martedì 1 maggio 2012

Le mani sulla città ( II )

Le mani sulla città (1963) Regia di Francesco Rosi. Sceneggiatura di Francesco Rosi, Raffaele La Capria, Enzo Forcella, Enzo Provenzale. Fotografia: Gianni Di Venanzo. Musica: Piero Piccioni. Con Rod Steiger, Salvo Randone, Guido Alberti, Marcello Cannavale, Carlo Fermariello, Angelo D'Alessandro, Dany Paris (105 minuti)

In “Le mani sulla città” la città è Napoli, ben identificata e facilmente riconoscibile; ma i nomi dei personaggi sono tutti di fantasia, e i partiti sono indicati in modo generico come destra, centro, opposizione. I motivi sono chiari: eventuali querele avrebbero impedito al film di uscire nei cinema. E’ comunque tutto ben riconoscibile, a Napoli in quegli anni governava la DC e dal 1951 al 1958 il sindaco fu Achille Lauro, uomo ricchissimo, leader di un partito monarchico e vicino al MSI, cioè ai neofascisti. Napoli era forse l’unico posto dove gli ex fascisti governavano ancora, ed è importante farlo notare perché al MSI non fu mai vietato di presentarsi a nessuna elezione fin dal 1948 (l’amnistia verso i fascisti porta la firma di Palmiro Togliatti, capo politico del PCI e ministro della Giustizia nei primi governi del dopoguerra).
Nel film di Rosi non c’è nessun politico che somigli apertamente a Lauro, ma è ben chiaro di chi si sta parlando, e lo era ancora di più nel 1962. Il “cattivo” del film, già presente in consiglio comunale, è uno speculatore edilizio probabilmente vicino alla camorra, che si chiama Nòttola ed è interpretato da un grande attore americano, Rod Steiger: già famoso a Hollywood, molti lo ricorderanno nella parte del messicano protagonista di “Giù la testa” di Sergio Leone (Per inciso, “nòttola” è anche il nome di un pipistrello).
Nella parte iniziale del film, Nottola lascia la destra e si candida con il centro. Il primario dottor Balsamo (attore Angelo D’Alessandro) va dal suo capo politico, il professor De Angelis (Salvo Randone) per dirgli che vuol dare le dimissioni, lui con uno così non ci vuole stare. De Angelis, futuro sindaco, lo riceve nella sua splendida villa piena di capolavori d’arte, e gli fa un bel discorso.
De Angelis: La questione non si pone in termini morali. La esamini dal punto di vista politico, perché bene o male Nottola e i suoi compagni sono ancora una forza, ed è indispensabile per noi portarli dalla nostra parte.
Balsamo: Indispensabili a chi?
De Angelis: Ma per non farci perdere la maggioranza, no?
Balsamo: Va bene, prenderemo la maggioranza. Ma in questo caso ci ritroveremo tutti nello stesso calderone e non potremo più alzare un dito contro nessuno. Nottola non cambia, lo sanno tutti chi è; e proprio noi ce lo dobbiamo dimenticare? Come possiamo pretendere di guidare l’opinione pubblica, se apriamo le braccia a gente come quella?
De Angelis: Caro Balsamo, l’opinione pubblica la facciamo noi. Un grande partito come il nostro i Nottola li può digerire quando vuole. Ma pensi piuttosto alla responsabilità che si assume un uomo politico di fronte a questo dilemma: lei può cambiare la situazione da così a così, e non lo fa per una questione di incompatibilità morale. E il bello è che lei facendo così non distrugge i Nottola, fa solo finta che non esistano.
Balsamo: Lei parla come se il potere fosse tutto. (...)
De Angelis: Caro Balsamo, in politica l’indignazione morale non serve a niente. L’unico grave peccato sa quale è? E’ quello di essere sconfitti.
(dialoghi da “Le mani sulla città”, scritti da Raffaele La Capria e Francesco Rosi)
Balsamo accetterà via via tutti i compromessi, anche se all’inizio era un duro oppositore della speculazione edilizia ed era d’accordo con la sinistra; alla fine del film, la costruzione di una grande chiesa (o di un ospedale) metterà tutti d’accordo.
Gli autori del film, Rosi con La Capria e Forcella, presentano nel consiglio comunale una destra (MSI di Lauro?) un centro (la DC; forse Balsamo è un PLI o PRI) e una sinistra molto agguerrita (PCI). Però, dopo aver visto il comportamento di Balsamo, viene da pensare ad una profezia o previsione avverata, se si guarda agli anni tra il 1992 e il 2012 le differenze col film sono più che altro negli abiti, nelle automobili, negli arredi, e negli oggetti.
Non saprei dire se Rosi crede davvero nel ruolo positivo dell’opposizione: penso di sì, trattandosi del 1962 il PCI non aveva mai governato a Napoli, era tagliato fuori da ogni decisione e non aveva il minimo potere decisionale. In ogni caso, l’atmosfera del film è così pesante e senza speranza che diventa quasi obbligatorio cercare dei personaggi positivi, almeno uno deve pur esserci. Rosi non fa comunque concessioni, l’attore che interpreta il capogruppo dell’opposizione non è né bello né famoso, non ha niente a che vedere con il carisma e la presenza scenica di due attori come Salvo Randone e Rod Steiger, e si limita a constatare quello che succede, una cosa che possiamo fare anche noi e che anzi Rosi sembra invitarci a fare. Guardate la realtà, uscite di casa, andate a piedi o con i mezzi pubblici, non tappatevi le orecchie e tenete gli occhi ben aperti sul mondo, mettete in discussione quello che vi viene detto e abituatevi a pensare con la vostra testa: è questo il vero messaggio del film.
Il consigliere comunale della sinistra si chiama De Vita (attore Carlo Fermariello). A lui tocca il discorso finale, nel dibattito nella salla del Comune:
De Vita: ...invece qui le cose stanno cambiando. E sempre, in una società, quando le cose stanno cambiando, c’è qualcuno che cerca di arraffare tutto quello che è possibile, senza preoccuparsi dei bisogni e delle speranze della povera gente, che non è solo quella che vive nelle catapecchie...
De Vita continua, e Rosi-La Capria gli affidano un bel po’ di speranza. Ma il finale la nega, e dopo i titoli di coda appare questa didascalia: «I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce.»
Con le leggi attuali, per Edoardo Nottola sarebbe tutto molto più facile. Si farebbe la sua lista civica e gli elettori lo farebbero sindaco; oppure fonderebbe un suo partito, lo chiamerebbe Lega Cosa o Forza Cosa, e non avrebbe bisogno di appoggiarsi a nessuno (tristissima conclusione mia, ma anche di Rosi: vedi l’intervista a Repubblica del 2007, dalla quale ho riportato un estratto).
“Le mani sulla città” è scritto da Francesco Rosi con altri tre autori importanti, che non sono sceneggiatori di cinema: Raffaele La Capria è un ottimo scrittore (molto bello “Ferito a morte”), Enzo Forcella un giornalista della Rai, autore di bei programmi e di inchieste molto ben fatte, e un altro giornalista, Enzo Provenzale.
Il film somiglia un po’ a “Corruzione al Palazzo di Giustizia” di Ugo Betti, un testo teatrale molto importante che andrebbe riletto con attenzione, ma è meno claustrofobico e ha un taglio molto più documentario.
Visto oggi, “Le mani sulla città” fa più impressione dei film di Dracula: “Siete voi che li avete votati!”, grida De Vita agli sfrattati, ed è una terribile verità. Siamo noi che li votiamo, i Bossi e i Formigoni, i Prosperini e gli Abelli...
«Il vecchio muore e il nuovo non può nascere, e in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati»
(Antonio Gramsci, citato da Joseph Losey per il “Don Giovanni” di Mozart)
Bossi come Lauro
Achille Lauro è stato sindaco di Napoli, tra gli anni ’50 e gli anni ’60. Godeva di enormi consensi, e fece costruire ovunque: un’enorme colata di cemento. Gran parte dei problemi di Napoli nascono da quel periodo, da Achille Lauro sindaco; quelli che vennero dopo di lui trovarono la strada spianata dall’enorme consenso da lui goduto, ne continuarono l’opera, e i risultati si vedono oggi. Lauro era una figura mitica, missino e monarchico, ricchissimo armatore, è rimasto nella leggenda il suo metodo per accertarsi che i napoletani più poveri lo votassero: prima del voto gli regalava la scarpa sinistra, a conteggio effettuato gli regalava anche la scarpa destra. Oggi si usano metodi più sofisticati, e per fortuna nessuno di noi è così povero da dover elemosinare un paio di scarpe (speriamo che duri); però più mi guardo in giro e più trovo che questa mia povera Lombardia ha finito per fare la fine della Napoli degli anni ’50. Il governo lombardo-romano, cioè Umberto Bossi con Silvio Berlusconi (ebbene sì, a Roma ci sono solo lombardi al governo: non ve n’eravate accorti?) a furia di condoni edilizi e di leggi sull’aumento delle cubature ha fatto oggi, in meno di dieci anni, quello che fece Achille Lauro ai suoi tempi: arricchirsi personalmente e rendere un inferno quotidiano la vita degli abitanti di questi sfortunati luoghi. Il tutto fra il plauso generale, e con grande consenso elettorale: proprio come Lauro. Vi sembra un’esagerazione? Provate a prendere una strada qualsiasi, in un’ora di punta, in Lombardia: fino a dieci anni fa, questi ingorghi capitavano solo in circostanze eccezionali, oggi invece è diventato strano non trovarli. Tutto questo, gli ingorghi del traffico ma anche l’inquinamento, la violenza, i problemi con la spazzatura e le discariche, ha una causa precisa: il sovraffollamento. Se si costruisce ovunque, e se dove c’erano seimila persone si costruisce ovunque fino ad arrivare a dodicimila, traffico e spazzatura eccetera diventano la normalità. Nel mio comune di residenza, fino a dieci anni fa gli abitanti erano meno di settemila, ed era così da sempre; oggi siamo arrivati sopra i diecimila, e non è che il territorio comunale si sia esteso, non abbiamo fatto guerre di annessione e di conquista, è che adesso viviamo stipati, tre automobili per famiglia, superstrade nuove, autostrade allargate, parcheggi tutti a pagamento, eccetera eccetera. Tutto questo, con annessi e connessi, non è certo cosa nuova e inaspettata: il primo a parlarne fu Konrad Lorenz, fondatore dell’etologia e premio Nobel per la Medicina, in un libro che fu famosissimo, che è sempre stato ristampato, e che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo: “L’anello di Re Salomone”. Si tratta del capitolo intitolato “Armi e morale”, del quale riporto una pagina (ma ricordo che Lorenz è uno scrittore piacevolissimo, il consiglio è di andarselo a leggere per intero). Il vero soggetto di questo capitolo non è una dolce storia di animaletti in stile documentario per bambini, e non è nemmeno l’aggressività in se stessa: è il sovraffollamento. La mancanza di spazio e la mancanza di cibo sono le principali cause di violenza, e in queste cose noi non siamo diversi dagli animali: eppure si continua a costruire, lo spazio fra le persone è sempre più ristretto ma si progettano grattacieli, si costruiscono “new towns”, e poi ci si meraviglia della violenza. Infinita è la stupidità umana.
«Ancora molto più innocuo che un duello fra due lepri sembrerebbe a prima vista un duello fra due tortore comuni o fra due tortore dal collare: quei dolci colpetti dei piccoli becchi, quel lieve schiaffetto delle tenere alucce fanno un'impressione addirittura commovente, e nessuno mai penserebbe che possano far male per davvero. Una volta, per certi miei motivi, mi proposi di ottenere un incrocio fra la tortora dal collare africana e la tortora comune che è un poco più fragile; presi quindi una tortora maschio cha avevo allevato in casa fin da giovane e la misi in un'ampia gabbia con una tortora dal collare femmina. All'inizio non presi molto sul serio le piccole baruffe che scoppiavano tra i due futuri sposi: come avrebbero potuto farsi male l'un l'altro, questi prototipi dell'amore e della mitezza? Me ne andai quindi a Vienna tutto tranquillo, ma rincasando il giorno dopo mi trovai di fronte a uno spettacolo orrendo. La tortora nostrana giaceva a terra in un angolo della gabbia, e aveva la nuca, il collo e tutto il dorso fino alla radice della coda non solo completamente spennati, ma anche talmente martoriati che formavano un'unica sanguinolenta ferita. Ritta nel mezzo di questa piaga, come un'aquila china sulla preda, stava l'altra colombella della pace, che con l'espressione trasognata che la fa apparire tanto simpatica all'osservatore con tendenze antropomorfiche, continuava senza posa a frugare col becco nelle ferite del suo povero, soggiacente compagno. Se questo con le sue ultime forze tentava di risollevarsi e di reagire, essa subito lo aggrediva di nuovo, sbattendolo al suolo con le tenere alucce, e proseguiva poi implacabile nel suo lento e micidiale lavorio, pur essendone già così stanca da non riuscire a tener aperti gli occhi. Eccettuati alcuni pesci, che nella lotta giungono addirittura a scorticarsi, non ho mai visto sul corpo di un vertebrato piaghe così orribili provocate da un membro della sua stessa specie. (...)» (Konrad Lorenz, da “L’anello di Re Salomone”, pag.134 ed. Oscar Mondadori 1977)
Lorenz prosegue mostrando il comportamento di altri animali ritenuti feroci, ma in natura, all’aperto: quando c’è spazio, quando c’è possibilità di andare altrove, di prendere su e andare da un’altra parte, nemmeno i lupi più feroci fanno del male al loro prossimo. Lo spazio, la possibilità di muoversi, di andare altrove: tutto questo è stato dimenticato, si è pensato solo al modo di far soldi per se stessi. Come le bestie, verrebbe da dire...
(Giuliano, cioè io, dal blog deladelmur, anno 2011)

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