lunedì 13 luglio 2020

Le serie tv, "belle come al cinema"


Quella sulle serie tv "belle come il cinema" è una frase che si è letta e ascoltata spesso negli ultimi anni, un po' in tutti i contesti (giornali,tv, radio, internet...). Io l'ho sempre considerata come uno slogan promozionale, soprattutto in orbita Netflix, e mi limitavo a un'alzata di spalle perché so da tempo che contano gli autori (attori, registi, sceneggiatori) più che il formato; ma ormai questa frase è obsoleta, quasi scomparsa dalla circolazione perchè si dà il fatto per scontato, "tutti guardano le serie tv" e la questione non esiste nemmeno più. Dato che io non faccio parte di quel "tutti" posso scrivere qualche riflessione in merito.
I nuovi canali tv, da Netflix a Tim Vision a Raiplay (fate voi), basano la loro campagna per gli abbonamenti quasi soltanto sulle serie tv; e mi sta bene, ma prima di spendere soldi per abbonarmi ho cercato di capire quali altri film avessero in archivio, Sky compresa, e non ci sono riuscito. Non si usa più fare un elenco per titolo o per autore, così che basti un motore di ricerca interno per vedere se nel catalogo c'è quello che sto cercando; ci sono le "promozioni" e le spiegazioni, un riassuntino della trama, un'immagine a caso, e soprattutto si dà per scontato che a tutti interessi solo quella data cosa e non altro. E' un po' la replica del sistema utilizzato dalle tv del digitale terrestre (Iris, RaiMovie, etc), in prima serata "quello che guardano tutti" e il resto, capolavori compresi, a notte fonda o alle sei del mattino, da usare come riempitivo. Eppure, anche con i film del passato si può fare audience e molti canali youtube lo dimostrano.
E' una mentalità diffusissima e invasiva, applicata anche al passato: facendo una ricerca su Raiplay trovo scritto cose come "Michelangelo prima serie", "Leonardo prima serie", "Vita di Dante prima serie", come se fosse Beautiful, cioè come se dopo aver raccontato la vita di Dante, Michelangelo e Raffaello i nostri eroi potessero continuare a vivere nuove avventure in un sequel. Viene da dire: magari ci fosse stata la possibilità di girare un seguito sulla vita di Leonardo...

Le serie tv, o i telefilm, chiamateli come volete - in realtà conta chi c'è dietro, se è un autore vero anche la soap opera o la telenovela o lo sceneggiato possono essere dei capolavori, dipende sempre da chi li fa - in verità ci sono sempre state, e i registi del cinema d'autore che hanno girato per la tv o in modo seriale film e sceneggiati sono molti, alcuni dei quali hanno realizzato autentici capolavori. Qualche titolo: "Heimat" di Edgar Reitz, "Decalogo" di Kieslowski, il Francesco Rosi di "Cristo si è fermato a Eboli", "I Clowns" e "Prova d'orchestra" di Fellini, "Padre padrone" dei Taviani, "L'albero degli zoccoli" e tutti i film di Ermanno Olmi, l'elenco è lunghissimo e parte da lontano, sicuramente dagli anni '70 in cui la Rai fece incetta di premi a Cannes e in tutti i principali festival del cinema nel mondo. Questi film uscivano al cinema, anche quelli di dodici ore, ma per la tv si è sempre lavorato e con ottimi risultati. Lavorare non su un film di un'ora e mezza ma su sei o dodici ore può essere un'ottima cosa, se vuoi fare Tolstoi per esempio, e anche questa non è una novità (la si spaccia per novità, ma così non è) ma devi avere delle idee e saperle portare avanti, e questo con le "serie tv" non sempre succede.

Ho visto molti telefilm "a puntate": da bambino mi piaceva "Rin tin tin", poi "Forte Coraggio", che era divertente, uno dei miei preferiti; e molti altri telefilm sia da bambino che da adulto. C'era però una caratteristica costante: dopo le prime dieci puntate cominciavano ad essere meno belli. Gli autori, dopo aver bene impostato i personaggi, dopo un po' non sapevano più cosa fargli fare, e si vedeva. Un po' meglio andava con serie come Bonanza, che però a un certo punto dovette chiudere. Ho voluto rivedere di recente una serie molto famosa, oggi si direbbe un "cult", quella del "Prigioniero" con Patrick Mc Gowan, e ho ritrovato le stesse impressioni avute negli anni '60 e '70: tutto molto bello, l'idea originale, gli attori e le attrici, le scenografie, i colori originali, le location, però dopo la prima puntata tutto diventava molto ripetitivo e anche un tantino noioso. La serie del "Prigioniero", con il protagonista misteriosamente rapito e portato senza spiegazioni in un posto piacevole ma dal quale non si poteva fuggire, di fatto non ebbe mai un finale. Per essere più precisi: il finale esiste, ma è deludente e sembra appiccicato lì per esigenze di produzione. La stessa sensazione l'ho provata in anni recenti con "Lost": tutto bello, attori, location, idee di partenza (non siamo molto distanti dal "Prigioniero") ma a un certo punto mi sono chiesto se mi stavano prendevano in giro e ho lasciato perdere. Sensazioni simili le ho avute con i telefilm "Ufo" degli anni '70, e anche con "Star Trek" che ho sempre trovato molto ripetitivo (parlo dei telefilm). Insomma, personalmente preferisco che ci sia un inizio, uno svolgimento e una conclusione; e in questo avere un limite di tempo aiuta, a meno che non si tratti di Guerra e Pace e di altre storie che non si possono comprimere in un'ora e mezza. Ma qui siamo nel campo dei pareri personali, come è ovvio; liberi di farvi piacere le serie tv e di passare la vostre vite davanti al "Trono di spade", se a voi piace.

Intervistati, attori e registi importanti di cinema e di teatro dicono che sono felici di lavorare per la tv, che offre loro tante possibilità, eccetera: non so quanto siano sinceri. La realtà è che si tratta di lavoro, le nuove generazioni non vanno più al cinema, se vuoi fare l'attore il lavoro è questo qui, da qui arrivano i soldi: non dal teatro né dal cinema ma dalle serie tv. O fai le serie tv, o cambi mestiere, magari ti tocca anche di andare a lavorare. Se a Scorsese o ai fratelli Coen arrivano offerte da Netflix, cosa vuoi che facciano? Se Jude Law e Cate Blanchett ricevono ricche offerte per recitare in una serie tv, vuoi forse che si tirino indietro? La stessa cosa ho pensato di recente per la musica, con il violoncellista Mario Brunello che - unico tra i grandi concertisti - si è dichiarato favorevole allo streaming: lì per lì sono rimasto perplesso, da lui non me lo aspettavo, ma poi ho concluso che è lo streaming che ti dà i soldi, ormai, e che probabilmente è questa la ragione della presa di posizione di Brunello, così come dei Coen e di Scorsese nei loro rispettivi ambiti. Bisogna pur guadagnare, per andare avanti, a meno che non si sia ricchi di famiglia.

Concludo con alcuni estratti da un'intervista recente con un'esperta del genere, che mi sembrano significativi; questa intervista mette in evidenza la mancanza di una vera critica, sostituita da fans militanti e da uffici stampa. C'è da fidarsi? Io direi di no, e anche se so di lasciare qualcosa di bello per strada, non ho voglia di perdere tempo con queste cose. Prima di chiudere ricordo per un istante "Beautiful" e "Un posto al sole", che guardavo per fare compagnia a mia mamma, dove mi toccava constatare con sgomento che da un giorno con l'altro i bambini diventavano ventenni e i loro genitori passavano da ventenni a quarantenni e poi subito nonni. Letteralmente, da una puntata all'altra, come se fosse una cosa normale. Per il resto, "Friends", "Happy Days"... se vi piace guardateli pure, io vado a fare qualcos'altro.
Intervista con Emily Nussbaum
di Riccardo Staglianò, La Repubblica 29 maggio 2020
La televisione era spazzatura. Peggio, era «gomma da masticare per gli occhi», secondo la definizione splendidamente feroce del critico teatrale John Mason Brown. Intrattenimento sempre, arte mai. Un ingombrante pezzo di mobilio. Un medium senza speranza dove «la volgarità è innalzata a potere. Il potere viene abbassato verso la volgarità» sentenziava nel 1980 sul NewYorker George W.S. Trow. Epperò insidioso: «Un additivo sospetto che le aziende avevano aggiunto all'acqua corrente della cultura, un elemento in grado di indebolire la spina dorsale dello spirito» ricorda oggi Emily Nussbaum, che della medesima rivista è stata a lungo critica televisiva, premio Pulitzer e autrice degli articoli di intelligenza pirotecnica raccolti in "Mi piace guardare" (minimum fax). Poi sono successe delle cose. Era il 1999 ed è arrivata I Soprano, «una serie per adulti, qualcosa di cui vantarsi e non scusarsi. E fu quella che definì il modello di “televisione di qualità". (...) « I Soprano enfatizzava l’immaginario più che l'azione, i personaggi più che la trama, attraverso linee narrative spesso lasciate in sospeso a vantaggio della costruzione della storia. Dava l'impressione di un romanzo e sembrava un film».
(mio commento personalissimo: "I Soprano" mi è sempre sembrato una sequenza di luoghi comuni e rimasticature; questo può essere un mio parere discutibile come tutti i pareri, ma quelle della Nussbaum sono definizioni da ultrà, da fan sfegatati, senza riscontri e senza analisi; un "ipse dixit", anch'esse personalissime opinioni più che discutibili).

« (...) cruciale è stato il passaggio dal modello pubblicitario a quello degli abbonamenti. Finché i soldi si facevano solo con gli spot servivano programmi che garantissero un pubblico sufficientemente vasto affinché chi produceva corn flakes o auto ritenesse vantaggioso spendere una fortuna per raggiungerlo. Non si poteva osare troppo, perché servivano numeri importanti. Quando invece si è cominciato a pagare direttamente i canali con gli show si è potuto pensare di fare anche una mini-serie per una nicchia. Perché il plurale di nicchie fa comunque pubblico».
(a me sembra l'elogio della Rai anni 50-70, ma anche dei giornali come L'Espresso o il Manifesto, del cinema, dei giornali dell'Ottocento, eccetera; e comunque si può ricordare che molti registi di cinema per ottenere questa libertà decisero di fondare proprie case di produzione, da Charlie Chaplin a Wim Wenders, la lista è lunga e ormai più che centenaria)

- E' troppo dire che quel passaggio ha coinciso con quello da protagonisti positivi ad anti-eroi?
« Una vecchia regola tra gli sceneggiatori era di non creare mai personaggi che non avremmo voluto far entrare in casa nostra. Autori come David Chase (Soprano) sono cresciuti odiando quelle regole e la tv che ne derivava. Ora quella generazione ha vinto e lo spettro di personaggi che ci piace vedere si è allargato a dismisura. Carrie Bradshaw (Sex & the City) è stata la prima anti-eroina televisiva femminile. Tony Soprano,WalterWhite di Breaking Bad, le spie di The Americans sono tutte persone che, a cose normali, starebbero in prigione e non nel nostro salotto. E invece li facciamo accomodare e gli offriamo anche da bere».
(mie osservazioni: queste cose c'erano già nel cinema degli anni '30, storie di gangsters e di banditi si sono sempre fatte, anche in tv; e, soprattutto: ma questi cosa leggono, cosa studiano, quante ore passano davanti a scemenze, come si fa a vivere di sole cose come queste...)
- Lei scrive che un altro agente di cambiamento è stato il pulsante "pausa" sul telecomando, che ha
trasformato lo spettacolo da un flusso a un testo...
« E' così. Prima c'erano stati i videoregistratori ma era tutto molto laborioso. Quando è stato facile fermare le immagini, risentire un passaggio, magari cercare su internet un riferimento, di colpo nessuna storia è diventata troppo complessa o audace da far digerire. I dialoghi pensati da David Simon per The Wire erano così densi che non sarebbero stati concepibili senza la possibilità di fermarsi un attimo. E no, vi assicuro, non è una cosa che fanno solo i critici o i fan ossessivi. Da onanistica qual era, guardare la tv é diventata una pratica molto più sociale».
(ripeto: ma da dove vengono, dove vivono, cosa fanno, quanti anni hanno? con le vhs e con i dvd era già possibile tornare indietro e mettere in pausa un film già trent'anni fa...sembra che stiano dicendo che oggi "anche un cretino può farlo") (e io che guardavo Bergman e Kurosawa e Tarkovskij al cinema, in sala, al buio, senza la possibilità di fermarsi e rivedere: forse oggi manca la capacità di capire un film dall'inizio alla fine, manca la concentrazione necessaria, non si riesce a stare attenti più di dieci minuti di fila, è questo che stanno dicendo?...)


(...)
- E com'è possibile allora che dalla raccolta sia rimasto fuori Breaking Bad? E il suo prequel Better Call Saul?
«Ahahaha! Un po' rimpiango di non averla inclusa. Avevo cominciato a scriverne quando poi mi è venuta un'idea per un saggio su Archie Bunker, protagonista di una grandiosa vecchia serie, che mi ha dato modo di affrontare il tema dei "bad fan", i"fan cattivi", ovvero quelli che tifano spudoratamente perché il protagonista continui a fare cose riprovevoli, come per White vendere metanfetamina. E non volevo ripetermi! A dire tutta la verità, ho un problema con il finale della serie: è come se gli autori si fossero innamorati troppo della loro creatura, in una sorta di transfert psicoanalitico che non mi ha convinto. Per non dire dell'altro problema con Skylar, la moglie. Insomma, riconosco che è una grande serie, ma con alcune riserve. Quanto a BCS, non ho amato la prima stagione e mi sono arenata. Poi mi è capitato di sentire amici che mi invitavano a riprovare, dicendo che avevano anche risolto alcuni dei punti critici di BB, incluso migliorare lo spessore dei personaggi femminili. Se me lo dice anche lei magari ci riproverò!».
(mi viene da dire: "ma, e andare a lavorare?". La maggior parte della gente lavora, ha una vita oltre la tv, ma questa qui non sa cos'è una fabbrica...) (sono sorpreso che un bravo giornalista come Staglianò si presti a queste cose, e se questa è davvero Emily Nussbaum significa che il livello della critica è davvero infimo, e se danno poi il Pulitzer a una così...) (mamma mia)


(nelle immagini, dall'alto: un fotogramma da "Good morning" di Yasujiro Ozu, 1959; "The prisoner" con Patrick Mc Gowan; Larry Storch e Melodie Patterson in "Forte Coraggio"; Bonanza; Get Smart; Fame-Saranno famosi; dell'ultima non ricordo il titolo italiano, è un antenato di "Friends" che ebbe molte riprese e molto successo)

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