martedì 5 aprile 2011

I racconti di Hoffmann ( IV )

The Tales of Hoffmann (I racconti di Hoffmann, 1951) Tratto dall’opera lirica di Jacques Offenbach. Regia e sceneggiatura: Michael Powell, Emeric Pressburger. Sceneggiatura: Dennis Arundell, dall'opera di Offenbach, libretto di Jules Barbier. Fotografia (col.): Christopher Challis. Montaggio: Reginald Mills. Musica: Jacques Offenbach. Direzione musicale: sir Thomas Beecham. Production designer e costumi: Hein Heckroth. Scenografia: Arthur Lawson. Coreografia: Frederick Ashton. Marionette: John Wright. Produzione: Michael Powell, Emeric Pressburger. Produttore associato: George R. Busby. Compagnia di produzione: The Archers per la London Film Productions. Durata: 127', ridotti a 115' prima della distribuzione.
Interpreti: Prologo ed epilogo: Moira Shearer (Stella), Robert Rounseville (Hoffmann), Robert Helpmann (Lindorff), Pamela Brown (Nicklaus), Frederick Ashton (Kleinzack), Meinhart Maur (Luther), Edmond Audran (Cancer) Philip Leaver (Andreas). Il racconto di Olympia: Moira Shearer (Olympia), Robert Helpmann (Coppelius), Leonid Massine (Spalanzani). Il racconto di Giulietta: Ludmilla Tcherina (Giulietta), Robert Helpmann (il dottor Dappertutto), Leonid Massine (Schlemiel). Il racconto di Antonia: Anna Ayars (Antonia), Robert Helpmann (il dottor Miracolo), Leonid Massine (Franz).
Cantanti: Robert Rounseville (Hoffmann) Bruce Dargavel (Coppelius, Dappertutto, Miracolo), Monica Sinclair (Nicklaus), Dorothy Bond (Olympia), Margherita Grandi (Giulietta), Ann Ayars (Antonia), Joan Alexander (madre di Antonia). Grahame Clifford (Franz, Spalanzani), Murray Dickie (Cochenille, Pitichinaccio), Owen Brannigan (Schlemiel), Fisher Morgan, Rene Soames. Royal Philharmonic Orchestra, Sadler’s Wells Chorus; direttore d’orchestra sir Thomas Beecham.
Nella versione italiana Tommaso Spataro è Hoffmann, Bruna Rizzoli è Olimpia, Antonietta Stella è Giulietta, Gianna Borelli è Nicklaus, le altre parti sono affidate al tenore Piero de Palma, e ai tre baritoni Dimitri Lopatto, Manuel Spatafora, Guido Mazzini. Dirige Ottavio Ziino, con elementi dell’Accademia di Santa Cecilia.

Il film inizia con un balletto sulla musica dell’ouverture, intitolato “The enchanted dragonfly”: una libellula che danza sull’acqua, tra le foglie di loto (la Shearer) insidiata da un demone (un ballerino non indicato in locandina: forse ancora Leonide Massine) che però farà una brutta fine: a questo proposito mi è venuto da pensare che probabilmente il coreografo aveva davvero qualche cognizione di entomologia, ma non è di questo che tratta il film, e quindi vado avanti.
L’ouverture, o il preludio introduttivo, sono spesso un problema quando si tratta di portare al cinema un’opera lirica. Powell e Pressburger se la cavano molto bene, introducendo il balletto direttamente nella narrazione: va però detto che non è facile seguire tutto quello che succede nei “Racconti di Hoffmann”, la trama non è semplice, accadono tante cose e ci sono tanti personaggi; in questi casi a volte è meglio ascoltare la musica, guardare quello che viene mostrato, e non farsi troppe domande. Bergman e Losey usano l’ouverture in un altro modo: Bergman, nel Flauto Magico (1974) ci porta ben dentro al teatro, fra il pubblico; Losey nel “Don Giovanni” (1980) ci porta invece nel paesaggio reale, tra le magnifiche ville palladiane. Powell e Pressburger scelgono un’altra strada, quella della favola: i colori sono quelli dei libri illustrati, più che quelli dei fondali di teatro. Questi colori, queste illustrazioni che vedremo per tutto il film, sono quelle dei libri per ragazzi e per bambini che erano nell’immaginario collettivo di tutti, dall’Ottocento fino a non molti anni fa, e forse oggi quei libri e quelle illustrazioni circolano ancora, magari in qualche biblioteca scolastica. I disegni, le scenografie e i costumi sono opera di Hein Heckroth e di Arthur Lawson.
Si vede subito all’opera il “cattivo”, che si chiama Lindorf ed è interpretato da Robert Helpmann, mentre intercetta il messaggio di Stella, la ballerina, che è destinato al poeta Hoffmann. Stella ha appena scritto a Hoffmann che anche lei lo ama, e di aspettarla alla fine dello spettacolo, alla taverna. Il messaggio di Stella non arriverà mai a destinazione: per il povero Hoffmann si mette subito male ma lui ancora non lo sa. Questa scena nell’opera è parlata, ma nel film sono le immagini e la danza a spiegare il tutto, senza bisogno di dialoghi.
Alla fine dell’ouverture, si immagina un intervallo del balletto; Hoffmann e altri spettatori (“studenti” dice la didascalia, ma come studenti sembrano tutti decisamente fuoricorso) escono e vanno all’osteria. Siamo a Norimberga, come ci aveva spiegato un altro cartello sui titoli di testa: si tratta quindi di una birreria tipicamente tedesca, e il nome dell’oste è Luther. E’ una scena che corrisponde all’inizio vero e proprio dell’opera di Offenbach, e che ascoltiamo quasi per intero. Gli studenti e gli altri avventori inneggiano all’oste, poi si rivolgono a Hoffmann (che è seguito come un’ombra dall’amico Nicklaus, quasi un angelo custode) e gli chiedono di cantare qualcosa. La scelta di cosa cantare cade sulla storiella di un tale di nome Kleinzach (alla lettera, “il piccolo Zach”, cioè Zaccaria, Zaccarino) che aveva su di sè tutte le sventure del mondo. I versi della canzone sono in rima, come negli stornelli o nelle filastrocche: vi si descrivono tutti i difetti di Kleinzach, che è piccolo, brutto, gobbo, ha le gambe così storte che le ginocchia si toccano e quando cammina fanno clic clac, eccetera. Ma, a metà canzone, Hoffmann si distrae: ai versi “...e quanto ai tratti della sua figura” si dimentica del povero Kleinzach e si ritrova a pensare a Stella. La melodia cambia, dal tono brillante e umoristico si passa alla memoria trasognata, quasi all’estasi: questo cambiamento sorprende gli amici, che alla fine ne rideranno, stupiti ma divertiti.
E’ un’aria molto bella e molto ben scritta, la migliore interpretazione che io ho ascoltato è quella di Giacomo Lauri Volpi (un tenore leggendario, di ben altra caratura rispetto a Rounseville) in un’incisione del 1929 che è sempre stata ristampata e spero sia disponibile anche in rete.
L’interpretazione dell’aria dedicata a Kleinzach, da parte di Powell e Pressburger, è curiosa: Kleinzach diventa una delle figure grottesche scolpite sui boccali per la birra che si trovano su uno scaffale; si anima, ne esce e si mette a danzare con l’amata Stella, che lo rifiuta mostrandogli uno specchio. Come può un essere così brutto avvicinarsi a Stella? Il povero Kleinzach si ritira tristemente, ed è un anticipo del finale dell’opera. Anche Hoffmann, in realtà, non riesce a credere che davvero Stella sia innamorata di lui, che possa interessarsi a uno come lui; eppure questo è successo, come abbiamo visto. Solo l’intromissione del perfido Lindorf impedirà il compimento del sogno d’amore, ma l’identificazione di Hoffmann con Kleinzach, a questo punto del film, è un’ottima trovata. Il balletto in sè non mi sembra gran cosa, più che altro incuriosiscono i disegni grotteschi, da cartone animato o da teatro delle marionette: l’autore di questa coreografia (e di tutte le coreografie del film) è proprio il ballerino che impersona Kleinzach, Frederick Ashton.
Kleinzach somiglia anche ai pupazzi disegnati nel 1968 per “Yellow submarine”, il film a cartoni animati dei Beatles: direi che non è un caso, visto che siamo sempre nel “made in England”.
Al termine della canzone di Kleinzach, gli studenti e gli avventori dell’osteria invitano Hoffmann a continuare, e Hoffmann continua. E dunque del balletto della libellula abbiamo visto solo il primo atto, gli altri non li vedremo perché a questo punto tutti si fermano nella taverna a fumare la pipa e ad ascoltare Hoffmann che racconta i suoi sfortunati amori. In teatro non ci torneremo più; il perfido Lindorf , anche lui "in taberna", assiste compiaciuto alla scena. L’oste fa portare altra birra e delle pipe (pipe sontuose, da collezione), tutti si mettono comodi e Hoffmann comincia con il primo racconto: la storia di Olimpia, la bambola meccanica.
(continua)

2 commenti:

amfortas ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=R1x7WhTvYqk

Qui il Lauri Volpi che ti piace. Bravissimo, ovviamente. Io gli preferisco questo, perché mi dà più quel senso d'ineluttabile tragedia che caratterizza la parte.

http://www.youtube.com/watch?v=-gxCBukmgzk

Col suo stile e molto aiuto del naso (smile) era plausibile anche Domingo. Magnifico Kraus.
Da ultimo il tenore che vidi io a Torino 2 anni fa:

http://www.youtube.com/watch?v=FM7yXIYaVTE&feature=related

Voce non preziosissima, vibrato largo, ma una prestazione più che dignitosa, oltre che in quest'aria, anche complessivamente.
Ciao!

Giuliano ha detto...

Concordo in pieno! a differenza di quel che capita con Verdi, che richiede delle divinità e dei super eroi quanto a fiato ed estensione, Offenbach e Mozart sapevano scrivere anche per semidei e persone normali...
:-)
La leggenda di Kleinzach è un bel brano, non sembrerebbe ma più la si ascolta e più piace.
E infine una nota en passant: Michael Powell ebbe di sicuro una relazione con Deborah Kerr (!!!) e con altre delle sue attrici. Beato lui (che, sempre detto en passant, era pettinato come me e come te!)