AGUIRRE, DER ZORN GOTTES (Aguirre furore di Dio, 1972) Scritto e diretto da Werner Herzog. Liberamente ispirato alle memorie di frate Gaspar de Carvajal (circa 1560). Fotografia: Thomas Mauch, Francisco Joan, Orlando Macchiavello. Musica: Popol Vuh (Florian Fricke) . Interpeti: Klaus Kinski (Don Lope de Aguirre), Helena Rojo (Inez de Atienza), Del Negro (frate Carvajal), Ruy Guerra (Ursùa), Peter Berling (Guzman), Cecilia Rivera (Flores, figlia di Aguirre), Daniel Ades (Perucho), Edward Roland (Okello), Armando Polanah (Armando), indios peruviani della cooperativa Lauramarca. Durata: 93' .
Siamo nel 1561, in America, al seguito di Pizarro; i conquistadores spagnoli sono impegnati nella ricerca dell’Eldorado. Di fronte ad impreviste difficoltà, Pizarro decide di abbandonare per il momento l’impresa, mandando però in esplorazione lungo il fiume quaranta uomini su una zattera, sotto la guida del nobile Ursùa e di Guzmàn, membro della famiglia reale.
Il vice di Ursùa è Lope de Aguirre, cioè Klaus Kinski, che nel corso del film lo farà uccidere e prenderà il comando della spedizione: perché Ursùa, accortosi delle grandi difficoltà dell’impresa, voleva tornare indietro e invece – è noto a tutti – “Cortez conquistò il Messico disobbedendo all’ordine di ritirarsi”. Della spedizione fanno parte anche due donne: la moglie di Ursùa, bella e forte, e la figlia quindicenne di Aguirre, dall’aspetto angelico e in forte contrasto con la presenza dura e spietata del padre. Aguirre venera sua figlia come una dea, e ha per lei tutte le attenzioni; alla figlia dedicherà il monologo finale, in una delle sequenze più grandi di tutta la storia del cinema.
Sarebbe mai esistito un film come questo senza la faccia e la presenza fisica di Klaus Kinski? La domanda, così come per il successivo “Fitzcarraldo”, sorge spontanea. E’ il film che diede grande fama a Werner Herzog, grande successo anche commerciale; ed è un film forte e folle, girato in posti impervi poco distanti da Macchu Picchu: ma all’epoca in cui fu girato il film il turismo non aveva ancora raggiunto queste zone, che erano intatte e favolose come quattrocento anni prima.
C’è una grandezza shakespeariana in Aguirre, una deformità non fisica ma solo suggerita, Aguirre somiglia molto a Macbeth, ma soprattutto a Riccardo III. Klaus Kinski, che fino a quel momento aveva girato moltissimi film ma sempre da comprimario, lo interpreta da protagonista in maniera indimenticabile, rivelandosi finalmente come un attore da leggenda. La lavorazione stessa di “Aguirre” , anche per il pessimo carattere di Kinski e la sua vena di follia, è ormai leggendaria: consiglio a tutti gli appassionati di romanzi d’avventura di leggere cosa ne racconta Werner Herzog stesso nei suoi libri, e di ascoltare il suo commento al film (minuto per minuto, con sottotitoli in italiano: ringrazio molto la Ripley’s Home Video per questo regalo) che è disponibile tra gli extra sul dvd ufficiale. A Klaus Kinski è dedicato un film intero di Wenders, "Il mio miglior nemico": anche qui si trovano molti dettagli su "Aguirre" e sulla sua lavorazione (e anche sulla follia di Kinski, attore da leggenda nel bene ma anche nel male, famoso per le sue sfuriate, ma molto professionale e gentilissimo quando voleva esserlo).
Ma è facile vedere Shakespeare quasi in ogni scena: penso soprattutto alla deposizione di Ursùa, al personaggio dell’impacciato e mite Guzmàn nominato imperatore, ai soldati che sembrano presi dall’Enrico V, compagni di Falstaff. Il processo a Ursùa sembra preso dalla Tempesta, e la crudeltà gratuita e grottesca delle due esecuzioni capitali rimanda direttamente al Tito Andronico.
E poi c’è la figlia di Aguirre questa fanciulla quindicenne che attraversa tutto il film immutabile e perfetta, bellissima, senza sporcarsi (nemmeno una macchia di fango) e praticamente senza dire una parola, quasi una presenza angelica, stretta parente delle sue coetanee di “Picnic ad Hanging Rock” (di Peter Weir, 1975). La interpreta Cecilia Rivera, attrice non professionista.
E un capitolo a parte meriterebbe la moglie di Ursùa (Helena Rojo), fiera e forte, che non abbandona mai il marito anche in mezzo alle difficoltà.
Come in Shakespeare, c’è spazio anche per momenti più leggeri: ci sono molti personaggi gradevoli in questo film, soprattutto tra i soldati. Tra di loro, segnalo l’attore che interpreta il nero africano Okello (l’attore Edward Roland, dal pizzetto elisabettiano): viene mandato contro gli indios perchè si pensa che la vista di un uomo nero possa spaventarli, e probabilmente si tratta di un fatto veramente successo. Ma è uno stratagemma che può funzionare solo nei villaggi, i guerrieri non si fanno certo impressionare da queste cose; e Okello è troppo simpatico per fare davvero spavento a qualcuno.
Gli indios non si vedono mai, tranne due che sono gentilissimi ma in mano ad Aguirre faranno una brutta fine; colpiscono duro ma stando ben nascosti: saranno il modello (dichiarato) di Francis Ford Coppola nelle scene analoghe di “Apocalypse now”. Gli indios non si vedono anche perché non è di loro che si parla, ma della follia del potere e della violenza della conquista, come in Macbeth e come accadde nella storia reale della conquista delle Americhe .
La musica è del gruppo tedesco dei Popol Vuh, abituali collaboratori di Herzog in molti dei suoi film, e ascoltiamo anche un suonatore andino, decisamente spaventato da Aguirre (e forse ancora di più dal ghigno di Klaus Kinski). La storia che si racconta è in parte vera, e si basa sul racconto di un frate francescano (Gaspar de Carvajal) che ha realmente scritto una memoria di questa vicenda, come si vede nel film: ma Herzog l’ha usata solo come traccia e come punto di partenza, il soggetto è da considerarsi come del tutto originale.
Da antologia del cinema è la scena finale della deriva di Aguirre, tutta dedicata a Klaus Kinski; ma qui c’è poco da parlare, non la si può descrivere e bisogna proprio andarsela a vedere. Ma tutto “Aguirre” è imperdibile: uno dei più grandi film nella storia del cinema, e non per modo di dire.
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