SOMMARNATTENS LEENDE (Sorrisi di una notte d'estate, 1955). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Gunnar Fischer e Ake Nilsson. Musica: Erik Nordgren. Scenografia: P.A. Lundgren. Montaggio: Oscar Rosander. Costumi: Mago. Interpreti: Eva Dahlbeck (Désirée), Gunnar Björnstrand (avvocato Egerman), Harriet Andersson (Marta), Ulla Jacobsson (moglie di Egerman), Björn Bjelvenstam (figlio di Egerman), Jarl Kulle (conte Malcolm), Margit Carlqvist (moglie di Malcolm), Ake Fridell (Fritz), Gul Natorp (Malla), Naima Wifstrand (madre di Désirée), Bibi Andersson (attrice), Birgitta Valberg (altra attrice), Anders Wulff (il piccolo Fredrik), Juliane Kindahl (la cuoca), Gunnar Nielsen (Niklas). Durata: 108 minuti
Fredrik (davanti allo specchio): Come faccia una donna ad amare un uomo, proprio non lo capisco.
Desirée (sorridendo): La donna non giudica secondo l’estetica. E, nel peggiore dei casi, spegne la luce.Me lo sono sempre chiesto anch’io: cosa ci troveranno mai le donne, nei maschi? Come spiegherà bene anche la moglie di Malcolm, più avanti, noi siamo più brutti delle donne, e anche pelosi. Ma il sorriso di Eva Dahlbeck in questa scena (un sorriso molto divertito, ma anche serissimo) toglie ogni dubbio: del resto, ormai dovrei saperlo – ma ogni volta la cosa mi coglie di sorpresa.
Come fanno le donne ad amare gli uomini? Se lo chiede anche Ingmar Bergman, ed è una domanda (ancora una volta) divertita ma serissima. In fin dei conti, rimane un mistero – un bel mistero, a dirla tutta. Sta di fatto che da quando ho rivisto “Sorrisi di una notte d’estate”, un film che ho sempre amato moltissimo ma che non vedevo da un’infinità di tempo, non riesco a togliermi dalla testa Eva Dahlbeck: che qui appare non solo come grande attrice, ma anche come donna bellissima e intelligente. Insomma, mi sono quasi innamorato: cosa strana, ma la spiegazione c’è. Questa era infatti la prima volta che vedevo il film in edizione originale, cioè integrale e non doppiata; nella versione italiana Eva Dahlbeck era doppiata in maniera eccellente, ma l’attrice che le dava la voce era la stessa che doppiava, in quegli anni, tutte (ma proprio tutte) le dive di Hollywood, e perfino quelle di casa nostra; così che si finiva per pensare che nei film tutte le parti femminili (ma proprio tutte) fossero interpretate da un’unica attrice.
Vedere e ascoltare con la sua vera voce un’attrice così brava è un’esperienza piacevolissima; e il fatto di non conoscere lo svedese diventa del tutto secondario, se si conosce la storia. Tra l’altro, lo svedese è una lingua dal suono molto simile all’italiano, basata sulle vocali; non assomiglia né al tedesco né all’inglese, come si potrebbe pensare senza averla mai ascoltata. Ci sono infatti cantanti d’opera importanti, come il tenore Jussi Björling, che hanno una pronuncia italiana perfetta e naturalissima; da quando so com’è il suono della lingua svedese so anche perché.
Insomma, giunto a questo punto confesso che sto solo perdendo tempo e tirando un po’ in lungo, al solo scopo di inserire qualche immagine in più: “Sorrisi di una notte d’estate” è un film bellissimo e divertente, come presentazione ci si potrebbe anche fermare qui e non aggiungere altro; ma qualcosa finirò pure per dirla.
Al punto in questione, cioè a mezz’ora dall’inizio, l’avvocato Fredrik è caduto in una pozzanghera: la sua amante gli aveva appena detto “attento alla pozzanghera” e lui ci è cascato dentro, bagnandosi senza speranza e provocando una meravigliosa risata della donna.
E’ una pozzanghera d’acqua limpida, in cui ci si specchia: Bergman ne approfitta per girare una sequenza molto bella, da antologia. Nella versione italiana “Sorrisi di una notte d’estate” fu molto tagliato e censurato, al punto da rendere molti passaggi quasi incomprensibili; ma va anche detto che eravamo nei primissimi anni ’50, e che questo film ha uno dei soggetti più scabrosi che mi sia mai capitato di incontrare. Tutto è trattato con grazia e con grande finezza, ma anche con una franchezza e una precisione nei dettagli che è raro incontrare ancora oggi: per non rovinare il piacere della visione e dell’ascolto dei dialoghi ne porto un solo esempio, cioè quando Harriet Andersson (la cameriera) e Ulla Jacobsson (la moglie del padrone) discutono della verginità e dei dettagli della vita amorosa, e se sia possibile riconoscere la verginità “dalla luminosità degli occhi e della pelle”.
Nella commedia, Ingmar Bergman è divertente e leggero come pochi altri; però passa per cupo ed angoscioso, e in effetti di film cupi e angosciosi (e anche molto belli) ne ha girati parecchi. Il sorriso di Bergman mi ha stupito molto la prima volta che l’ho visto, in un’intervista in cui era ormai molto anziano; ed è il sorriso di una persona gentile e intelligente, proprio l’immagine che ci si farebbe pensando all’autore di commedie come questa. In cerca di notizie, sono andato a prendere “Immagini” (ed. Garzanti) il libro in cui il regista svedese passa in rassegna tutti i suoi film, uno per uno: ma alla voce che dovrebbe corrispondere a “Sorrisi di una notte d’estate” c’è pochissimo. Ci sono molte pagine, ma Bergman parla d’altro; più che altro, spiega di aver girato delle commedie per “motivi alimentari”: le commedie venivano pagate bene e facevano buoni incassi. Insomma, una sagoma d’uomo: gira dei capolavori e lo sa benissimo, ma poi li liquida dicendo che sono cosette da poco (farà la stessa cosa parlando di “Il settimo sigillo”: “un piccolo film a cui sono molto affezionato”).
Siamo agli inizi del Novecento, e non nell’Ottocento come potrebbe sembrare, perché ad un certo punto compare un’automobile: il suo fortunato possessore se ne fa vanto spiegando che va addirittura a 25 all’ora, veloce come il vento. E’ un film dove quattro coppie si intrecciano, si fanno e si disfano, e ricorda molto le grandi commedie mozartiane, soprattutto il “Così fan tutte”; e c’è un anticipo del Papageno del "Flauto Magico" nel vetturino di cui si innamora Harriet. C’è un lieto fine per tutti, come ci si poteva aspettare; ma – come spiegava bene Orson Welles - il lieto fine dipende soltanto dal momento in cui si fa finire la storia; e i “sorrisi della notte d’estate” di cui parla il titolo sono tre, come spiega il cocchiere Fritz (Ake Fridell) alla bella Marta (Harriet Andersson), tre momenti diversi che scandiscono una notte d’amore. L’ultimo sorriso arriva all’alba; e questi sorrisi, gli attimi in cui la Natura mostra tutto il suo splendore, sono per la servetta e per il suo innamorato, molto semplici e diretti, e non per gli aristocratici e per i borghesi che confondono l'amore nei loro giochi di potere.
Personalmente, trovo molto bello anche l’aver colto e filmato un momento emozionante del teatro, il sipario che cala e la fine degli applausi, e l’attrice che avrebbe voluto continuare, ma ormai il momento di gioia è passato. Il teatro è uno dei temi fondamentali nel cinema di Bergman, appare con grande verità un po’ in tutti i suoi film, e non poteva essere diversamente dato che Bergman è stato per tutta la sua vita, prima ancora che di cinema, un grande regista di teatro.
« (...)La pienezza dell’ispirazione risulta così sorvegliata che il racconto fluisce limpido sino alla fine. E di nuovo si può ammirare, insieme all'esercitata scaltrezza, quella che diremmo la verginità espressiva del Bergman di allora, che racconta e mostra come se i suoi film fossero gli unici a circolare in questo monda. Una telefonata, una corsa in treno, un giro tra i baracconi di un parco dei divertimenti. Quante volte li abbiamo incontrati, al cinema? Bergman si conduce come se li considerasse nuovi, e realmente li rifà nuovi, con una specie di freschissima eccitazione che ignora i paragoni e crea le norme.
Per la sua brevità e bellezza l'estate scandinava è celebrata non come una stagione ma come un'apparizione mitica verso la quale rifluiscono i desideri, le superstizioni, le fantasie degli uomini. Si carica nel suo viaggio di molteplici significati, ed è logico che si trasformi a un certo punto, insensibilmente, in una entità fatale e distributrice, destinata a muovere senza errori i fili della vita e a passare sorridendo, dopo avere amministrato una graziosa giustizia che resterà tale almeno fino alla ventura estate. Una giustizia semiseria, fondata su un solo, canzonatorio segreto: quello di velare il nostro presente capriccio di una luce di magia, quindi di possibile eternità. È solo un travisamento del tempo e della luce, uno scherzo complice. Quanto basta agli alibi degli amanti. Unicamente un ulteriore invito a un impulso già facile: di credere sempre a quello che ci fa bene. È l'ultima delle lezioni «estive» di Bergman, probabilmente la piú bella: “Sorrisi di una notte d'estate”. Che cosa avverrà quando la lattea notte del nord avrà fine? Quanta vera felicità sarà serbata alle quattro coppie del film? Nulla vieta che esse rientrino nel meccanismo dell'orologio a figure ruotanti, e che si accodino ai rudimentali simboli: la principessa, la morte, il villano gobbo. La “ronde” può riaprirsi indefinitamente, sotto uno qualsiasi dei segni. Le scomposizioni non sembrano concluse. Ecco perché il film è una specie di tragico marivaudage in cui il gusto delle possibilità contrarie, del rifiuto alla convenzione nel momento in cui il sorriso è piú indifeso, dell'ironia che corregge e sopraffà perfino il cinismo, trova una virtuosistica illustrazione. Di modo che il soggetto è visibile a tratti nella bislacca prospettiva di una tragedia mancata.
«È una commedia o un dramma? - chiede Anny (Ulla Jacobsson ) al marito che l'ha invitata a teatro- Metterò un vestito bianco. Il bianco va bene per piangere e per ridere ».
Questa la risposta indiretta di Bergman al proprio film. Dramma o commedia, non si sa: ma in ogni caso un intreccio che « porta » il bianco, come una veste adatta a tutte le insidie. E il bianco è la misteriosa notte svedese, questo finto e breve passaggio della sorte. (...) »
(Tino Ranieri, dal volume su Ingmar Bergman del “Castoro Cinema” ed. La Nuova Italia)
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