venerdì 15 gennaio 2010

Nel corso del tempo ( II )

NEL CORSO DEL TEMPO (Im Lauf der Zeit, 1976) Regia, soggetto, sceneggiatura: Wim Wenders Fotografia: Robby Müller Assistente alla fotografia: Martin Schäfer Montaggio: Peter Przygodda Suono: Martin Müller, Bruno Bollhalder Scenografia: Heidi Lüdi, Bernd Hirskorn Assistente alla regia: Martin Hennig Musica: Improved Sound Limited (composta da Axel Linstädt, scritta da Bernd Linstädt) Canzoni: Chris Montez, Chrispian St. Peters, Heinz, Roger Miller Interpreti: Rüdiger Vogler (Bruno Winter, detto "King of the Road"), Hanns Zischler (Robert Lander, detto "Kamikaze"), Lisa Kreuzer (Pauline), Rudolf Schündler (il padre di Robert), Marquard Bohm (l'uomo dell'incidente), Dieter Traier (Paul). Franziska Stömmer (la padrona del cinema 'Weisse Wand"), Patrick Kreuzer (il bambino alla stazione), Peter Kaiser (il proiezionista nel cinema di Pauline), Michael Wiedemann. Produzione: Wim Wenders Produktion (München)/Wdr (Köln) Produttore esecutivo: Michael Wiedemann Direttore di produzione: Heinz Badewitz Riprese: 1 luglio - 31 ottobre 1975 tra Lüneburg e Hof lungo la frontiera tra le due Germanie Prima proiezione pubblica: 4 marzo 1976 a Berlino Durata: 168' . Il film è dedicato a Fritz Lang
All’inizio del film, prima che inizi l’azione vera e propria, vediamo Bruno (Rüdiger Vogler) intento nel suo lavoro. Siamo in un cinema dell’Alta Sassonia, Bruno armeggia con un’enorme e antiquata macchina da cinema, e intanto chiacchiera con l’anziano proprietario del locale:
- Ce la farebbe a vivere solo con il cinema?
- Oggi non più.
- Crede che in un paio d’anni spariranno i cinema nelle cittadine?
- Nella nostra zona c’erano cinema ovunque, anche in posti sperduti. E oggi sono spariti. Ma se resterà un cinema, le assicuro che fra dieci anni sarà ancora aperto, se si produrranno ancora film.

E’ certamente un film sul cinema, e questo percorrere la Germania di cinema in cinema è molto più di una metafora. E’ dedicato a Fritz Lang, ed è una riflessione sul passato, e sul presente. Con il passato bisogna fare i conti, prima o poi, e il presente è aperto sul futuro.
Non sempre i film, e i libri, ti raccontano la storia che vedi, o che leggi. C’è sempre, nei grandi film, qualcosa che va al di là di quello che vedi; qui c’è lo scorrere del tempo, che sembra fermo, immobile, e invece si muove, e le cose cambiano anche lungo la frontiera, e tra un po’ la frontiera –così solida e spaventosa - non ci sarà nemmeno più.
Ogni tanto si è spiazzati. In che tempo siamo? Potrebbero essere gli anni 50, se non fosse per il look di Vogler, da reduce di Woodstock, e se non fosse per la musica. Il riferimento d’obbligo per Wenders, voluto e cercato, è nei vecchi film americani del tempo degli anni ’30, sembra di rivedere Henry Fonda in “Furore” di John Ford, e il paesaggio rurale di questa zona della Germania (in quel periodo la zona vicina al confine era depressa e quasi disabitata) non sembra europeo ma si avvicina molto ai grandi spazi dell’America western.
Vecchi proiettori, vecchie tipografie (il padre di Ziegler stampa un giornale, ha una tipografia in casa), si susseguono per tutto il film, nel percorso di cinema in cinema, lungo la frontiera. Perfino il camion protagonista del film (si chiama Hermes, dal nome della casa di spedizioni a cui apparteneva) è un modello che non era già più in produzione negli anni in cui è stato girato il film; l’impressione che il tempo si sia davvero fermato è una delle maggiori suggestioni del film. E forse era davvero così negli anni ’70, è stato dopo che il mondo ha ripreso a correre.
In una sequenza verso la fine, una delle tante dove “King of the road” smonta e rimonta macchine per il cinema (è il suo lavoro), Vogler mostra ad un proiezionista simpatico ma molto improvvisato la “croce maltese”: «Senza questo affare il cinema non esisterebbe. Ventiquattro volte al secondo fa fare un passetto avanti alla pellicola. Trasforma il movimento di rotazione in movimento di trazione. E’ geniale.».

Il sonoro è struggente e caldo, uno dei più belli che io ricordi. (non solo la musica, il sonoro tutto). E il bellissimo bianco e nero che è quello di una vecchia fotografia, il confine tra le due Germanie, il Muro... In questo film, come più tardi nel “Cielo sopra Berlino”, c’è la malinconia di un mondo che non c’era già più in quel 1975, e di qualcosa che stavamo per perdere per sempre: facce, volti, paesaggi... Vogler è un uomo giovane che fa un mestiere da vecchio; sotto il ponte, dove Zischler recupera un giornale locale (sapremo più avanti che suo padre ne stampa da anni uno simile), bambini giocano nell’acqua con barche di carta, in un ruscello: scene che oggi sarebbero impensabili.

Dopo il finale, con i due protagonisti che si separano, ritroviamo Vogler al cinema “Weisse Wand” (“schermo bianco”; ma anche WW come Wim Wenders), in una scena che è speculare a quella che aveva iniziato il film. Vogler parla con una signora, padrona del cinema ormai chiuso:
- Non proietto più, ma tengo il cinema pronto per quando sarà possibile. Mio padre diceva che il cinema è l’arte del vedere; per questo non posso più mostrare questi film che sfruttano solo ciò che è ancora sfruttabile negli occhi e nelle teste della gente. Non mi possono costringere a mostrare film da cui la gente esce abbrutita dalla stupidità, che distruggono ogni gioia di vivere e annientano il sentimento che hanno di se stessi e del mondo... (...)La signora prosegue portando il discorso sui distributori, dai quali è ormai impossibile avere copie dei film migliori, per un cinema di provincia. In provincia arrivano solo i film peggiori, inutilmente violenti, porno soft, comici dozzinali dalla battuta facile.
Nel suo commento, realizzato apposta per il dvd, Wenders spiega che il primo locale, quello del signore anziano che si ricordava dei tempi del muto, ha continuato la sua attività per ben più dei dieci anni che aveva pronosticato il proprietario, chiudendo solo ad inizio millennio. L’altro locale rimarrà chiuso, Vogler nell’uscirne passa davanti alle vetrine per le locandine desolatamente vuote, per stasera non c’è niente in programma, idem per domani. Delle lettere dell’insegna (WEISSE WAND) ne rimangono accese solo tre: END.
(continua)

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