sabato 17 aprile 2010

Macbeth di Polanski ( I )

The tragedy of Macbeth (in USA “Macbeth”,1971). Dal dramma di William Shakespeare. Regia di Roman Polanski. Sceneggiatura di Kenneth Tynan e Roman Polanski. Fotografia: Gil Taylor. Musica: Third Ear Band. Interpreti: Jon Finch, Francesca Annis, Martin Shaw (Banquo), Terence Bayler (Macduff) John Stride (Ross) Nicholas Selby (Duncan) Stephen Chase (Malcolm) Maisie Mac Farquhar, Elsie Taylor, Noelle Rimmington (tre streghe), e altri. Durata: 140 minuti.

Le streghe sono il banco di prova per chiunque si cimenti col Macbeth. Con le streghe comincia il dramma, così come lo ha scritto Shakespeare, ed è un inizio forte e violento. Polanski non si sottrae alla sfida e ci va giù duro, tenendo conto che non sono ancora partiti i titoli di testa: le streghe, brutte e/o vecchie come da tradizione, sono sulla spiaggia tra il fango e seppelliscono il braccio mozzato di un cadavere, mettendogli in mano un pugnale e versandoci sopra del sangue. Loro sanno che tra poco saranno in quel luogo Macbeth e Banquo, nobili e fedelissimi al Re di Scozia, reduci dalla battaglia contro i traditori.
Il mio Macbeth di riferimento è quello di Giuseppe Verdi, composto nel 1847: a giudicare dalla sceneggiatura del film stesa da Polanski, direi che non si tratta solo di un mio riferimento. Verdi era uno che tirava diritto per la sua strada, ma una delle poche volte che si ribellò ai suoi critici fu quando lo rimproverarono di non conoscere Shakespeare, come viene riportato in una sua celebre lettera. La sua è una sintesi geniale dell’opera, con tagli dolorosi ma necessari per dare il ritmo teatrale e musicale che Verdi cercava; Polanski non fa molti tagli, lascia tutti i personaggi che ci sono in Shakespeare, e questo forse è un problema per chi vuole vedere il film e non conosce già il Macbeth.
La questione dei tagli, in Shakespeare, è sempre all’ordine del giorno: date per intero così come sono scritte, il Macbeth e l’Amleto richiedono mezza giornata di tempo: ai tempi del Globe, cinquecento anni fa, succedeva. La gente entrava e usciva a suo piacimento dai teatri, i biglietti erano popolari, ognuno vedeva quello che gli interessava; in più gli attori avevano una fama dubbia, spesso veniva negata loro perfino la sepoltura nei cimiteri: insomma, la percezione del teatro era completamente diversa. Non giustifico sempre i tagli, ma confesso di sentirmi spesso a disagio con questo esercito di personaggi che popolano i drammi di Shakespeare. Per esempio, nel film di Polanski ha molto spazio Ross: ma chi è Ross? Mi ricordavo bene di tutti questi scozzesi, perfino di Donalbain, ma Ross me l’ero proprio dimenticato e l’ho ritrovato solo sulle pagine del libro. Nel film di Polanski ha molto spazio anche il signore di Cawdor, accusato di tradimento in battaglia e messo in catene dal Re: il suo titolo e il suo castello, come ben sa chi conosce il dramma, passeranno a Macbeth e saranno l’inizio della sua perdizione.
Tornando alle streghe, spesso si rimprovera a Verdi di aver dato loro ritmi popolari e un po’ rozzi: ma perché mai le streghe dovrebbero ballare su ritmi raffinati e urbani? Anche questo è un equivoco comune quando si parla di Shakespeare: i suoi personaggi sono molto spesso triviali, poco colti, approssimativi. L’usanza di farne una rappresentazione “alta” risale forse all’Ottocento, ma basta leggere l’Amleto o l’Otello per rendersi conto della moltitudine di giochi di parole poco raffinati che vi si trovano.
Detto questo, del film di Polanski mi sento di parlare soltanto in bene. Certo, ci vuole un po’ di pazienza; ma il film è tutt’altro che pesante o difficile da seguire, ed è un gran merito. Secondo me, una cosa che gli nuoce è l’aver avuto Hugh Hefner, l’editore di Playboy, come produttore: Hefner sembra essere in cerca di nobiltà, forse vuole dimostrare di saper anche “fare cultura”, cosa che lega un po’ il regista.
Ma Polanski è uno che sa il fatto suo, il film è tutt’altro che patinato e flou. Si muove da subito in ambienti rurali, tra pietre antiche; il cielo è livido, gli attori sembrano spesso aver freddo (com’è giusto, del resto), c’è molto fango, e molto sangue; e all’inizio del film Macbeth e la sua Lady sono una coppia molto giovane, marito e moglie molto innamorati.
A merito di Polanski metto il fatto di aver lasciato la scena del portinaio, oggetto costante di tagli in tutte le messe in scena, Verdi compreso. Il portinaio è quel signore (Shakespeare lo mette fra i suoi clowns) che, subito dopo l’uccisione del Re, nel pieno del sonno, viene svegliato da un violento battere alla porta: si tratta di Macduff e Lennox (a loro si unirà poi Banquo), che tornano al castello. Come è ovvio, essendo stato svegliato in quel modo, sacramenta e borbotta a ruota libera; è la sua unica scena, e serve per scaricare l’enorme tensione accumulata dopo la notte degli orrori. A questa scena fa seguito un’altra scena molto forte, quella della scoperta del cadavere del Re.
ATTO SECONDO, SCENA TERZA
(...) MACDUFF: Doveva essere proprio tardi, amico, quando sei andato a letto, visto che ci sei rimasto fino a quest’ora avanzata!
PORTIERE: In verità, signore, abbiamo brindato fino al secondo canto del gallo. Ed è ben noto, signore, che il bere provoca tre cose.
MACDUFF: E quali sono queste tre cose?
PORTIERE: Marry, Sir, il naso rosso, il sonno, e l’urinare. Quanto alla lussuria, signore, il bere la provoca e non la provoca. Provoca, bensì, il desiderio; ma ne impedisce l'esecuzione. E quindi si potrebbe pur dire che l'eccesso del bere cerchi di far degl'imbrogli con la lussuria. La fa e la disfa, la spinge innanzi e poi la ritrae, la eccita e la scoraggia, la fa drizzare, ma poi non sa mantenerla ben dritta. E in breve, a forza d'imbrogli, l'immerge in un sonno profondo, e dopo averlo ingannato, l'abbandona.
MACDUFF: M'hai l'aria d'esser stato ingannato anche tu, dal gran bere che hai fatto stanotte.
PORTIERE Proprio così, signore: mi ha ingannato per la gola, eppure ho ribattuto dicendo tutto quel che meritava; ed essendo, com'io credo, troppo più forte di lui, pur se il bere m'abbia a un tratto quasi tolto l'uso delle gambe, ho finito col gettarlo a terra.
MACDUFF È già levato, il tuo padrone? (Entra Macbeth.) I nostri colpi alla porta l'han fatto svegliare: eccolo che giunge. (...)
(William Shakespeare, Macbeth. Traduzione di Gabriele Baldini, ed.BUR-Rizzoli)

Come tutti sanno, le streghe ingannano Macbeth dicendogli la verità: gli predicono che sarà sire di Cawdor, poi Re di Scozia; poi che non sarà mai ucciso da un uomo nato di donna, e che non sarà mai sconfitto fino a quando non vedrà la foresta di Birnam muovergli incontro. Tutte queste profezie, per quanto incredibile, sono vere; e tutto queste profezie contengono un inganno. Ma l’inganno, il doppio senso, il gioco di parole, è destinato ad essere scoperto quando sarà troppo tardi.
A tratti, Polanski sembra intimidito da Shakespeare, molto legato, meno libero del solito. Gli manca il colpo d’ala, tutto è molto curato e molto preciso, ma alla fine c’è poco che rimane in memoria. Direi che è un film fatto con molto impegno, ma senza una vera motivazione interna. Va anche detto che fare un film da Shakespeare è un’impresa difficile, che è riuscita bene a pochi; direi quasi solo a Orson Welles e a Kurosawa (“Il trono di sangue”), oltre che a Polanski. Forse Stanley Kubrick avrebbe fatto il Macbeth perfetto, ma non credo che ci abbia mai pensato.
Va detto ancora che Polanski ha delle idee molto belle e altre piuttosto discutibili, e alcune me le sono segnate: Macbeth che per essere fatto re sale sulla grande pietra dove c’è scavata l’impronta dei piedi, e viene poi alzato sullo scudo (come il Re in Asterix). Dopo aver fatto uccidere l’amico Banquo, Macbeth sogna il bambino suo figlio incoronato, come nella profezia delle streghe, che ride di lui, e sogna anche Banquo; poi si sveglia e con lui c’è la moglie. Nella loro seconda apparizione, dentro la caverna, le streghe non sono solo vecchie o brutte, ma anche nude; ed è una rappresentazione molto di maniera, che comunque funziona. Molto bella la scena finale, quando fuggono tutti e Macbeth rimane solo nella stanza del trono; lì viene trovato dai suoi avversari, e combatte valorosamente da solo fino a che Macduff non gli svela il suo segreto: ma Macbeth aveva già sconfitto anche Macduff, mettendogli la spada alla gola. Polanski ha anche la finezza di far sembrare molto goffi i duelli, come probabilmente erano in realtà perché i guerrieri erano molto appesantiti dalle armature: è un dettaglio che troveremo anche nel “Lancelot du Lac” di Robert Bresson.
La musica è affidata al gruppo inglese “Third Ear Band”, molto presenti e molto attenti. In Inghilterra, in quegli anni, non c’erano solo i Beatles e i Rolling Stones: c’erano, ben presenti e molto seguiti, gruppi di ventenni che avevano ripreso in mano le canzoni folk e le antiche musiche e ballate britanniche. Un lavoro che da noi avrebbe fatto solo, con altre intenzioni e altri esiti, la Nuova Compagnia di Canto Popolare; e che in Inghilterra fu portato avanti da molti e soprattutto dai Pentangle, dai Fairport Convention, dagli Steeleye Span, tutti gruppi e persone tuttora attivi. Di questa corrente fa parte anche la Third Ear Band.
(continua)

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