds” si accostano i film immediatamente seguenti e precedenti, il celebratissimo “Psycho” e “Marnie”.
“Psycho” è un film senile, opera di un regista che teme di essere tagliato fuori dal suo tempo e che s'inventa qualcosa di nuovo per l'epoca, nel senso di qualcosa che nessuno aveva ancora osato: mostrare il sangue di un assassinio, e una donna nuda sotto la doccia. Lo stesso discorso vale per “Gli uccelli”: non a caso, sono i due film più citati da Dario Argento quando parla di Alfred Hitchcock come suo ispiratore. A guardarli bene, i due film – osannatissimi ancora oggi da critica e pubblico – rispetto a quello che è venuto prima appaiono bruttini: l'epoca d'oro di Hitchcock è passata, e intendo quella che si situa tra gli anni '40 e gli anni '50, con una serie impressionante di capolavori. Qualcosa del talento di Hitchcock per il divertimento, la suspense e i dialoghi c'è ancora, soprattutto in “Psycho”: ma ormai l'incanto si era rotto, e il regista inglese non aveva nemmeno più a disposizione i suoi attori preferiti, Cary Grant e soprattutto James Stewart, ormai un po' troppo anziani per quei ruoli. Girando questi due film, Hitchcock ha grande successo, riprende posizioni e torna ad essere un regista di punta; ma dà anche l'avvio ad una degenerazione qualitativa del film di suspense. Ormai, è impensabile fare un film thriller (un giallo) senza grandi spargimenti di sangue e senza serial killer efferati: la strada è segnata e anche il pubblico deve adeguarsi, lo voglia o no. La stessa cosa succederà, per il cinema horror, con “L'esorcista” di William Friedkin (1973): da allora non si potranno più evitare rantoli, voci roche d'oltretomba, apparizioni mostruose, effetti speciali più o meno di cattivo gusto.
La donna nuda sotto la doccia, e il sangue che scorre, servono quasi sempre (non sempre) a mascherare l’assoluta mancanza di idee. E’ un po’ quello che accade ai comici in teatro: quando hanno paura di non riuscire a far ridere il pubblico, ricorrono alle parolacce, alle allusioni ai personaggi famosi, agli spot pubblicitari che – si suppone – li avranno pur visti tutti. E sono battute e allusioni facili, che magari fanno ridere ma che fanno anche tristezza: costruire uno spettacolo costa una gran fatica, non sempre si ha voglia di farlo, ma se ti metti in disparte non incassi e va a finire che magari ti dimenticano. Triste, ma il mondo dello spettacolo funziona anche così; e non è che con il passaggio dal teatro alla televisione le cose siano cambiate di molto.
Hitchcock è stato un grandissimo regista per più di trent’anni, ma ha sulla coscienza questa degenerazione del gusto cinematografico. Forse era lo spirito dell'epoca, in quei primi anni '60, e se non lo avesse fatto lui lo avrebbe fatto qualcun altro: ma a me dispiace che sia toccato proprio ad un maestro della suspence, ma anche della commedia e dell'eleganza, di iniziare questa strada. Penso che Hitchcock si sia reso conto di tutto questo, al di là del suo entusiasmo più che comprensibile per il gioco del montaggio cinematografico (eloquentissima la sua “dichiarazione d’amore” alla scena della doccia in Psycho, come si può leggere nella famosa intervista a Truffaut).
Lo dico perché i film degli anni ’60, quelli successivi a Byrds e a Marnie, vedono Hitchcock tornare ad atmosfere più simili a quelle dei suoi primi film inglesi; il risultato non è dei migliori, e ci sono ancora molte cose di cattivo gusto, ma Hitchcock certamente non era contento di quello che stava facendo. Mi permetto di dire che si vede, ed è una cosa che fa una grande tristezza.
Rimane comunque il capolavoro di tecnica del montaggio e delle riprese della scena della doccia in “Psycho”: a quei tempi realizzare una sequenza simile era difficilissimo, bisognava usare forbici e nastro adesivo, e tanta pazienza. Ma, ad essere sinceri, Hitchcock è stato bravo ma non si è inventato niente: quarant’anni prima di “Psycho” c’era già stato Sergej Eisenstein, “La corazzata Potiomkin”, con la scena – ben più lunga e complessa - della scalinata di Odessa.
PS: Le immagini vengono da “The films of Alfred Hitchcock” di R.Harris & M.Lasky, The Citadel Press, Seacaucus N.J., anno 1976. L'immagine qui sotto mostra l'assalto degli uccelli ai bambini della scuola: le immagini degli uccelli verranno sovrapposte in seguito.
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