A proposito di tutte queste...signore ( For att inte tala om alle dessa kvinnor, 1964). Regia di Ingmar Bergman. Scritto da Ingmar Bergman, sceneggiatura di Ingmar Bergman ed Erland Josephson. Fotografia di Sven Nykvyst. Costumi: Mago. Musica: Johann Sebastian Bach, suites per violoncello; accenni al lied “Adelaide” di Ludwig van Beethoven. Musiche originali di Erik Nordgren. Girato a Bastad, Skane Iän (Svezia). Interpreti: Jarl Kulle (Cornelius), Allan Edwall (Jilker), Georg Funqvist (Tristan), Eva Dahlbeck (Adelaide) Karin Kavli (Madame Tussaud), Harriet Andersson (Isolde), Gertrud Fridh (Traviata), Bibi Andersson (Humlan-Vespa), Barbro Hjort af Ornas (Beatrice), Mona Malm (Cecilia). Durata: 80 minuti
Coloratissimo e brillante, luminoso, quasi senza ombre, “A proposito di tutte queste signore” è il film di Bergman che più ha lasciato perplessi, e non solo il pubblico pagante: anche i critici più attenti sembrano non sapere cosa pensarne di preciso, e lo liquidano quasi sempre parlandone come di un film girato senza molta ispirazione da un Ingmar Bergman molto occupato in altre cose (la direzione di un importante teatro svedese, e altre sue faccende personali), quasi soltanto una passerella lussuosa e simpatica per i suoi attori e amici.
Eppure, a me pare tutto molto semplice: mettere in scena il nostro funerale e vedere cosa diranno di noi amici e parenti è una fantasia molto comune. Enzo Jannacci e Dario Fo dedicarono a questa fantasia una canzone ancora oggi famosa (“per vedere se la gente poi piange davvero”) e anche Massimo Troisi, all’epoca della sua collaborazione con Benigni, girò per la tv un breve film molto divertente che iniziava proprio come “A proposito di tutte queste signore”: una camera ardente che accoglie l’artista defunto, e i sopravvissuti che vi si affollano intorno.
Nel film di Bergman, il grande artista a cui rendere omaggio è un violoncellista (una metafora molto trasparente e poco impegnativa) e attorno a lui una corte di donne e due servitori fedeli, l’autista (che gli somiglia moltissimo) e l’impresario-segretario (interpretato da Allan Edwall). In questa villa ricca di marmi e di giardini, pochi giorni prima dell’evento, fa irruzione il critico musicale (e compositore) Cornelius, che registrerà gli eventi. Cornelius è interpretato da uno dei fedelissimi del primo periodo di Bergman, l’attore Jarl Kulle, adattissimo al clima di commedia brillante e già protagonista di “Sorrisi di una notte d’estate”, dieci anni prima.
E’ dunque facile pensare che Bergman metta molto di se stesso nei panni del morto (l’artista morto) e che le sue donne (di sicuro lo fu Harriet Andersson, le altre non so) si prestino al gioco con molto divertimento. Si tratta di sette donne, di diversa età: tra di loro si nota la mancanza di Liv Ullmann, (che stava per arrivare), e di Ingrid Thulin, forse impegnata in altri film fuori dalla Svezia.
Le sette donne fanno pensare a Barbablu, o magari ad Enrico VIII (che si fermò a sei), e c’è anche un giallo da risolvere: chi ha ucciso il Maestro?
Il Maestro si chiama Felix, naturalmente: con tutte queste donne a sua completa disposizione, un nome più che appropriato. Abita in una casa che è come il teatro, dove nessuno ha il suo vero nome ma quello di un personaggio, e dove tutti recitano una parte: « Non si sarà mica convinto di aver inventato anche me?» si trova a pensare a un certo punto il critico Cornelius, a un’ora dall’inizio.
Le donne hanno tutte un nome vero e un nome “artistico” dato loro dal Maestro. La più anziana, che prese sotto la sua ala protettiva il Maestro quand’era ancora un ragazzo, è stata soprannominata Madame Tussaud: il nome di un famoso museo delle cere. Un soprannome crudele, ma alla donna non dispiace, come spiega lei stessa a Cornelius. La servetta interpretata da Harriet Andersson si chiama (nientemeno) Isotta; ma abbiamo anche una Traviata, una Beatrice, una Cecilia (santa Cecilia, protettrice della musica) e un’Adelaide (Eva Dahlbeck) che probabilmente deve il suo nome a uno dei pochi lieder scritti da Beethoven (Cornelius lo intona spesso, in maniera volutamente molto goffa). Mi è rimasto un dubbio legato al nome del personaggio di Bibi Andersson, che la versione italiana traduce con “Vespa”: probabilmente Vespina, protagonista femminile di “La serva padrona” di Pergolesi (l’originale svedese è “Humlan”).
Ne esce una commedia stramba ma elegante, poco decifrabile ma a tratti divertente, che ricorda molto Mozart (Cherubino, Le nozze di Figaro, il nascondersi e gli equivoci) e le opere scritte insieme da Hugo von Hofmannsthal e Richard Strauss (Capriccio, Arabella, Intermezzo...). Nei dialoghi ci sono molte citazioni dal Don Giovanni di Mozart, ed è divertente riconoscerle.
Molte anche le trovate da cartone animato: i fuochi d’artificio, per esempio, sempre a portata di mano come capita solo a Bugs Bunny con i candelotti di dinamite. I cartoons Warner erano, d’altra parte, un grande successo proprio di quegli anni: echi di Wile Coyote, Yosemite Sam, Daffy Duck & Co. si possono ritrovare, volendo, qua è là per tutto il film, soprattutto negli scatti e nelle movenze dei personaggi e a volte con citazioni esplicite. Anche le luci forti e l’assenza di ombre riportano molto al mondo dei cartoni animati, e fanno di “A proposito di tutte queste signore” un film unico nella produzione di Bergman.
Non so quanto il film si possa dire riuscito, di certo è un esercizio di stile portato a termine con eccellente mestiere, e si capisce che tutti gli attori si devono essere divertiti parecchio nel mettere in scena tic e portamenti che di sicuro rimandano a qualcuno che hanno veramente conosciuto.
Memorabile, in ogni caso, il tango ballato fra Bibi Andersson e Jarl Kulle: una scena da antologia che un Bergman particolarmente divertito presenta come “alternativa” a quello che è successo veramente fra i due e che, ahimè, la censura vieta di far vedere nei dettagli.
La musica viene quasi tutta dalle suites per violoncello di Johan Sebastian Bach, brani famosissimi; ma Bach in questo film è solo un pretesto, ce ne è molto ma non è che lo si ascolti veramente. Le musiche originali, molto azzeccate, sono di Erik Nordgren; il lied “Adelaìde” è di Beethoven (non una delle sue cose migliori, ma ai cantanti piace e lo si ascolta spesso nei recital).
Luci e colori, molto belli, rimandano a Fellini, “Giulietta degli spiriti”, così come le scenografie; le donne sono tutte vestite come Valentina Cortese nel film di Fellini, e si atteggiano come il suo personaggio. I due film sono praticamente coetanei ed è difficile capire se i due si sono “spiati”: di certo si sa che erano amici e che si stimavano molto reciprocamente, quindi è normale che abbiano dei punti di contatto.
E infine, rivedendo il film e cogliendo le numerose gags seminate in ogni scena, mi è tornata in mente una celebre frase attribuita a Joseph Conrad: non so quanto abbia a che fare con “A proposito di tutte queste signore” ma la riporto qui lo stesso perché è divertente: Quando fai lo scrittore di mestiere (l’artista!), è difficile spiegare a tua moglie che se perdi tempo a guardar fuori dalla finestra in realtà stai lavorando.
PS: il titolo originale, su "Immagini" di Ingmar Bergman (ed. Garzanti) viene tradotto alla lettera così: "Per non parlare di tutte queste donne".
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