sabato 19 febbraio 2011

Una riflessione su Andrej Rubliov

Andrej Rublëv (id.) 1966 Regia: Andrej Tarkovskij; soggetto e sceneggiatura: Andrej Tarkovskij, Andrej Michalkov-Koncalovskij; fotografia (BN e Sovcolor, Scope): Vadim Jusov; musica: Vjaceslav Ovcìnnikov; suono: I. Zelenkova; montaggio: L. Fejginova, T. Egoryceva, O. Shevkunenko; scenografia: Evgenij Cernjaev (con la collaborazione di I. Novoderezkin, S. Voronkov); costumi: L. Novi, M. Abar-Baranovskaja; trucco: V. Rudina, M. Aljautdinov, S. Barsukov; interpreti: Anatolij Solonicyn (Andrej Rublëv), Ivan Lapikov (Kirill), Nikolaj Grin'ko (Daniil Cérnyj), Nikolaj Sergeev (Feofan Grek), Irma Raush [Tarkovskaja] (la scema), Nikolaj Burljaev (Boriska), Jurij Nazarov (il Gran Principe e il Principe Minore), Roland Bykov (il saltimbanco), Jurij Nikulin (Patrikej), Michail Kononov (Fomka), Stepan Krylov (il fonditore di campane), Sos Sarkisjan (Cristo), Bolot Bejsenaliev (il khan tartaro), N. Grabbe, B. Matysik, A. Obuchov, Volodja Titov, N. Glazkov, K. Aleksandrov, S. Bardin, I. Bykov, G. Borisovskij, V. Vasil'ev, Z. Vorkul', A. Titov, V. Volkov, I. Mirosnicenko, T. Ogorodnikova; produzione: Mosfilm (Gruppo Artistico degli Scrittori e Cineasti); direttore della produzione: T. Ogorodnikova; durata: 190'; data di lavorazione: 1966; prima uscita: 1969 (Festival di Cannes), 1971 (Urss)

Nel film di Tarkovskij, il monaco quattrocentesco Andrej Rubliov (un personaggio veramente esistito, pittore di icone fra i più grandi) a un certo punto smette di dipingere: gli sono toccati tempi terribili in cui vivere, ha visto troppe violenze, troppi torti sono stati commessi, dipingere non gli è più possibile. In questa decisione, bisogna anche tener conto del principale soggetto dei suoi dipinti: l’aldilà, i Santi, la Madonna con il Bambino, il volto di Cristo. Come è possibile che Dio permetta tutto questo? E’ una domanda che mette in discussione molto più della pittura, anche la Fede stessa.
Tarkovskij ci mostra il pittore mentre getta il colore sul muro bianco della Cattedrale, appena intonacato per gli affreschi; la scena precedente era stata una delle più terribili mai filmate per il cinema, l’accecamento dei pittori, su mandato dei potenti locali. Rubliov non faceva parte di quel gruppo e non ha subito danni nel fisico, ma li conosceva uno per uno e non può certo rimanere indifferente. Quell’affresco, nella Cattedrale di Vladimir, sarà comunque portato a termine; ma poi i Tartari entreranno nella città, porteranno morte e violenza, e passeggeranno con i loro cavalli proprio dentro la cattedrale.
Nel racconto che fa da punto di partenza per il film, e che è stato pubblicato da Garzanti, Andrej Rubliov racconta anche delle donne che ha visto cedere i loro capelli ai tartari: molte di loro sono state costrette, è vero, quasi tutte; ma c’era anche chi non ci trovava nulla di sconveniente.
Questa di Tarkovskij è una riflessione potente, importante. E’ potente e importante non solo per il suo altissimo livello artistico, ma anche e soprattutto perché rappresenta un momento che si è presentato molte volte nella storia dell’umanità, e che si presenta ogni giorno anche a noi, sia pure in condizioni non così drammatiche. Una domanda che ci accompagna da sempre: si può far finta di niente, davanti alle ingiustizie e alle sofferenze? Come è possibile, girare la testa dall’altra parte e continuare come se niente fosse, se vicino a noi c’è qualcuno che soffre?
Continuare, far finta di niente, è una condizione molto umana. Qualcosa di indispensabile, in molti casi: ricordo un reporter di guerra (me ne sono dimenticato il nome, peccato) raccontare di aver percorso un campo di battaglia dopo una battaglia spaventosa, e pensare di aver perso per sempre la voglia di vivere. Eppure, andò avanti; non solo, alla sera scoprì di avere fame, e si trovò a mangiare con gusto. Interrogarsi su queste cose è giusto, ma sappiamo bene che l’istinto di sopravvivenza è qualcosa di forte, superiore anche alla nostra coscienza. Qui però siamo di fronte a qualcosa di diverso, qualcosa che fu ben sintetizzato negli anni ’40 dalla domanda: “si può ancora fare poesia dopo Auschwitz?”.
Si può continuare a dipingere, a fare film, a scrivere romanzi, o magari a tenere un blog, quando intorno a te il mondo mostra il suo volto peggiore?
Per nostra fortuna, a noi nati dopo il 1945, in Europa e negli USA, non sono toccati in sorte tempi così terribili. Abbiamo vissuto più di sessant’anni in pace e prosperità, e non era mai successo prima. Siamo stati davvero fortunati.
Però, quando scrivevo su un blog con altre persone (e molto più spesso nella vita di tutti i giorni) mi sono trovato spesso a chiedermi: come è possibile alternare le ricette di cucina o le foto dei nipotini e del cagnolino con un resoconto su una nave di profughi naufragata? Come è possibile far finta di niente e parlare tranquillamente delle vacanze o delle mie canzoni preferite quando abbiamo al governo un partito fondato da un corruttore e da un mafioso (condanne ormai definitive, sette anni di carcere)? Le domande sarebbero molte, molta è la sofferenza che abbiamo accanto a noi. Per conto mio, ho imparato a tacere: nei miei blog avrei voluto mettere cose divertenti, poi mi sono reso conto che non era possibile, poi – dopo – mi sono reso conto che parlare dei temi seri, di attualità, drammatici, dava fastidio.
“Non si può sempre essere seri”, me l’hanno detto tante volte...E ogni volta ho reagito richiudendomi su me stesso, non si può fare diversamente.
Spero che non tornino mai i tempi che sono toccati in sorte ad Andrej Rubliov, o a Primo Levi: ma ogni giorno che passa ci allontaniamo sempre di più da quel 1945, ogni giorno che passa ci sono sempre meno persone che ricordano. La mia generazione è cresciuta mentre i padri, e i nonni, lavoravano per abbattere i confini e prevenire le guerre; oggi si sta facendo il contrario, partiti e movimenti di ispirazione nazionalista e nazifascista sono in continua crescita, la disoccupazione e il precariato regnano sovrane, le devastazioni ambientali (in terra e in mare) hanno raggiunto livelli spaventosi, - che Dio ce la mandi buona, altro non saprei dire.

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