L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the body snatchers, 1956). Regia di Don Siegel. Tratto da un racconto di Jack Finney (1954). Sceneggiatura di Daniel Mainwaring e Richard Collins. Fotografia di Ellsworth Fredericks Musiche di Carmen Dragon. Con Kevin McCarthy, Dana Wynter (Becky), King Donovan (Jack), Carolyn Jones (Theodora), Larry Gates (dr. Kaufmann) Sam Peckinpah (uomo del gas) Durata: 80 minuti
Un film avvincente, che si guarda dall’inizio alla fine senza mai annoiarsi: un piccolo capolavoro che andrebbe proiettato obbligatoriamente ancora oggi nelle scuole di cinema. Un esempio di come si scrive una sceneggiatura, al di là del soggetto; un prodigio di ritmo e di tenuta stilistica; attori tutti in parte e perfetti anche nelle parti più piccole; esterni ben scelti, interni accuratissimi, luci perfette, posizionamento delle cineprese da manuale.
Cos’altro aggiungere? Che, sì, è un film in bianco e nero degli anni ‘50: spero che non disturbi, faccio presente che il film è vecchio anche per me (nel 1956 non ero ancora nato) e che privarsi della visione dei film più belli solo per un criterio di colore o di data d’uscita significa veramente volersi male. Oltretutto, negli anni ’40 e ’50 sono usciti alcuni tra i più bei film d’azione di tutti i tempi, veri modelli per tutte le generazioni seguenti.
Il fatto che la riuscita di “L’invasione degli ultracorpi” sia merito di Don Siegel e dei suoi collaboratori, e non della storia in sè, è dimostrato dai numerosi remakes più o meno dichiarati o mascherati, nessuno dei quali è entrato nella storia del cinema. Molte storie di per sè bellissime sono state rovinate da cineasti scadenti, molte storie di per sè poco significative hanno dato origine a capolavori grazie al lavoro di bravi artigiani e grandi artisti: nulla di nuovo sotto il sole, basterà sottolineare (ancora una volta) che ci sono ciofeche recentissime e capolavori di cent’anni fa, e anche viceversa – ma le ciofeche di cent’anni fa non le guarda più nessuno e nessuno ha interesse a raccontarvi che dovete spendere dei soldi per vederle.
Don Siegel ha al suo attivo molti altri film d’azione: sono famosi quelli con Clint Eastwood, ma se ne trovate uno con la sua firma su qualche palinsesto tv vale sempre la pena di vederlo.
“L’invasione degli ultracorpi” è un film che mi ricordavo attimo per attimo, anche dopo vent’anni che non lo vedevo per intero. Molte sequenze sono infatti indimenticabili, come quella del corpo informe disteso sul biliardo, in primissimo piano, che d’improvviso prende vita e apre gli occhi: girata da maestro, senza trucchi e con grandissimo mestiere.
Un particolare che avevo dimenticato, forse l’unico, è che il protagonista è un medico generico, medico di famiglia. Questo dettaglio mi ha fatto molto pensare. Considerazioni amare, perché sul fatto che sia un medico di famiglia, e che per questo motivo conosca tutti e da tutti sia conosciuto, è il dettaglio sul quale si basa gran parte del film, soprattutto all’inizio.
Paesi come Santa Mira, il luogo dove si svolge l’azione del film, una volta erano comunissimi. Fino a tutti gli anni ’70, anche da noi era così: un mondo a misura d’uomo, dove ci si conosce tutti (nel bene come nel male) e non c’è bisogno di mostrare pass, tesserini, smart card; dove vigili e poliziotti svolgono egregiamente il loro compito senza dare multe e senza togliere punti dalla patente, semplicemente usando il buon senso. Così è stato, ma poi è finita: ed è storia recente, recentissima. Forse i ragazzi di vent’anni non lo sanno, e se glielo si racconta non ci credono; e se provi a raccontarlo in giro, anche alle persone di cinquant’anni, neanche loro se lo ricordano più e ti danno del nostalgico. Eppure un altro mondo è possibile, e anzi questo mondo c’era, ma è stato spazzato via in meno di quindici anni.
Oggi nessuno più vuole fare il medico di famiglia, medicina generale è “roba da sfigati”: lo dicono le statistiche sulle iscrizioni all’Università. Tutti oncologi, tutti endoscopisti, tutti chirurghi plastici. Dei medici generici, quelli che ci sono lo fanno quasi sempre per ripiego e di malavoglia; e mai e poi mai verrebbero di casa in casa, come fa il dottore protagonista del film: eppure era cosa normale fino a pochissimi anni fa. Il medico di famiglia, medico di base, correva e dava le prime cure: metteva i punti sulle ferite, per esempio, senza bisogno di andare a intasare il Pronto Soccorso, che serviva solo per le cose gravi. Non so se lo faccia ancora qualcuno, oggi vale la regola che per farsi visitare dal medico di famiglia bisogna prenotare, e che se una mamma telefona dicendo “mio figlio ha la pelle coperta di pustole e la febbre a 40” la risposta d’obbligo è “me lo porti qui in ambulatorio” (con il rischio di far prendere la rosolia o il morbillo a tutti i presenti? ma sì, certo). Mi hanno raccontato cosa succede nelle grandi città: se si ha in casa un malato che necessita di cure, è molto probabile che il vostro medico di base vi scarichi. Il motivo? Muoversi nel traffico, fatica per parcheggiare, eccetera. Il che porta a considerare non solo i medici, ma tutta l’organizzazione della nostra società: la politica, insomma.
Guardandosi in giro, viene spesso da pensare che nel frattempo gli alieni si siano fatti furbi, e usino mezzi più sottili e perfezionati rispetto ai baccelloni e agli ultracorpi. La politica di successo, in questi ultimi 10-15 anni, è stata quella che ha puntato ai nostri istinti più tirchi e più gretti, facendo leva sulle persone senza sentimento, intente solo a badare a se stesse, indifferenti anche di fronte al naufragio di una nave con più di cento persone a bordo (“ma sì, erano tutti negri e marocchini”).
Però forse sto andando troppo in là per un piccolo film come questo – o forse il film non è così piccolo come si pensa?
Ottimi tutti gli attori, anche nelle piccole parti; non un granché la musica, ma funziona e non è mai invadente. La protagonista femminile è Dana Wynter, bella ed elegante, forse l’unica vera star del film; Kevin Mc Carthy è il protagonista, King Donovan è l’amico Jack, e il (futuro) grande regista Sam Peckinpah ha una piccola parte come attore, l’uomo del gas.
A questo proposito, va ricordato che è molto bella anche l’intervista a Kevin Mc Carthy sul dvd ufficiale: ne esce un ritratto diverso da quello che ci si aspettava, Kevin si rivela persona fine e intelligente, e dice cose molto sensate. Ho appreso così che Kevin McCarthy ha fatto quasi soltanto teatro, che è la sua vera passione; in effetti la sua filmografia è piuttosto scarsa, e di mio ricordo soltanto che recitò con John Huston in “The misfits” (Gli spostati, 1958), una piccola parte accanto a Marilyn Monroe, Clark Gable, Montgomery Clift ed Eli Wallach.
Il romanzo da cui fu tratto il film, scritto da Jack Finney, è del 1954: dunque fu subito preso e portato sugli schermi. In Italia è uscito da Urania (collana di fantascienza) anche con il titolo “Gli invasati”, E’ in effetti un buon romanzo di fantascienza, non un capolavoro; la differenza con il film è che nel libro non c’è il flashback, si parte con il ritorno a casa del protagonista e con la scoperta man mano di quello che succede. Pare che l’impostazione finale del film sia stata voluta dalla produzione, che riteneva la versione originale poco comprensibile; per questa ragione furono aggiunte la voce narrante e le scene iniziali, girate a riprese già concluse. Nel dvd, si racconta che Siegel e il suo staff erano contrari all’idea, ma che poi acconsentirono per poter avere il controllo finale su tutto il film, che altrimenti sarebbe passato in altre mani; e direi che è stata una buona idea, il film è ottimo anche così.
Una nota finale sul titolo originale: “The body snatchers, “ladri di corpi”, ma “to snatch” ha il senso di “afferrare, strappare a viva forza”. Uno scippo, verrebbe da dire.
Il titolo è lo stesso di un famoso racconto di Robert Louis Stevenson (fine ‘800) che parlava di trafugatori di cadaveri per le scuole di anatomia, parente stretto quindi del Frankenstein di Mary Shelley. Con il titolo “The body snatcher”, tratto da Stevenson, esiste un film del 1945 con Boris Karloff e Bela Lugosi, regia di Robert Wise: il titolo italiano è “La iena”.
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