giovedì 15 dicembre 2011

Il pianeta proibito

Il pianeta proibito (The forbidden planet, 1956) Regia di Fred McLeod Wilcox. Scritto da Irving Block, Allen Adler, Cyril Hume. Liberamente ispirato a The tempest di William Shakespeare. Fotografia di George J. Folsey. Musica elettronica di Bebe and Louis Barron. Effetti speciali Arnold Gillespie, Bob Abrams, Joe Alves, Joshua Meador, e molti altri. Robot disegnato da Robert Kinoshita. Scenografie di Hugh Hunt ed Edwin B. Willis. Interpreti Leslie Nielsen (comandante Adams), Anne Francis (Altaira), Walter Pidgeon (Morbius), Earl Hollyman (il cuoco), Robby the Robot (se stesso), Warren Stevens (dottor Ostrow), Jack Kelly (tenente Farman) e molti altri. Durata: 98 minuti

PROSPERO: Mark but the badges of these men, my lords,
Then say if they be true. This mis-shapen knave,
His mother was a witch; and one so strong
That could control the moon, make flows and ebbs,
And deal in her command, without her power.
These three have robb'd me; and this demidevil -
For he's a bastard one - had plotted with them
To take my life. Two of these fellows you
Must know and own; this thing of darkness I
Acknowledge mine.
PROSPERO: Guardate le vesti che queste creature hanno indosso, miei signori, e poi ditemi se essi son davvero quel che pretendono di essere. Questo ribaldo difforme aveva per madre una strega, e costei era così forte che poteva comandare alla luna, e far andare e venire il flusso e il riflusso, ed esercitarne, insomma, l'influenza, anche se non ne aveva propriamente la facoltà. Questi tre mi hanno derubato, e questo mezzo diavolo - ché difatto è un bastardo - ha tramato con gli altri per togliermi la vita. Due di questi compari dovrebbero esser ben conosciuti a voi, perché fan parte del vostro equipaggio. Quest'altra creatura di tenebra, invece, la riconosco per mia.
(William Shakespeare, La Tempesta, dal finale dell’opera)
L’ispirazione shakespeariana per “Il pianeta proibito” è molto esplicita anche se non viene apertamente dichiarata; vi sono infatti ben riconoscibili, al di là delle numerose variazioni, sia i due personaggi principali (il mago-scienziato Prospero e sua figlia Miranda) che l’ambientazione, un’isola piena di spiriti e di presenze che nel film è diventata un pianeta lontano e inesplorato. Ma la somiglianza principale, la citazione quasi esplicita che fa venire i brividi quando cominciamo a farci caso, è proprio quella che ho riportato qui sopra: «Quest'altra creatura di tenebra, invece, la riconosco per mia.»
(illustrazione di Lance Miyamoto)
Si tratta di uno dei punti più alti nell’opera di Shakespeare, non si sa quanto questa frase sia voluta e pensata e quanto invece sia venuta per caso: ma Prospero, personaggio positivo che combatte il male, alla fine dell’opera riconosce che il male (nella persona del selvaggio Calibano) è una parte di se stesso; e come parte di se stesso lo indica agli altri personaggi, anticipando così non solo la psicoanalisi (Freud ma soprattutto Jung) ma anche Stevenson (Dr. Jekyll e Mr. Hyde) e molti altri ancora, inclusa tutta la tematica sul “doppio” che nutre da sempre la nostra immaginazione umana.
Quello che succede nel film penso che si possa dire senza rovinare del tutto la visione, anche perché “Il pianeta proibito” è un classico citatissimo: i terribili “mostri” che scatenano morte e distruzione sul pianeta sono creazioni dell’inconscio del dottor Morbius, un inconscio amplificato e reso reale dall’avanzatissima tecnologia degli antichi abitanti dell’isola-pianeta. Fino all’ultimo, l’enigma sfuggirà anche allo stesso Morbius, convinto di aver sempre operato per il bene e per la conoscenza: i “mostri dell’ID”, come vengono chiamati nel film.
da http://www.wikipedia.it/ :
L'Es (o Id) è, secondo la teoria psicoanalitica di Sigmund Freud, quella istanza intrapsichica che "rappresenta la voce della natura nell'animo dell'uomo". L'Es, infatti, contiene quelle spinte pulsionali di carattere erotico (Eros), aggressive ed auto-distruttive (Thanatos) che sono il modo squisitamente umano in cui gli istinti si sono evoluti. È l'istanza intrapsichica più arcaica della nostra mente ed è definito anche inconscio (a differenza dell'Io che è parzialmente inconscio ma contiene anche la maggior parte degli elementi consci). L'Es, secondo la teorizzazione psicoanalitica, consiste di istinti che rappresentano la riserva individuale di energia psichica. Per Freud uno degli istinti primari, e una delle fonti primarie di energia psichica, è quello sessuale.
Il termine fu introdotto da Freud nel 1922 in L'Io e L'Es, mutuandolo però dal lavoro di Georg Groddeck, il quale aveva iniziato ad usarlo indicando con esso le "forze ignote e incontrollabili" da cui "noi veniamo vissuti". Das Es esprime chiaramente il carattere di oggettività, impersonalità dei bisogni pulsionali vissuti come estranei alla parte cosciente della personalità. La comparsa di tale termine coincide con un'importante evoluzione del pensiero freudiano, e cioè con la nuova "teoria strutturale" dell'apparato psichico. È bene precisare che l'Es, nella metapsicologia legata alla teoria strutturale, non è inferiore all'Io, e possiede una capacità di ritenzione dei ricordi estremamente sviluppata; anzi, per maggiore precisione, esso è in grado di immagazzinare un'enorme quantità di ricordi rimossi (soprattutto infantili). Proprio per questo motivo, secondo Freud, la sua attività può essere causa di nevrosi, ovvero di disturbi che scaturiscono dal conflitto tra elementi coscienti (Io) e ricordi che il Super Io non vorrebbe rievocare.
Tornando al film in sè, che è ancora oggi molto piacevole da vedere e che non è giusto sovraccaricare di significati, bisognerà purtroppo dire che appare bel po’ invecchiato in molte sue sequenze; ridiventa però interessante quando appare in scena Walter Pidgeon (il dottor Morbius) e soprattutto quando vediamo le scenografie che riproducono la centrale dei Krell, davvero impressionante ancora oggi dopo tutto quello che abbiamo visto. Anche la visualizzazione dei “mostri” fa impressione, però si commette l’errore (lo ritenevo così anche quando lo vedevo da bambino) di far poi veramente vedere una loro sagoma, sia pure per un attimo.
Molte le curiosità sugli attori: il comandante della nave è Leslie Nielsen, serissimo, ben lontano dai ruoli comici che lo avrebbero reso famosissimo negli ultimi anni della sua lunga carriera d’attore. Il dottor Morbius è Walter Pidgeon, un ottimo attore con una lunga carriera alle spalle, che rende benissimo il personaggio nella sua ambiguità (un’ambiguità ignota anche a lui stesso). Anne Francis, la figlia di Morbius, è bellissima, di una bellezza da sogno, e il regista la fa addirittura uscire nuda dall’acqua in cui stava nuotando. Oggi ci siamo abituati, abbiamo visto molto di più fin da piccoli, ma chissà che effetto faceva negli anni ’50.
Un altro protagonista, che ruba la scena a tutti, è il robot costruito da Morbius: non solo è in grado di fare autentiche magie, e di riprodurre qualsiasi oggetto (cibi e bevande compresi), ma è anche molto simpatico e servizievole, incapace di fare del male quasi come Malcolm McDowell in Arancia Meccanica (dopo la cura, s’intende). Robby the Robot ebbe un enorme successo negli anni ’50 e ’60, ed è stato riprodotto in grande quantità come giocattolo per i bambini: avevo anch’io il robot in casa (alto circa 25 centimetri, funzionava a pile, si muoveva e si accendevano le luci proprio come nel film) e ci ho giocato molto, ma non so bene per chi fosse stato comperato dato che era più vecchio di me.
C’è una goffaggine evidente (e voluta) nelle scene dell’equipaggio dell’astronave: non è certo l’equipaggio di un’astronave ma piuttosto di una nave da guerra, un equipaggio da commedia come se ne erano già viste molte, qualcosa tipo il Blake Edwards di “Operazione sottoveste” (che è di qualche anno successivo) con il cuoco ubriaco (doppiato da Nino Manfredi), i soldati buffi o innamorati, eccetera. Leslie Nielsen però è serissimo e perfino eroico, non ci si aspetti un anticipo di “Una pallottola spuntata”.
Il regista è Fred MacLeod Wilcox, un abile artigiano di Hollywood che ha al suo attivo molti film un po’ in tutti i generi, compresi i film su Lassie con Elizabeth Taylor, nel 1946.La mia memoria mi stava comunque facendo commettere uno sbaglio, giocando su una parziale omonimia: non è il Norman McLeod che girò i film con i Fratelli Marx.
Si può fare ancora un po’ d’ordine con i nomi dei personaggi: la figlia di Morbius si chiama Altaira (Alta) perché siamo sul pianeta Altair IV; e per evitare confusioni (io mi confondo sempre) mi segno che Gort è l’automa di “Ultimatum alla Terra”, questo robot si chiama Robby (Gortys è un sito archeologico a Creta). I Krell del pianeta Altair 4 sono il popolo misterioso, ormai estinto, che ha realizzato le prodigiose macchine che vediamo nel film.
Si potrebbero ancora studiare le relazioni fra Prospero, il capitano Nemo e questo Morbius, tutti scienziati solitari (e pericolosi, se non sono come Prospero). I mostri dell’id li scatena lo stesso Morbius-Nemo-Prospero: l’autismo, la distruttività, la creatività vista come cosa negativa (idem la conoscenza)... L’astronave di Morbius si chiama “Bellerofonte”, un nome fascinoso preso dalla mitologia greca: come dice la Garzantina, “grazie al cavallo alato Pegaso, donatogli da Poseidone, uccise la Chimera e lottò contro le Amazzoni e i guerrieri lici; venne infine accolto fra gli dèi.”
Altre notizie si possono prendere dal libro di W.J. Stuart, Il pianeta proibito, ed. Urania, che è la trasposizione in forma di romanzo della sceneggiatura originale. Da internet (wikipedia soprattutto) ho appreso che W.J. Stuart è lo pseudonimo dello scrittore inglese Philip MacDonald, 1900-1980, autore anche di “The list of Adrian Messenger” di John Huston, sceneggiatore per Hitchcock (Rebecca), e molto altro ancora, soprattutto nel settore dei thriller.
Per esempio, c’è questo possibile apparentamento con le leggende di Shangri-La e del Paradiso Terrestre: nel giardino di Morbius, come nell’Eden, vediamo infatti muoversi gli animali feroci e le loro possibili prede, in perfetta concordia. In particolare, siamo tutti impressionati dalla meravigliosa tigre che fa compagnia ad Altaira, come se fosse un grosso gatto. Ma un giorno quella tigre assale la ragazza, e la tragedia viene evitata solo in extremis.
- Ah, dottore, se quella tigre...se avessi tardato una frazione di secondo...
E chiuse gli occhi, per scacciare un’immagine che adesso vedevo anch’io, perfettamente, con orrore. Poi riprese: - Ma perché? Perché voleva ucciderla?
D’impulso, risposi:
- John, dove è andata la vostra memoria? Non ricordate più la leggenda dell’unicorno?
Arrossì, e io mi sarei volentieri tagliato la lingua.
(pag. 118 del tascabile Urania)
La tigre si chiama Khan; e questo accenno alla leggenda dell’unicorno è forse eccessivo data la natura favolistica del soggetto: gli unicorni, secondo la leggenda, si facevano avvicinare solo da fanciulle vergini. Si tratta comunque di un particolare interessante e tutt’altro che superficiale, se lo si prende nella misura giusta.
C’è anche un accenno alla teoria della relatività:
Non mi preoccupavo per me. Non mi ero più preoccupato di nulla, dopo la morte di Caroline. Ma sin dai primi momenti avevo pensato ai giovani di cui si componeva l’equipaggio. Nonostante la loro gioventù, erano esperti trasvolatori degli spazi, ed era più forte di me domandarmi con apprensione che genere di vita fosse la loro. Si cerchi di capirmi: uno si innamora, ad esempio, poi parte per una missione transpaziale, e al ritorno non trova più una ragazza ma una vecchia con i capelli grigi e la dentiera...
(pag. 5 del tascabile Urania)

2 commenti:

Matteo Aceto ha detto...

Un film davvero interessante, letto attraverso la lente di questo tuo bel post, caro Giuliano. Una sera, rincasando tardi, l'ho beccato alla tele (credo che fosse su Raitre), ma era già iniziato e così mi sono limitato a guardarne qualche scena. Non avevo mai visto prima Leslie Nielsen coi capelli neri! E' un film da riscoprire.

ps (già che siamo in tema): un mio amico che ha l'abbonamento a Sky mi ha detto di aver visto su quei canali un film di Mario Bava chiamato "Terrore nello spazio" che - a quanto pare - avrebbe influenzato Ridley Scott mentre girava "Alien". Ne sai qualcosa? Hai visto quel film di Bava?

Giuliano ha detto...

una volta passava spesso in tv, io l'ho visto molte volte e i mostri dell'ID mi hanno fatto una gran paura (mi fanno paura ancora oggi, a pensarci bene, perché nel frattempo ho letto qualcosa di Carl G. Jung). E' purtroppo molto invecchiato in alcune sue parti, come dico nel post, ma è sempre un bel film.
Sui registi che citi, confesso di essere un bel po' estremista e addirittura dinamitardo: se leggo il nome di uno dei Bava, o di Dario Argento, o di Lucio Fulci, eccetera, evito con cura di guardare quel film. Anche con Roger Corman non è che mi senta a mio agio...Buoni artigiani, avevano un senso negli anni in cui lavoravano (riempivano i cinema dei piccoli paesi e facevano fare buoni incassi, cosa ovviamente utilissima e molto positiva), ma non sono assolutamente d'accordo con chi li rivaluta. Di Fulci e degli altri guardo volentieri i film con Franchi e Ingrassia, ma non è mica merito suo! (tanti li ho visti proprio al cinema, qui nel mio paese, da bambino)
Ovviamente, mio giudizio personale!
:-)
ciao, e buon Natale!