domenica 22 gennaio 2012

La città dei pirati ( II )

La Ville des pirates (La città dei pirati, 1983). Scritto e diretto da Raul Ruiz. Fotografia: Acàcio de Almeida. Montaggio: Valeria Sarmiento. Musica: Jorge Arriagada. Esterni girati in Portogallo (Baleal, Peniche). Interpreti: Hugues Quester, Anna Alvaro, Melvil Poupaud, André Angel, Duarte de Almeida, Clarisse Dole, André Gomes. Durata: 111 minuti

“La città dei pirati” è un film a tratti comico, surrealista, misterico, spesso sgradevole, che spinge all’estremo la favola di Peter Pan: invecchiare non è concesso, anche l’essere adulti è qualcosa di sconveniente, che va punito. Si tratta però non del solo Peter Pan ma di molte altre storie riunite e condensate in una sola, come accade nei sogni: è una costante di molti film di Raoul Ruiz, che rende il suo lavoro molto affascinante ma anche piuttosto difficile da seguire. Qui sono riconoscibili alcune fiabe classiche, ben note: non solo Peter Pan, ma anche Barbablù, o il Perrault di “La bella e la bestia”, e qualcos’altro ancora che non ho riconosciuto, compreso il mondo della mitologia, non solo europeo: Dioniso e le Baccanti, oppure il mito di Shiva e Kali, morte e distruzione per poi rinascere nel ciclo eterno della vita e della trasformazione; e Giove che gioca con i pianeti, la nascita dell’Universo, e perfino le sedute spiritiche e il paranormale (resi in modo ridicolo); ma questo rimane sottotraccia, non vi sono accenni espliciti al mito, non nelle immagini.
Ben presenti in “La città dei pirati” gli accenni politici, alla dittatura cilena e argentina (Ruiz dovette fuggire dal Cile dopo il golpe del 1973) e al militarismo più in generale. Una meditazione sul male che risorge sempre, il tema del militarismo e della dittatura, che tornerà spesso nei film successivi di Ruiz, come “L’ipotesi del quadro rubato”. Ma tutto questo è, come sempre in Ruiz, mescolato e condensato secondo le regole dei sogni: e come capita spesso nei nostri sogni la narrazione sconcerta e le immagini ci lasciano, la mattina dopo, perplessi o disturbati.
Il cinema di Ruiz va sempre un po’ “disinnescato”: sembra oscuro e pericoloso e invece l’autore vuole divertirsi, raccontare in libertà, fare parodie o costruire derivate di film e racconti famosi, contaminare, come quando al cinema si vedono cose diverse, come in tv, susseguirsi di filmati veri del tg e di fantasie o di spot. Così accadeva negli anni ’40 e ’50, con i cinegiornali e i documentari che precedevano i film nelle proiezioni al cinema, e così accade ancora oggi (purtroppo, anche nei cinema a pagamento) con la pubblicità e con la tv, dove si susseguono immagini e informazioni di ogni tipo, e spesso è difficile separare e distinguere la realtà dalla finzione.
Il bambino protagonista è Melvil Poupaud, che è poi diventato un attore importante del cinema francese, e che appare da adulto anche in altri film di Ruiz; la protagonista Isidora è Anna Alvaro, dalla voce profonda di contralto che ricorda molto quella di Nico, la “chanteuse” dei Velvet Underground che fu modella famosa negli anni ’50 e ’60 (e che appare anche in “La dolce vita” di Fellini). Il film è girato in Portogallo, sul mare e in un villaggio di pescatori, e in quella che parrebbe un’antica fortezza o un castello.
Altri appunti presi al volo: 1) Il bambino appare dapprima come se fosse quello che è stato perduto (Toni) ma poi si rivelerà un Peter Pan mefistofelico (e Isidore come Wendy?); 2) il rifugio è l’Isola dei Pirati, rifugio immaginario, più Tortuga (disabitata) che isola che non c’è. 3) La “bestia” che diventa un uomo magnifico? è più facile il contrario, e così succede in Barbablù; forse succederebbe anche qui, senza un intervento esterno (ma succede di peggio) 4) il colonnello, Carmela, l’amore dello zio colonnello per la nipote: sono personaggi di qualche romanzo?
Molto belle le musiche di Jorge Arriagada, amico e abutuale collaboratore di Ruiz: rovistando su internet ho scoperto che Arriagada ha alle spalle studi importanti e collaborazioni notevoli, per esempio con Pierre Boulez e con allievi di Schönberg. Nel film ci sono accenni ad altre canzoni, più o meno famose, e dispiace che nei titoli di coda non ci sia una lista completa. Una di queste è “Ho due amori, il mio Paese e Parigi” di Josephine Baker (alla quale è facile attribuire un connotato autobiografico per il cileno-parigino Ruiz), ed è un peccato non conoscere il titolo esatto della canzone spagnola per soprano, che appare due volte nella seconda parte del film; c’è forse un accenno della voce di Carlos Gardel (però recitato, e non cantato, alla radio).
Qui sotto porto alcuni dialoghi curiosi, che mi sono divertito a trascrivere senza alcuna pretesa di spiegare il film, che vive quasi soltanto sulle immagini, e che va visto e ascoltato più che spiegato. Molti di questi dialoghi sembrano così insensati da far pensare che siano stati costruiti con la tecnica di un gioco che piaceva ai surrealisti, associazioni casuali a più mani nate scrivendo una frase e mostrando solo l’ultima parola al compagno di gioco successivo. Il gioco, praticato anche con i disegni da pittori come Salvador Dalì, veniva chiamato dai surrealisti “cadavre exquis”, nome piuttosto brutto ma che deriva dalle parole uscite la prima volta che fu tentato questo gioco (un po’ troppo casuale e quasi mai divertente, va detto).
dai dialoghi di “La città dei pirati” di Raul Ruiz:
minuto 5 : « non invecchiare è il privilegio della morte » ; « obbediente come un pianeta »
minuto 12. un bacio sulla guancia del carabiniere è la mappa dell’Isola dei Pirati. Il carabiniere invita Isidora a ripetere il gesto sulla guancia del suo assistente, così che anche lui possa vederla.
minuto 13: “Quando Atahualpa fu vinto dagli spagnoli, si ritirò nel suo palazzo d’inverno. Vi convocò le sue figlie e disse: «Prima di tutto, figlie mie, tagliate le mie vene e con il mio sangue riempite questo vaso; quindi chiudetelo e non toccatelo più.» Un giorno la curiosità vinse il rispetto per il padre, decisero di rompere quel vaso, migliaia di piccoli cerchi rossi ne uscirono fuori, generando milioni di minuscoli Atahualpa...» (mixato con racconto erotico, finale illeggibile sui sottotitoli) (e un cassetto pieno di verze, di carni, e con una testa d’uomo).
minuto 17. “Cuore di neve, nitrato d’oltremare, aruspice d’altrui grembi, lapislazzuli delle mie orbite (occhiaie?), fuochi salati dei miei roghi, caldi cicloni stomacali e perfidi, dolcezza atroce di comete fatte della rosa del parlar tacito, metrica polverizzata della stagione morta di colombaie orientali, cupola errante della barca emancipata e mercuriale, nasale metronomo dei vespri mestruali del blu d’ospedale, cosmogonia calcinata delle mie dita baccanti e pigre, tutto del mio tutto, nulla del mio nulla, livido pasto, (da qui in spagnolo) torre del mio castello, fidanzato della Vergine...”
Vuol dir qualcosa? Sembra soltanto avere un significato, i significati sono apparenti, semplici suoni e accostamenti casuali, Ruiz sta giocando a un famoso giochino surrealista...
minuto 23:
- ...è curioso...il semplice contatto del denaro mi sprofonda nel sonno, e nei sogni...
- dormi, mio angelo, dormi, figlia mia...
minuto 28, l’uomo con i baffoni si accosta a Isidore sulla spiaggia:
- Ecco il momento che aspettavo dalla nascita di Nostro Signore. Adesso conoscerai l’amore.
ma poi racconta una barzellettaccia (lo Spirito Santo non si fa vedere ma solo sentire) (musica romantica, il sole al tramonto, una canzone romantica spagnola “recuerdo el nuestro amor...” con voce di soprano e archi in accompagnamento)
minuto 44 le barchette fatte con le banconote, in fiamme nel sangue
minuto 48 l'uomo rompe delle uova in un bicchiere, prima di berle toglie accuratamente i peli nell’uovo.
minuto 55: due voci femminili, fuori campo, Isidore nella grotta vittima di un rapimento che è parodia serissima di molti film e romanzi d’appendice, con attori che si divertono molto, anch’essi serissimi e molto professionali
- ...quanti cimiteri invocanti, nella loro mocciosa metronomia...
- Le ossa, figlia mia. Consideriamolo nella sua fuga emerita e solforica.
- Che Dio ti benedica...
minuto 67 due voci femminili, fuori campo; immagini di onde nel mare
- La mia vita non si racconta con le parole. La mia vita scorre come il miele. La mia vita è stretta come le Termopili, come l’avarizia dei primi cristiani...
- Bisogna inclinarsi davanti all’inevitabile.
- Oggi niente è più come prima.
- La gravitazione universale avvelena gli spiriti, e favorisce i nuovi ricchi.
minuto 68: prima citazione della canzone di Josephine Baker "J’ai deux amours..." (che tornerà più avanti) e poi Isidore che inciampa e cita (citazione non finissima ma molto famosa) l'Ubu Roi di Jarry: "merdre...merdrastre..."
(continua)

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