«I portoghesi hanno dentro di loro l’ideale della nobiltà della sconfitta. L’eroe nazionale è un eroe perdente: il Re don Sebastiano, che morì nella disfatta contro i Mori ad Alcacequibir, alla fine del ‘500, e il cui corpo non fu mai più ritrovato. Nacque anche un movimento, il “sebastianesimo”, convinto che il Re sarebbe tornato in una notte di nebbia per ricondurre il suo popolo alla vittoria (...) » (Antonio Tabucchi, Corriere della Sera 15.11.1993)Ho già accennato a quei film dei quali si ha quasi paura di parlare, un ritegno che nasce dalla presenza di qualcosa che va al di là del cinema in sè, e che ha piuttosto a che fare con esperienze che vanno oltre la nostra esperienza quotidiana. Questo di Oliveira è uno di quei film: non nella sua interezza ma in una sola sequenza, bella e spaventosa come l’apparizione di un angelo, nel finale.
« No, o la folle gloria del comando» è la storia di un gruppo di soldati portoghesi in Angola, negli anni ’70. C’è un tenente, e pochi soldati su una jeep; poi arriva uno scontro a fuoco, il tenente è gravemente ferito e in ospedale, ormai morente, vede arrivare una figura splendente e terribile, un giovane con le sembianze di Don Sebastiano, Re del Portogallo. Siamo proprio a “The spectre of my father, in arms...” : un’apparizione che gela il sangue nelle vene, nella sue perfezione assoluta da dipinto rinascimentale, o da rappresentazione ultraterrena. Volti simili e pose simili li ho visti poche volte, nelle arti figurative: sicuramente quell’angelo severo, in Piero della Francesca.
Prima, all’inizio del film, Oliveira aveva alternato le conversazioni dei soldati (in quei periodi in cui pare non succedere nulla, per lunghe ore, e che precedono spesso qualcosa di rovinoso e di immediato), alla ricostruzione in costume delle imprese di Vasco de Gama, colui che portò i portoghesi in Africa, tramite la lettura da parte del tenente dei versi del poema nazionale portoghese, “I Lusitani” di Camoes. Oliveira si è immaginato un tenente che per ingannare l’attesa racconta ai suoi soldati la storia del Portogallo, e quindi del perché sono lì a combattere, e che recita per loro brani del poema nazionale. Una scena simile potrebbe essere successa anche da noi, magari con Dante e la Divina Commedia, durante una delle nostre guerre: molti soldati e ufficiali avevano dei libri nel loro zaino, prima dell’avvento dei videogames e dell'ipod si usava.
Nel film, quando racconta, Oliveira cambia tempo e luogo, e l’ufficiale diventa don Joao, cugino di Don Sebastiano re del Portogallo. Don Sebastiano è la figura centrale della storia del Portogallo; la Garzantina lo descrive così: « Sebastiano (1554-78) re di Portogallo (1557-78). Influenzato dai gesuiti, propugnò la crociata contro i musulmani del Maghreb e ottenne il consenso inglese alle mire espansionistiche verso l’Africa del nord. Sbarcato in Marocco nel 1578 fu sconfitto dai mori ad Alcazarquivir (4-VIII-1578) e morì sul campo. Il suo corpo non fu mai ritrovato.»
Da quando ho visto questo film, teorizzo la superiorità di Oliveira, per i film che parlando di Storia, rispetto a Rossellini. L'avesse girata lui, la vita di Sant'Agostino, o quella di Cartesio... Rossellini è sempre grande, anche nel Cartesio e negli Atti degli Apostoli; ma nei suoi film "storici" (didattici?), sia pur perfetti, gli capita di essere un po' pedante e soporifero. Oliveira invece è un grande poeta, riesce a dare emozione anche solo nel mostrarci un'armatura; e l'episodio dell'Isola dell'Amore (tratto dai “Lusiadi” di Camoes) in questo film, fa davvero venir voglia di leggere l’originale, oppure di essere lì con quei soldati ad ascoltare il racconto dell’ufficiale. Ma poi la guerra ricomincia, ed è guerra vera. Per i soldati, e per l’ufficiale, è finito il tempo di sognare.
E' un film magico, onirico e reale ad un tempo. L'immagine finale di Don Sebastiano, che appare al tenente quando è ormai in punto di morte, mentre stringe la spada con le mani e dalla spada gocciola il sangue, è bellissima e terribile. E' l'apparizione di un angelo, per l'appunto.
Il sorriso del soldato Manoel, alla fine della scena che riporto qui, è un sorriso magico: e magico è il gesto che fa, quello di levarsi il cappello. E anch'io mi levo il cappello, davanti all’immagine di Dio, certo: ma anche davanti a questo grande vecchio portoghese, uno dei grandi del Novecento. Anche se non azzecca tutti i film, e se vederli fino alla fine è sempre un’impresa, che importa?
(il tenente finisce di leggere la sequenza "mitologica" di Vasco de Gama, tratto dai Lusiadi di Camoes)Tenente: "...prendendo per sè la dolce gloria, della quale nel mondo resterà sempre memoria..." Primo soldato: Se Camoes potesse trasformare questo posto (l’Angola) nell'Isola dell'Amore, e ci mandasse le ninfe dei negri, sarebbe bello, no? (...)
Tenente: "...solo per far versi piacevoli serviamo, / e se mai tratti umani ci potete dare / è solo il nome nostro che a questa stella / il vostro ingegno ha posto..."
Secondo soldato: Cosa voleva dire il poeta con questi versi?
Tenente: Voleva dire che questa metafora mitologica degli dèi non è altro che un prodotto dell'immaginazione umana. Camoes conclude dicendo che la dea Teti portò Vasco de Gama sul punto più alto dell'isola, e gli mostrò la "macchina del mondo".
Secondo soldato: Che cos'è la macchina del mondo?
Terzo soldato: E' il sesso, la macchina del mondo. (ridono insieme)Tenente: La macchina del mondo è la legge che regola e stabilisce, è l'armonia cosmica. I doni dei portoghesi al mondo sono la scoperta delle nuove terre, non sono alcuni fatti isolati della storia del Portogallo. (guerre, battaglie, personaggi famosi...)Terzo soldato: Ma un dono è qualcosa che si fa dicendo "prendilo".
Tenente: Non è così. E' il frutto di uno sforzo meritato da chi comprende ed è capace di trasmetterlo alle future generazioni. Il dono deve stimolare lavoro e ricerca.
Terzo soldato: Allora si tratta di qualcosa di superiore, di soprannaturale. Di soprannaturale e di fecondo.
Secondo soldato: Fecondo?
Terzo soldato: Sì, Brito. Fecondo nel senso della sapienza. Ricco culturalmente.
Tenente: Certo. Quelle scoperte hanno rappresentato un grande progresso per l'umanità. Oggi possiamo dire lo stesso del viaggio sulla luna, o dell'esplorazione della stratosfera con le navi spaziali. Sono imprese utili alla conoscenza scientifica e al progresso tecnologico.
Primo soldato: Anche per arrivare a conoscere le origini del cosmo.
Terzo soldato: E poi, probabilmente, sciogliere l'enigma di Dio.
Tenente: Non lo credo. Non sono cose sullo stesso piano. Il concetto di Dio è superiore a tutto questo.
Terzo soldato: E' una pazzia, lo so: ma alle volte penso che l'Universo e l'umanità esistono per un momento di distrazione di Dio.
Secondo soldato: Questa non me l'aspettavo, Manoel. Pensavo che tu avessi i piedi ben appoggiati per terra.
Terzo soldato: (sorride): L'apparenza inganna, mio caro Brito. (si toglie il cappello, sorride; poi si fa serio).
(Cambio di scena)Manoel de Oliveira, da "No, o la vana gloria del comando"
2 commenti:
film meraviglioso ed incredibile per la sua capacità di narrare un tema così complesso.....
Oliveira è uno dei grandissimi del cinema. La storia del Portogallo, tra l'altro, è bellissima: ne sapevo poco o niente e sono contento di averne imparato qualcosa grazie a Oliveira.
(prima o poi cambierò queste immagini, Oliveira merita qualcosa di meglio...)
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