giovedì 23 agosto 2012

Elio Petri: "Indagine" ( I )

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) Regia di Elio Petri. Scritto da Elio Petri e Ugo Pirro. Fotografia Luigi Kuveiller. Scenografia: Carlo Egidi. Costumi: Angela Sammaciccia. Musica di Ennio Morricone. Interpreti: Gian Maria Volonté, Florinda Bolkan (voce di Ileana Zezza), Gianni Santuccio (il questore), Salvo Randone (l’idraulico, doppiato da Corrado Gaipa), Massimo Foschi (il marito della Bolkan), Sergio Tramonti (il giovane anarchico), Orazio Orlando (il brigadiere), Aldo Rendine (Panunzio), Arturo Dominici (dottor Mangani), Vittorio Duse (Canes), Fulvio Grimaldi (il giornalista) Durata: 1h55’

Per molti anni non sono riuscito a farmi un’idea precisa di “Indagine”: quando uscì ebbe un enorme successo, tutti ne parlavano, il film era molto spettacolare, non si era mai visto prima un poliziotto così cattivo e corrotto, la Bolkan era bellissima, eccetera. Ma quando “Indagine” è uscito c’era appena stata la strage di Piazza Fontana (dicembre 1969), i giornali e il telegiornale erano pieni di notizie poi rivelatesi false (Pietro Valpreda veniva indicato come un mostro, ma le prove contro di lui erano state costruite apposta: lo si saprà di preciso solo molti mesi dopo), fuori dai tg si parlava molto del questore Guida e dei suoi trascorsi fascisti (fascismo storico: siamo ai primi anni ’70, molti funzionari ex fascisti erano rimasti ai loro posti). E poi l’accento siciliano di Volonté, la mafia, lo scacciapensieri di Morricone, il sesso, l’iperrealismo, l’esagerazione, la recitazione irritante e sopra le righe, insomma dietro a questo film di Elio Petri c’erano un’infinità di cose che lo rendevano difficile da decifrare. In più, il film è del 1970, io avevo undici-dodici anni, ero quasi un bambino, comunque troppo giovane per capirci davvero qualcosa.
A complicare ancora di più le cose erano venuti i molti film che ne avevano sfruttato il successo, e che avevano un titolo simile, soprattutto quelli di Damiano Damiani: “Perché si uccide un magistrato”, “L’istruttoria è chiusa, dimentichi”, e tutto un filone di titoli che sarebbe divertente mettere qui in elenco, arrivando fino a “Non si sevizia un paperino” (sempre con la Bolkan protagonista) e “Bisturi la mafia bianca”, film che passavano per essere di denuncia ma che invece non avevano quasi nulla da dire, a parte la voglia di sfruttare un filone venuto di moda.
Il film successivo di Petri, “La classe operaia va in Paradiso”, sarebbe stato di tutt’altro genere. Elio Petri, come Stanley Kubrick, ha sempre fatto film molto diversi l’uno dall’altro: diversi per stile, per tematica, per argomento. Anche questo contribuisce a rendere poco classificabili i film di Petri, ci si aspetta da lui una cosa e invece ne fa un’altra; penso che fosse difficile accettare di avere in casa nostra un regista così grande, spettacolare e profondo, irritante e pieno di fascino; in America poteva succedere, da noi era una cosa nuova.
Ancora oggi, scorrendo le pagine di internet in cerca di notizie e immagini, ho trovato le stesse perplessità e le stesse difficoltà a capire: sembra che il tempo sia passato invano. Per esempio, gran parte della critica (anche quella ufficiale, ahinoi) non ha ancora capito la differenza tra “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e i tanti film della serie “Milano violenta”, “La polizia incrimina la legge assolve”, eccetera. Ho perfino trovato “Indagine” catalogato nel “poliziottesco”, insieme ai filmetti che ho citato sopra: purtroppo, è da più di vent’anni che una parte consistente della critica (Marco Giusti e Tatti Sanguineti in testa) ha deciso che i film di serie B e serie C degli anni ’70 sono dei capolavori incompresi, e che i nomi dei loro registi e attori vanno messi al pari di quelli più importanti e celebrati. Non è così, e sarebbe ora di dirlo: i film di Fulci o di Bava o di Dario Argento erano quelli girati in fretta, volutamente dozzinali, che passavano subito ai cinema dei piccoli paesi, per un pubblico di bocca facile. Ci si può anche divertire a vederli, li si può anche amare e volergli bene, ma da qui a farli passare per capolavori la distanza è enorme. Il fatto che la critica non sappia più distinguere tra un capolavoro e un filmetto simpatico è davvero uno caratteri distintivi di questo momento storico – speriamo che passi presto.
Nel frattempo, complici anche tutte queste cose che ho descritto qui sopra (e molto altro ancora) devo confessare che è solo da pochi anni che sono riuscito a mettere a fuoco la figura di Elio Petri. Ho incominciato a interessarmi a lui dopo aver visto “Todo Modo”, che è del 1975 (quindi ero già prossimo ai diciott’anni), ma per avere un’idea chiara della sua filmografia ho dovuto aspettare ancora molti anni.
Alla fine, però, complice anche un po’ di fortuna (lo stavo rileggendo in questi giorni) non ho avuto dubbi: il riferimento principale per “Indagine” è George Orwell, 1984.
Per capire che cosa intendo, bisogna andare alla terza parte del libro, quella finale, il lungo interrogatorio di O’Brien con Winston ormai arrestato, perduto, imprigionato. Però prima porto un momento dal film di Petri: siamo al minuto 31, il monologo di Volonté appena nominato capo dell’Ufficio Politico, davanti ai suoi collaboratori: una riunione “all’americana”, come dice lo stesso Volonté. Il discorso inizia in perfetto stile burocratico, da verbale di polizia, qualcosa di vago e di non chiaro, che però diventa chiarissimo all’ascolto.
- Da oggi assumo la direzione dell’Ufficio Politico. Voi sapete tutti che io fino a ieri mi sono occupato, e con un certo successo, di assassini. Non essendo significata che abbiano designato proprio me, in questo momento, alla direzione dell’Ufficio Politico, ciò è stato deciso poiché tra i reati comuni e i reati politici sempre più si assottigliano le distinzioni, che tendono addirittura a scomparire. Questo scrivetevelo bene nella memoria: sotto ogni criminale può nascondersi un sovversivo, sotto ogni sovversivo può nascondersi un criminale. (...) Le loro azioni tendono al medesimo obiettivo (...) e cioè il rovesciamento dell’attuale ordine sociale.
Volonté prosegue con l’elenco dei reati da perseguire, mettendo insieme scioperi, cortei, rapine, stupri, schedature, bancarottieri, riviste politiche... E poi conclude così:
- L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità costituite. L’uso della libertà che tende a fare di qualsiasi cittadino un giudice, e ci impedisce di espletare liberamente le nostre sacrosante funzioni. Noi siamo a guardia della Legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne, la città è malata, ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere. La repressione è il nostro vaccino. Repressione è civiltà!
(da "Indagine" di Elio Petri, minuto 30-31)
Sono molti i rimandi e le suggestioni che partono da queste ultime righe. Al di là delle volute esagerazioni interpretative di Volonté (grandissimo e iper reale), si va dal Castello e dal Processo di Franz Kafka (“Noi siamo a guardia della Legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo”) fino all’Edipo Re e all’Antigone (“Il popolo è minorenne, la città è malata, ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere”) magari passando per Voltaire (Candide, Zadig...). Moltissime anche le somiglianza con “Todo modo” di Sciascia, soprattutto quando si parla del Potere e del suo vero fine.
Le ultime frasi, però, sono proprio Orwell:
George Orwell, da “1984”:
S'avvicinò al letto. « Per sempre» disse. « E ora prendiamo in esame la questione del "come" e del "perché". Tu ti rendi conto benissimo come il Partito mantiene se stesso al potere. Ora dimmi un po' perché ci teniamo cosí stretti al potere? Quale ne è la ragione? Perché vogliamo il potere? Su, parla» aggiunse, mentre Winston rimaneva zitto.
Ma Winston non disse niente ancora per un minuto o due. Una sensazione d'immensa stanchezza l'aveva invaso. Un debole e folle lampo d'entusiasmo tornò nello sguardo di O'Brien. Winston sapeva già quel che O'Brien avrebbe detto. Avrebbe detto che il Partito non ricercava il potere per i suoi propri fini, ma soltanto per il bene della maggioranza; che ricercava il potere perché gli uomini in massa sono deboli e vili creature che non sanno sopportare la libertà o rendersi conto della verità e debbono essere governate e sistematicamente ingannate da altre persone che siano piú forti di esse; che per l'uomo c'è una sola alternativa: di scegliere, cioè, tra la libertà e la felicità, e la maggior parte degli uomini tra le due preferisce la felicità; che il Partito era una sorta di tutore permanente dei deboli, una setta che si dedicava a compiere il male in modo da preparar l'avvento del bene, che sacrificava la propria felicità a beneficio di quella degli altri. La cosa piú terribile, pensò Winston, sarebbe stata che O'Brien, una volta dette quelle parole, ci avrebbe creduto. Gli si sarebbe potuto leggere in faccia. O'Brien sapeva ogni cosa. Sapeva mille volte meglio di Winston che cos'era realmente il mondo e in quale degradazione vivevano le masse di individui, e con quali specie di menzogne e di barbarie il Partito ve li manteneva. Tutto aveva capito, tutto aveva pensato, e nulla contava piú: tutto era perfettamente e totalmente giustificato dal fine supremo. Che cosa si può, pensava Winston, contro un pazzo che è piú intelligente di noi, che si degna di ascoltare i nostri argomenti, e che quindi persiste nella sua pazzia?
« Voi ci governate per il nostro bene » disse Winston a voce bassa. « Voi credete che gli uomini non sono capaci di governarsi da sé, e quindi... »
Diede un balzo e quasi mise un grido. Un brivido di dolore gli era passato attraverso il corpo. O'Brien aveva spinto la leva del quadrante fino al trentacinque.
« Questa risposta è stupida, Winston, proprio stupida! » disse. « Stupida, e lo sai benissimo; m'aspettavo di meglio da te. »
Lasciò andare la leva e continuò:
« Ora risponderò io stesso alla mia domanda. Sta a sentire. Il Partito ricerca il potere esclusivamente per i suoi propri fini. Il bene degli altri non ci interessa affatto; ci interessa soltanto il potere. Né la ricchezza, né il lusso, né una vita lunga, né la felicità hanno un vero interesse per noi; ci interessa soltanto il potere, il potere puro. Ti dico subito ciò che significa potere puro. La differenza tra noi e le oligarchie del passato consiste in questo, che noi sappiamo quel che facciamo. Tutti gli altri, anche quelli che ci rassomigliarono piú da vicino, erano tutti vili e ipocriti. I nazisti tedeschi e i comunisti russi si avvicinarono molto ai nostri metodi, ma non ebbero mai il coraggio di dichiarare apertamente i loro motivi, le loro ragioni. Essi pretesero, e forse perfino credettero, d'essersi impadroniti del potere contro la propria elezione e iniziativa, e per un tempo limitato, e che all'angolo della strada ci fosse un paradiso nel quale gli uomini potessero essere liberi e uguali. Noi siamo tutt'altra cosa. Noi sappiamo benissimo che nessuno s'impadronisce del potere con l'intenzione di abbandonarlo in seguito. Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell'intento di salvaguardare una rivoluzione, ma si fa una rivoluzione nell'intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere. Cominci a capirmi, ora?»
(George Orwell, da “1984”, parte terza capitolo III)
(continua)

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