giovedì 7 gennaio 2010

Othello di Orson Welles

Othello (1952). Regia di Orson Welles. Sceneggiatura: Orson Welles, dal dramma di William Shakespeare. Fotografia: Anchise Brizzi, G.R. Aldo Graziati, George Fanto, Oberdan Troiani, Alberto Fusi. Musica: Angelo Francesco Lavagnino, Alberto Barberis. Costumi: Maria de Matteis. Interpreti: Orson Welles (Otello, narratore), Micheàl MacLiammóir (Iago), Suzanne Cloutier (Desdemona), Robert Coote (Roderigo), Michael Laurence (Cassio), Hilton Edwards (Brabanzio). Fay Compton (Emilia), Nicholas Bruce (Ludovico), Jean David (Montano), Doris Dowling (Bianca), Joseph Cotten (senatore), Joan Fontaine (paggio), Abdullah Ben Mohamet (paggio di Desdemona). Durata: 91 minuti

L’Othello di Shakespeare parte da Venezia, con il perfido Iago che irretisce Roderigo facendo leva sul suo amore per Desdemona, e poi va a insinuare dubbi sotto il balcone del padre di lei, che è all’oscuro del matrimonio tra sua figlia e il Moro.
L’Otello di Verdi (1887) inizia a Cipro, con la tempesta (“lampi, tuoni, gorghi, turbi tempestosi, fulmini”) che sconvolge il mare e che minaccia di far naufragare la nave che giunge da Venezia. Di fatto, Verdi inizia dal secondo atto: ed è un gran colpo di scena, un effetto magnifico che giustifica la scelta.
L’Othello di Orson Welles inizia con il funerale del Moro, che si svolge insieme a quello di Desdemona. E’ tutto in controluce, solenne, nero su bianco. E’ in luce piena, invece, il supplizio di Iago: il disgraziato traditore viene chiuso in una gabbia e alzato su, in alto, a morire lentamente di fame e di sete. Solo a funerale terminato torniamo a Venezia, per partire dal primo atto, come in Shakespeare. Nel primo atto, Otello ha infatti uno dei suoi grandi monologhi, una vera e propria aria d’entrata (“Rude I am in my speech...”) che Welles non poteva certo tagliare.
Orson Welles ha scelto, nel grande corpus delle opere di Shakespeare, gli stessi tre titoli che mise in scena Giuseppe Verdi: Macbeth, Othello, Falstaff. Penso che non sia un caso, di certo Verdi e Welles erano due persone molto diverse ma che avevano una caratteristica in comune dal punto di vista narrativo, che è quella dell’andare diritti all’essenziale, magari con brutalità. Si tratta di una scelta precisa: sappiamo che entrambi sono capaci di finezze, di soste, di incanti fatati, ma questa scabrosità, questa ruvidezza di fondo, questo acciaio con l’affilatura da lama di coltello, o da rasoio, sono una parte essenziale del loro fascino e del fascino delle loro opere. Si rischia di farsi male, con lo Shakespeare di Verdi (soprattutto con il Macbeth); lo spettatore incauto o inesperto deve starci attento.
Terminata la grandiosa scena del funerale arriva la voce di Welles: che oltre a recitare Otello fa da narratore, raccordando le diverse scene. Avete mai sentito la voce di Orson Welles, quella vera? Vale la pena di ascoltarla anche se non conoscete l’inglese, perché quella di Otello non è una storia complicata e soprattutto perché la voce di Welles è musica. Welles non è un narratore comodo, non mette mai lo spettatore a suo agio, ma la forza della sua narrazione è così potente che crea sempre suspence, anche quando si sa come va a finire e si conosce tutto quello che succede scena per scena (magari da secoli, come in questo caso). L’unico paragone possibile, proprio a partire dalla meraviglia di questa voce forte e magnetica, mi sembra con il narratore di Coleridge, in “La ballata del vecchio marinaio”: si resta soggiogati e non si può fare a meno di ascoltare fino in fondo. E il bianco e nero di questo film è essenziale alla narrazione: qualcosa di miracoloso, da far ricredere chi pensa che il colore sia sempre e comunque meglio.
Il modo in cui è stato girato “Othello”, e in generale tutti i film di Welles, è da leggenda: capita che un personaggio guardi giù da una finestra di un palazzo di Venezia e veda sotto il cortile di un palazzo che sta a Roma. Sono dettagli da esperti (io non me ne sarei mai accorto), ma che sono stati più volte raccontati e sui quali esiste anche un documentario (“Filming Othello”, 1978) che ne racconta la storia.
Il problema principale erano i soldi, come nella migliore tradizione: Welles girava quando poteva, con lunghe pause nelle quali raccoglieva soldi recitando nel primo film che gli proponevano, o girando piccoli documentari su commissione. Raccolti i dollari, Welles faceva un fischio e radunava la troupe dove capitava: a Venezia, a Roma, in Marocco... Molte sequenze furono girate due volte perché un attore o un’attrice non erano più disponibili: ma nel film tutto questo non si nota, anche per via del particolare stile di narrazione. Non c’è una sequenza, un’inquadratura, un fotogramma, che non sia stato pensato nei minimi dettagli; e in mezzo a tutto questo casino di produzione la cosa più straordinaria è che tutto sembri filar via così liscio.
Anche la storia personale di Welles è molto particolare: a poco più di vent’anni aveva Hollywood ai suoi piedi, sia come attore che come regista (è da leggenda il suo allestimento di “La guerra dei mondi” del suo quasi omonimo H.G. Wells, per radio, negli anni ’30), ma scelse di andare controcorrente – dal punto di vista della vita comoda – e girò subito un film come “Citizen Kane” (Quarto potere) che era un attacco diretto a uno dei principali finanziatori del cinema americano. Ma era una storia che meritava di essere raccontata, e dunque perché non farlo, avendone la possibilità? (Il cinema italiano avrebbe un gran bisogno di uno di questi matti...).
“Othello” (mi sembra opportuno ripeterlo) è uno dei capolavori assoluti del cinema, anche se è uno di quei film che necessitano di un minimo di preparazione per poter essere capiti pienamente. A questo film, così come a tutto Welles, si sono ispirati i registi che hanno vinto premi e riempito i cinema negli anni successivi. Per fare un solo esempio, ma alto, Francis Ford Coppola aveva di sicuro ben presente l’Othello di Welles quando disegnò il personaggio di Kurtz su Marlon Brando (in “Apocalypse now”: è un Cuore di tenebra anche quello del Moro....).
Welles come attore disegna un Otello lontano da sottigliezze psicologiche, molto tradizionale nella recitazione (quando si arrabbia, mi si passi la battuta, è proprio “incazzato come un negro”); ma anche una recitazione tradizionale può diventare travolgente quando si ha davanti un gigante come Welles, come ben sanno i frequentatori del teatro. L’irlandese Micheal Mac Liammoir disegna Iago nello stesso solco, ed è anche lui perfetto. Molto brava Suzanne Cloutier, poco appariscenti ma funzionali gli altri attori. In un piccolo ruolo, quello del paggio, troviamo Joan Fontaine; e l’amico Joseph Cotten (coprotagonista nel “Terzo uomo”) è uno dei senatori veneziani. Un ruolo fondamentale va alle musiche di Lavagnino e Barberis, che identificano il film come poche altre volte, fin dalle prime battute.
E due parole su una curiosità linguistica: Desdémona si pronuncia Desdemòna, in inglese (uno spostamento d’accento che fa qualche luce sull’etimologia di questo strano nome...); invece Iago è proprio Iago, e non Aiago come temevo; e anche gli altri nomi vengono pronunciati abbastanza conformemente alla loro origine italiana. Niente a che vedere, insomma, con i Macbetto e i Duncano del buon Francesco Maria Piave.
Orson Welles, Interviste su "Othello"
tratte dal volume “It’s all true” (Editore Minimumfax, 2007)
intervista del dicembre 1950 (pag.75)

(...) Ho chiesto a Welles se i risultati degli ultimi quindici anni avessero soddisfatto le sue ambizioni. Naturalmente, la risposta è stata “no".
« Ho perso anni e anni della mia vita", ha esclamato "a combattere per avere il diritto di fare le cose a modo mio, e il più delle volte ho combattuto invano. Ho sperperato cinque anni a scrivere sceneggiature che nessun produttore accetterebbe. E posso assumermi la piena responsabilità di uno solo dei film che ho realizzato: “Quarto potere”. In tutti gli altri, quando più, quando meno, mi hanno messo la museruola, e la linea narrativa delle mie storie è stata fatta a pezzi da gente che pensa solo al lato commerciale.
Sono venuto in Europa perché a Hollywood non c'era per me (come per chiunque) la minima possibilità di avere una qualche libertà d'azione. Con “Otello” perlomeno ho realizzato un film del quale posso di nuovo assumermi tutte le responsabilità. È vero che non mi sarei mai imbarcato nel progetto se avessi saputo che i miei sostenitori finanziari si sarebbero tirati indietro. Questo sarà in ogni caso l'ultimo dei miei `adattamenti', perché ora sono interessato soltanto a portare sul grande schermo storie mie. Ma visto che mi hanno lasciato a secco nel bel mezzo delle riprese, ho messo in questo film ogni grammo della mia energia, nonché ogni centesimo che avevo guadagnato lavorando nel “Terzo uomo”, nella “Rosa nera”, nel “Principe delle volpi” e in “Cagliostro”. Molta gente di sicuro non capirà perché ho accettato di interpretare alcuni dei ruoli in questione. Bene: la spiegazione sta nelle esigenze di “Otello”.
In tutta franchezza non credo di essere particolarmente bravo nella parte di Otello, eppure sono convinto che questo sarà un film straordinario. Mi sono tenuto il più possibile vicino all'originale, e l'unico cambiamento che ho introdotto riguarda il carattere di Iago, che è interpretato dall'attore irlandese Micheàl Mac Liammóir: ho smussato le sue caratteristiche diaboliche, l'ho reso più umano. Il motivo del suo agire è dato da un'impotenza sottintesa".(...)
Orson Welles sembra stanco, e ammette di esserlo. La sua spossatezza nasce non tanto dal lavoro effettivo sulla produzione di Otello (che è durata oltre un anno) quanto dalle preoccupazioni connesse.
«Tornare un po' al teatro per me è una forma di rilassamento», dice con un sorriso ambiguo.
Ma la sua capacità lavorativa è enorme. Sta sfruttando le sue esibizioni di ogni sera sul palcoscenico in due parti diametralmente opposte come un gradito cambiamento rispetto al lavoro cinematografìco, ma le sue giornate sono ancora occupate dal montaggio e dal doppiaggio di Otello. (...)
(Da “Sight and Sound”, dicembre 1950)
intervista del 1982 (pag.280)
« (...) Una grande troupe, la più grande che abbia avuto a disposizione come regista su un set esterno, credo circa settanta persone oltre gli attori, venne con me a Mogador sulla costa occidentale dell'Africa a girare Otello. Appena arrivati, il giorno successivo riceviamo un telegramma che ci informa che la Scalera, il più grande studio cinematografico italiano, con il quale avevo il contratto per girare il fihn, aveva dichiarato bancarotta. Non avevamo un soldo, eravamo in Africa senza un costume, né altro.»
- ...così per Welles diventò un'abitudine lasciare su due piedi la suo troupe sul posto e prendere il primo volo che lo portasse a recitare sul set di qualcun altro, tornando in tutta fretta qualche settimana dopo con i soldi per girare un'altra porzione di film. La storia si è ingigantita, lasciando intendere che questi sfortunati attori fossero rimasti bloccati sul posto mentre Welles partiva per fare... non so cosa... e mettendo in relazione...
« Agli attori piace raccontare quella storia perché in effetti loro rimasero bloccati lì, ma omettono di dire che erano sistemati in alberghi europei di lusso a quattro stelle. Abbandonati al Grand Hotel e all'Europa di Venezia, e al Colon d'Or in Provenza, e via dicendo. E furono lasciati sul posto unicamente perché non volevo rimandarli tutti a casa. Volevo tenerli insieme, e me ne andavo a tirar su un po' di soldi mentre li lasciavo, sostenendo spese enormi, a mangiare e dormire nel lusso. Avevo un ottimo scenografo in quel film, Trauner,uno dei migliori della storia del cinema. Ma per mancanza di fondi abbiamo finito per girare prevalentemente in location già esistenti, e lui non ha avuto modo di esprimersi molto. Ma aveva inventato delle scene per un meraviglioso Otello che un giorno qualcuno dovrebbe realizzare.»
- L'invenzione proseguì in tutta Europa, con Welles che faceva lo scenografo mordi-e-fuggi e creava meravigliosi pezzi di bravura come la scena del combattimento, realizzata in una fogna in Portogallo. E poco fuori una cittadella del Marocco che sorgeva sul ciglio di una montagna trovò l’ambientazione per il funerale, che fa da impressionante apertura del film.
« È una sequenza fenomenale, l'apertura di Otello. È stata girata con non più di sessanta persone alla volta. Tranne che per una ripresa in Marocco, dove un gruppo di sarti ebrei corre incontro a Micheàl. Dovemmo usare i sarti ebrei perché era iniziato il Ramadan; gli arabi praticavano il digiuno fino alla morte. Perciò avevamo un gruppo di sarti ebrei che lavoravano ai nostri costumi, e quando ne avemmo bisogno per quella scena di massa li facemmo uscire, prendemmo delle scatole di sardine, le appiattimmo e le legammo insieme con lo spago per farle diventare armature che luccicavano sotto il sole. Tutti quei sarti ebrei con le loro scatole di sardine che correvano incontro alla macchina da presa, per quell'unica sequenza.»
- Il lunghissimo piano di produzione causò altri problemi. Spesso Welles doveva girare alcuni rifacimenti in set di diversi Paesi. C'è una grande rissa che inizia in una strada del Marocco ma finisce a 1500 Km di distanza, in Italia.
«Avevamo girato in... non so, circa sei o sette città diverse, da Torcello all'Italia meridionale, negli angoli che ci sembravano adatti. Non c'era nulla da aggiungere. In seguito tutto questo ha condizionato lo stile di montaggio, che altrimenti non avrei mai adottato. Avrei lasciato molte scene più lunghe, ma dovevo... dovevano essere risolte con molti tagli, perché...»
- Trovo i tagli di montaggio all'inizio di Otello un po' confusionari.
« Sì, è così. È così, lo penso anch'io. Molte scene di Venezia non mi piacciono. Credo che la parte più debole del film sia proprio Venezia. Ci sono momenti davvero molto deboli.»
- Lei accetta le etichette che sono state date al film? C'è chi lo ha definito un capolavoro imperfetto, perché si è soffermato proprio su questi particolari e sul montaggio sonoro, definito troppo povero nonostante le immagini sfolgoranti...
« Sì, ma non so bene cosa sia successo al suono. Quando finimmo il montaggio era tutto a posto, ma presumo che sia successo qualcosa alle copie destinate alla distribuzione. Il fatto ha danneggiato il film, quindi si può dire che è imperfetto nel senso che non siamo stati capaci di controllare la qualità delle copie in distribuzione. In effetti, il nostro montaggio sonoro era ottimo. E il film aveva una musica bellissima, meravigliosa. Non so se è un capolavoro imperfetto, in realtà non so neanche se è un capolavoro. Potrei elencare cose che non mi piacciono per ognuno dei miei film, e se questo li rende imperfetti, allora sono imperfetti; del resto non credo di aver mai realizzato un capolavoro.»
- Ma in Otello ci sono comunque delle cose bellissime, nel suo sposare il cinema al teatro, nell'uso che Welles fece dei set autentici, e nella sua interpretazione. E ora proseguiamo con quello che si può definire un...
«Ho capito che Otello non è tra i suoi film preferiti. Dopo una domanda del tipo: "E’ d'accordo nel definirlo un capolavoro imperfetto?"... quanto amo queste domande! E poi, dopo una breve pausa. lei dice: `'E ora proseguiamo..." (Ride.)
- Possiamo proseguire con qualcos'altro?
« Credo che sarebbe meglio.
- Con Rapporto confidenziale.
« Quello sì che è un film imperfetto.» (...)
(Intervista alla BBC, maggio 1982)


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