lunedì 10 ottobre 2011

Marco Ferreri ( II )

El cochecito
“El coche” in spagnolo (stessa etimologia di “cocchio, cocchiere”) è il carro, l’automobile: si parla dunque di una carrozzina, del tipo che usano gli handicappati per spostarsi. Il protagonista del film è anziano ma in buona salute, e benestante; però quando vede che un suo amico paralizzato si è comperato una bellissima carrozzella a motore (quasi una moto) muore d’invidia e ne vorrebbe una anche lui. Il figlio, un ricco avvocato, un po’ per tirchieria e un po’ per elementare buon senso (se non è malato, a cosa serve la carrozzella?), non gliela vuole comperare e da qui nascono molte conseguenze, alcune di puro divertimento altre che fanno molto riflettere. L’ho visto due volte, una molti anni fa e una di recente: la seconda volta, l’inverno scorso, appena finito di guardare il film sono andato sul balcone e ho visto passare una carrozzina molto simile a quella del film, anche se moderna. Dev’essere qualcuno che abita qui vicino, ho pensato: ma poi non l’ho più rivista...
«Un Ferreri di buona mano, di quando era giovane e diretto e non aveva smarrito la sua bella vena grottesca (forse si prendeva meno sul serio, chissà). Josè Isbert sembra il vecchietto dei fumetti di Lunari, il soggetto è di Rafael Azcona.» (settembre 1993)
«Rivedendo El cochecito, storia del vecchietto che vuole anche lui la carrozzina a motore anche se non è un handicappato, mi sono segnato un po’ di cose che, viste da oggi, fanno pensare: prima di tutto, il venditore che suggerisce al protagonista di “mettere suo figlio davanti al fatto compiuto” (il figlio, avvocato, era contrario alla spesa, oltretutto inutile); poi lo stesso venditore che dice “nel Duemila nessuno userà più le gambe, tutti andranno a motore”: una battuta che nel 1959 poteva essere spiritosa, oggi è agghiacciante. E forse questo venditore è proprio il diavolo, il Mefistofele del film: un altro tema di grande attualità, farti desiderare e venderti a caro prezzo qualcosa di cui in realtà non hai bisogno. Per il resto, film molto datato (va da sè) ma molto ben scritto da Rafael Azcona, e con un doppiaggio italiano eccellente, soprattutto per il protagonista (chi è il doppiatore?).» (febbraio 2011)
L’udienza
Uno dei miei film preferiti tra quelli di Ferreri, anche perché è un bel po’ stralunato, come Jannacci del resto. Non sono sicuro che sia un film perfettamente riuscito, ed ha anzi molti difetti, ma lo rivedo sempre volentieri. Oltretutto, mi fa sempre un gran piacere rivedere Papa Giovanni (quello vero, Angelo Roncalli, Giovanni XXIII e non le imitazioni): spero sempre che arrivi un Giovanni XXIV, e in casi come questi si può anche pregare che succeda. Per un ritorno di papa Roncalli anche io spero, e prego.
Di questo film ho già parlato per esteso, qui nel blog: nel 1993 mi ero segnato questo appunto: «Ha un Tognazzi “di spalla” strepitosamente bravo, una delle sue cose migliori. Il film parte bene ma poi s’impegola, della storia d’amore se ne poteva fare a meno (sembra messa lì solo perché c’era la Cardinale) o quantomeno tagliarla un po’. E dunque, o il film è troppo lungo o (visto che nel frattempo ci nasce un bambino) è troppo corto in rapporto al tempo “reale” al suo interno. Insomma, un film che litiga col tempo. Curioso il personaggio del sosia di Papa Giovanni. Gassman fa uno dei suoi personaggi “cialtroni” preferiti, il principe. Piccoli e Cuny sono due alti prelati, Jannacci e la Cardinale sono due protagonisti bravi ma un po’ sottotono, o forse sbiadiscono un po’ di fianco a tanti grandi attori.» (settembre 1993)
Marcia nuziale
E’ in quattro episodi, tutti con Tognazzi protagonista, ed è probabilmente il film più invecchiato tra quelli di Ferreri: l’unico ancora interessante è l’ultimo.
Nel primo episodio, due cani bassotto vengono “sposati” dai rispettivi proprietari, che ne parlano come se fossero loro figli; nel secondo, Tognazzi ha moglie e figlio e suocera, sta bene ed è contento ma in questa situazione da padre di famiglia non riesce più a fare sesso. Nel terzo si finge di essere in Usa, dove Tognazzi ha una moglie molto bella ed elegante che gli vuol bene ma che vede il sesso quasi come una pratica igienica, e che lo porta a sedute collettive gestite da un pastore protestante. A casa del pastore si parla di sesso in ambito matrimoniale, incontri studiati per migliorare la vita affettiva dei fedeli; qui Tognazzi finirà per farsi la moglie del pastore, che del resto è già per conto suo disponibilissima. Nel quarto episodio, ambientato nell’arcipelago toscano a Giannutri e che si immagina sia nel 1999 (cioè nel futuro) ci si sposa con automi-manichini, e il sesso in questo modo crea meno problemi, o almeno così parrebbe. Quest’ultimo episodio è interessante per come è stato realizzato, per la divagazione nel fantastico-fantascientifico, più che per l’argomento in sè; Tognazzi vi interpreta un teologo, sposato con un modello di automa ormai un po’ datato, fuori moda, che vuole “toccare” la giovane moglie (un altro manichino) di proprietà di un altro signore che si è appena sposato. Si constata tristemente che la sposa di Tognazzi è un modello B, mentre siamo ormai arrivati alla Z, che è molto ma molto meglio.
Insomma, non so come fosse nel 1964, visto oggi “Marcia nuziale” appare molto invecchiato. Le attrici del film sono tutte molto brave e molto belle, ma i loro nomi mi dicono poco o niente.
(continua)

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