martedì 8 febbraio 2011

La via del petrolio ( II )

La via del petrolio (1965-66, trasmesso in tv nel 1967) Scritto e diretto da Bernardo Bertolucci. Tre documentari commissionati dall’ENI. Produzione RAI: Giorgio Patara, Giovanni Bertolucci Fotografia: Ugo Piccone, Maurizio Salvatori, Giorgio Pelloni, Luiz Carlos Saldanha. Montaggio: Roberto Perpignani. Testi aggiunti: Alberto Ronchey. Musiche originali: Egisto Macchi. Musiche nel corso del film: Vivaldi, JS Bach, Miles Davis. Voci narranti: Giulio Bosetti, Nino Castelnuovo, Riccardo Cucciolla, Nino Dal Fabbro, Mario Feliciani. Interpreti: Mario Trejo, tecnici e operai dell’ENI, persone residenti nei luoghi attraversati. Tre episodi da 45’ circa ciascuno 1. Le origini 2. Il viaggio 3. Attraverso l’Europa (135 minuti totali)

La prima parte, quella che inizia dall’Iran, sembra Herzog: “Fata Morgana”,  “Apocalisse nel deserto”, le estasi sono le stesse. Difficilmente Werner Herzog avrà visto "La via del petrolio" (tutto è possibile, però: in fondo il film finisce in Baviera): è il paesaggio del deserto, probabilmente, che li rende simili. Le immagini sono purtroppo un po’ meno belle, rispetto a quelle che ci darà Herzog: la destinazione televisiva ha un po’ penalizzato la parte visiva. Ma il film di Bertolucci è comunque bello, da vedere ancora oggi. Altri rimandi che sorgono spontanei durante la visione: Eisenstein, Pasolini, e soprattutto “La chiave a stella” di Primo Levi, uno dei libri più belli e più importanti di tutto il Novecento.


Si parte dai fuochi di Zoroastro, partenza quasi obbligata e da persona di ottime letture. E c’è subito una dedica ai bambini persiani: che erano ovunque, e che illuminano il film. Nel corso di questa prima parte vengono letti brani di Marco Polo, la storia del vecchio della montagna: banditi e briganti, che vivevano proprio qui. Gran parte del film, come è ovvio, è dedicata al personale al lavoro nei cantieri: operai italiani, di grande capacità professionali (altrimenti non sarebbero qui). Non sono momenti da sottovalutare: devo dire anzi che sono i momenti che ho visto più volentieri, purtroppo i lavoratori (quelli veri, quelli che fanno fisicamente il lavoro) hanno sempre avuto pochissimo spazio. Qui, almeno, vediamo le loro facce, ascoltiamo le loro voci.

E un personaggio inaspettato appare quasi subito all’inizio della seconda parte: pilota e palombaro, fisico improbabile per noi che siamo abituati ai supereroi da telefilm, eppure è questo signore grasso, non più giovanissimo, che va a riparare i guasti della piattaforma petrolifera nel Mar Rosso. Il Mar Rosso in quel punto non è profondissimo, e ci poteva andare anche un palombaro: nel Golfo del Messico, quest’estate, la profondità era molto maggiore: però qualcuno c’è pur andato, a fare quel maledetto lavoro. Persone di cui ci dimentichiamo subito, come a Cernobyl, magari per correre dietro a uno spot o un “sei favorevole o contrario”? Ma, dietro, ci sono le persone che i lavori li fanno per davvero, fisicamente, e non gli amministratori delegati e gli avvocati, i venditori o gli addetti alle pubbliche relazioni. E’ sempre bene ricordarselo.


La seconda parte del film si intitola “Il viaggio”: siamo a bordo di una delle petroliere dell’ENI, si passa da Suez e si viaggia verso Genova. All’arrivo a Genova, dopo aver lentamente traversato il Mediterraneo, nel commento viene inserita una poesia di Giorgio Caproni su Genova
Genova verticale
vertigine, aria, scale.
Genova tutta colore
bandiera, rimorchiatore.
Genova da intravedere
mattoni, ghiaia, scogliere.
Genova di banchina
transatlantico, trina.
Genova portuale
cinese, gutturale.
Struggimento, scogliera,
Genova di petroliera.
(Giorgio Caproni, inizio terza parte “La via del petrolio”)


Sempre nel commento letto durante il film, si ricordano alcuni dati che mi sembra importante trascrivere. Per esempio Melville: Achab dà la caccia alla balena negli stessi anni, 1860, in cui il colonnello Drake comincia ad estrarre industrialmente petrolio in America. La pesca alla balena procurava innanzitutto olio combustibile: che verrà soppiantato dal petrolio. E’ però del 1840 la prima nave che trasporta petrolio: da Philadelphia a Liverpool, nei barili (l’unità di misura ancora oggi usata). E’ invece del 1866 la prima nave cisterna che porta il petrolio dagli USA in Germania.

Non ci sono presentatori, e Bertolucci non si vede mai: c’è solo la sua voce per qualche intervista ai lavoratori. Questa è la differenza principale con la maggior parte dei documentari che vediamo oggi, letteralmente infestati da presentatori e presentatrici, dove il soggetto del documentario finisce quasi sempre sullo sfondo. Se ci si fa caso, gran parte dei documentari che passano oggi in tv sono semplici passerelle per questo o quel personaggio tv o giornalista: ma non è sempre stato così, e speriamo che ritorni lo spazio per il vero documentario, girato e montato in maniera professionale.
Bertolucci introduce un vero e proprio personaggio nel terzo episodio, l’argentino Mario Trejo: abbiamo abbandonato il deserto e il mare, dobbiamo seguire l’oleodotto a terra, e il modo migliore per farlo è andare a piedi. Mario Trejo è un viaggiatore di quelli di una volta, quando si andava a piedi, e non si spaventa nell’impresa: lo seguiamo dapprima verso la Val d’Aosta e poi sull’altro ramo dell’oleodotto che parte da Genova, verso la Lombardia, il lago di Como (dalla parte di Lecco), la Valtellina. Il viaggio consiste nel risalire l’oleodotto passo per passo, con una sosta nelle stazioni di pompaggio, che sono quasi sempre in posti isolati. Il petrolio scorre da solo, dentro i tubi, ma ogni tanto è necessario controllare, e magari aiutare a superare qualche dislivello importante (siamo sulle Alpi, ormai).
Andare a piedi significa andare alla stessa velocità del petrolio: seguiamo Mario Trejo attraverso gli sfiatatoi dell’oleodotto, ben visibili in Valtellina anche se i tubi scorrono sotto terra; e poi il tunnel, verso lo Spluga e la Svizzera. Nel terzo episodio di “La via del petrolio” siamo partiti da Genova e arriviamo a Ingolstadt, in Baviera: dove c’è un’enorme raffineria, e dove termina il film.

Bernardo Bertolucci aveva appena terminato “Prima della rivoluzione”, ed era giovanissimo. Il suo secondo film aveva decisamente spiazzato la critica italiana (non quella francese) e così il giovane regista, un po’ deluso ma convinto delle sue possibilità, accetta volentieri l’invito che gli arriva dall’ENI attraverso suo padre, il poeta Attilio Bertolucci: che era stato scelto da Enrico Mattei per dirigere il giornale aziendale.
Quella dei giornali aziendali, negli anni che vanno dai ’50 ai ’70, è stata una grande stagione. Olivetti ne è stato forse il maggiore esempio, ma un po’ tutte le aziende pubblicavano riviste culturali importanti, e le tenevano in gran conto perché davano prestigio. Per esempio, io ho avuto per le mani, sia a scuola che sul lavoro, alcuni numeri delle riviste della Hoechst e della Bayer: erano molto belle e molto ben fatte, e vi si trovavano informazioni, articoli e saggi storici (e illustrazioni) che era difficilissimo trovare altrove.
La rivista ENI diretta da Attilio Bertolucci si chiamava “Il Gatto Selvatico”, vi collaboravano anche Gadda e Calvino; Bernardo Bertolucci racconta che l’ufficio di suo padre era molto vicino a quello di Enrico Mattei, fondatore dell’ENI. Mattei lo invitò un paio di volte ad andare a pesca con lui, in posti da favola; inviti poi mai portati a termine (Bertolucci era sui diciott’anni, all’epoca di questi incontri). Ma, all’epoca in cui venne commissionato “La via del petrolio”, Enrico Mattei non c’era già più: risale al 1962 l’attentato di cui fu vittima. E a questo punto un altro rimando d’obbligo, rimanendo nel cinema, è sicuramente “Il caso Mattei” di Francesco Rosi, che questa storia la racconta molto bene.

Pur nell’ambito del film su commissione, e del documentario, si tratta comunque di un vero film di Bertolucci, la mano è quella e in “La via del petrolio” già si intravedono sia i grandi successi internazionali (L’ultimo imperatore, Il piccolo Buddha: nei primi due episodi) che i film girati vicino a casa, nella pianura padana (Novecento, Strategia del ragno: soprattutto nel terzo episodio). Soprattutto, c’è un grande amore per le persone: le persone che lavorano. Un’altra caratteristica di Bertolucci, fin dagli inizi.
C’è spazio anche per una citazione di Godard, per un libro di Hemingway (Addio alle armi, Medusa copertina verde), e per Rimbaud (che visse in Africa una vita simile a quella che vediamo fare agli operai dell’ENI, nei primi episodi: ma per scopi molto meno nobili). Oltre alle musiche originali di Egisto Macchi nel corso del film ascoltiamo musiche di Vivaldi (concerto per flauto), di Bach (Erbarme dich, dalla Passione secondo San Matteo: peccato per l’interpretazione davvero brutta, c’erano decine di registrazioni disponibili molto più belle di questa...), e di Miles Davis nel finale, in Germania. Molte citazioni esplicite (anche se un po' artefatte) di Verdi e della sua Traviata, soprattutto nel momento dell'arrivo a Genova.
Le voci che ascoltiamo in “La via del petrolio” sono tra le più belle del cinema e del teatro italiano, e vale la pena riportarne i nomi (tutti grandi attori): Giulio Bosetti, Nino Castelnuovo, Riccardo Cucciolla, Nino Dal Fabbro, Mario Feliciani. Una nota finale su Mario Trejo: nato in Argentina nel 1926, è scrittore e poeta. Il suo impegno politico lo porta, in quegli anni, a vivere in esilio, lontano dal Sud America e dalla dittatura: trova rifugio a Roma, dove diventa amico di Bernardo Bertolucci. Dato che l’ultimo episodio del film diventerebbe, per sua natura, poco omogeneo e di narrazione difficoltosa, Bertolucci chiama l’amico argentino sapendolo un ottimo camminatore: all’inizio dell’ultimo episodio vediamo infatti Mario Trejo arrivare sul luogo delle riprese in aereo, e poi mettersi subito in marcia seguendo il percorso dell’oleodotto tra la Val d’Aosta e la Pianura Padana, e poi su per la Valtellina e lo Spluga: a piedi, cioè alla stessa velocità del petrolio dentro l’oleodotto. Una delle più belle idee del film, penso che sarebbe piaciuta anche a Werner Herzog, a Marco Paolini, e a Mario Rigoni Stern...

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