venerdì 30 ottobre 2009

Full metal jacket


Full Metal Jacket (1987) Regia di Stanley Kubrick. Dal romanzo “Nato per uccidere” di Gustav Hasford. Sceneggiatura: Stanley Kubrick, Michael Herr, Gustav Hasford,. Fotografia: Douglas Milsome. Musica: canzoni originali anni ’60. Musiche originali di Abigail Mead. Effetti speciali: John Evans. Interpreti: Matthew Modine (soldato Joker), Lee Ermey (sergente istruttore Hartman), Vincent D'Onofrio (soldato Pyle), Adam Baldwin (Animal Mother), Arliss Howard (soldato Cowboy), Dorian Harewood (Eightball), Kevyn Major Howard (Rafterman), Ed O'Ross (tenente Touchdown), John Terry (tenente Lockhart), Ngoc Le (ragazza cecchino). Durata: 116 minuti

Stanley Kubrick faceva film per il cinema. In passato, sarebbe stata una battuta così ovvia da far quasi ridere, ma non è più così. Oggi i film si fanno per la tv, e (purtroppo) Kubrick pare un dinosauro.
Vedere "2001 Odissea nello spazio" in tv è sempre una sofferenza, per esempio; e "Barry Lyndon" , così lento e ben rifinito in ogni piccolo particolare, è quanto di più antitelevisivo si possa immaginare. Ricordo poi l'impressione che mi fece "Full metal jacket" , il suo ultimo film completo (ad "Eyes wide shut", a mio parere, manca ancora il taglio finale: è un film quasi finito). Ho avuto anche la fortuna di vederlo in lingua originale, a metà anni '80, al cinema: il primo tempo è un martellamento continuo, con l'istruttore dei marines che ti grida nelle orecchie per tre quarti d'ora. Alla fine, si capisce perché il ragazzo protagonista impazzisce e spara: prima al sergente, poi a se stesso. E' come se il lavaggio al cervello l'avessero fatto a te, allo spettatore. La seconda parte del film è la logica conseguenza della prima: ormai i ragazzi sono stati addestrati ad uccidere, e lo fanno. Il sergente istruttore ha svolto bene la sua missione, anche se gli è costata la vita. Si tratta di un film duro, ma il messaggio di Kubrick è chiaro; ancora più chiaro era stato in "Orizzonti di gloria", un quarto di secolo prima, e anche nel "Dottor Stranamore".
Ma poi "Full metal jacket" è finito nella programmazione televisiva. Il film è stato fatto a pezzi, e ad ogni quarto d'ora di film corrispondeva un quarto d'ora di pubblicità. Cos'è rimasto del messaggio di Kubrick, del bombardamento selvaggio e scientifico del sergente istruttore? Proprio niente: "Full metal jacket" è diventato un banalissimo film di guerra, più violento e più brutto di tanti altri. La stessa sorte, in tv, è toccata a "Shining" e ad "Arancia meccanica".
Ma il problema non è la tv, è il modo in cui questi film vengono trasmessi. Chi si ricorda ancora i lamenti (di dolore!) di Fellini quando vide i suoi film scempiati dalle prime programmazioni su Canale 5 ? Chi si ricorda ancora che vent'anni fa fu necessaria una legge varata dal Parlamento (con tutto quello che c'era da fare...) per impedire che i tagli fossero ogni 5 minuti, e almeno un po' studiati per evitare interruzioni brusche?
Penso a queste cose ogni volta che vedo in tv il “bollino rosso”: dice che adesso non ci sono più pericoli, e che la tv è più sicura. Il bollino di Canale 5 o la farfallina rossa della Rai io li vedo come simboli dell’ipocrisia e della mancanza di buonsenso di chi ci governa. Vedete come siamo stati bravi? sembrano dire i dirigenti tv. Che tristezza: prima dell'arrivo delle televisioni commerciali queste cose non erano necessarie. Non servivano: negli anni '70 e nei primissimi anni '80 i film si vedevano come al cinema, e senza nessuna interruzione si era costretti a seguire il discorso dell’autore; e in prima serata arrivavano i film migliori, magari con un po' di ritardo perché c'erano ancora i cinema di seconda visione e i cineforum. E, soprattutto, i film violenti in tv non ci arrivavano proprio: né quelli brutti né quelli d'autore. Ma erano altri tempi, per l'appunto... Chi se li ricorda più?

Quando penso a Full Metal Jacket, di solito il discorso che mi viene in mente è questo: che io non ho fatto il servizio militare, ma che se lo avessi fatto molto probabilmente sarei stato come il soldato Pyle. Gli somiglio anche un po’ fisicamente. La differenza fondamentale è questa: Leonard Pyle è un ottimo tiratore, io invece non ho fatto il militare perchè, pur abile e arruolato, ero molto miope e portavo lenti spesse e pesanti. Con la riduzione dei contingenti, operata proprio quando io avevo vent’anni, molti della mia leva sono rimasti a casa; e dei miopi con dieci diottrie l’esercito può ben fare a meno.
Detto questo, il destino finale di Pyle è terribile: è un ragazzo buono e gentile, ma l’addestramento lo fa diventare un assassino. Guai a chi va a provocare i miti, insomma: per un po’ lasciamo fare, ma poi si sbotta. E, se si sbotta avendo un’arma in mano, questi sono i risultati. Però è stato fatto giustamente notare che in questo modo il sergente vince la sua partita, sia pure a caro prezzo: perché un soldato in guerra DEVE essere preparato a uccidere. Altrimenti, che soldato è? Si farà spazzare via alla prima ondata, e non va bene. Il discorso vale ancora di più per un marine.
“Born to kill”, “nato per uccidere”, è il titolo originale del libro, basato su esperienze personali, dal quale Kubrick ha tratto il film: l’autore si chiama Gustav Hasford ed ha collaborato alla sceneggiatura. Il soldato Pyle non era nato per uccidere, da qui il disastro. Gli altri, chissà: sono sopravvissuti all’addestramento, ma è nei casi estremi che scopriamo la nostra vera natura; forse è per questo che Matthew Modine, protagonista e narratore, porta sul casco il simbolo pacifista e il motto “Born to kill”, uno accanto all’altro come due facce della stessa medaglia. Del resto, la follia è compagna di strada dei militari: molti di loro se la sono portata a casa, e le cronache ne hanno purtroppo parlato – non solo in USA ma anche da noi, come nel caso del tiratore scelto che aveva in casa un arsenale e che si mise a sparare sui passanti (poco fuori Roma, un paio d’anni fa).
A questo punto, vengono a galla le analogie con altri film di Kubrick, in primo luogo con “Arancia Meccanica”. E’ del libero arbitrio che si sta discutendo, e dei condizionamenti, più o meno occulti, che subiamo dalla società in cui viviamo e dal nostro prossimo. Alex, il protagonista di “Arancia Meccanica”, è l’esatto opposto di Pyle: nasce violento e viene “rieducato” ad odiare la violenza.
E diventa fondamentale un altro quesito, che riguarda direttamente noi. Kubrick passa per essere stato un cantore della violenza, ma non era certo questo il suo intento (il suo parere e quello di Anthony Burgess, autore di “Arancia Meccanica”, sono qui in archivio) e basterà pensare a “Spartacus” o a “Orizzonti di gloria”.
Scrivendo di “Arancia Meccanica” mi sono trovato a chiedermi: perchè ci viene spontanea l’identificazione con Alex, e non con una delle sue vittime? Perché non riusciamo ad assumere il punto di vista dello scrittore, che giace per terra e assiste alle violenze sulla moglie? Qui, in “Full Metal Jacket”, la domanda potrebbe essere: perché la vera star di questo film è diventata il sergente dei marines?
Qui c’è qualcosa che non funziona. E’ vero che la maestria tecnica e narrativa di Kubrick crea immagini di violenza molto forti e molto suggestive, ed è anche vero che Kubrick appare spesso ambiguo; ma se si va a guardare bene, nel film le immagini di violenza sono relativamente poche, questo non è un film di Rambo e sequenze di altro tipo ce ne sono molte. Quando Kubrick girò Shining, molti patiti dell’horror e di Stephen King rimasero delusi per lo stesso motivo: le scene horror vere e proprie non sono molte, non vediamo nemmeno un centesimo degli squartamenti presenti in altri film del genere; eppure le poche scene veramente horror in “Shining” rimangono impresse fortemente e non si dimenticano. Kubrick era una persona mite, appassionato al suo lavoro e alla famiglia; chi ha visto “Orizzonti di gloria” sa quale era la sua opinione su guerra e violenza. Ed anche qui, in Full Metal Jacket, per chi voglia vedere il film fino in fondo, fino alla marcia di Topolino, e non solo le sequenze che gli fanno comodo, la sua opinione è chiara
Tanti anni fa mi capitò di leggere una riflessione fatta davanti a una foto presa dai lager nazisti. Ci si chiedeva: voi chi vorreste essere, l’ufficiale SS in divisa, elegante pulito e ordinato e armato, oppure il prigioniero lacero, nudo, magro e sporco?
Insomma, vorreste essere chi picchia o chi è picchiato? La fascinazione verso il mondo nazista che alcuni provano, in fin dei conti, è tutta qui: ed è una riflessione che dà i brividi. E’ la stessa riflessione che si può fare davanti a un film di Kubrick: voi chi vorreste essere, il soldato muscoloso e ben nutrito che uccide, o il vecchio del villaggio vietnamita con la sua famiglia? Voi chi vorreste essere, l’Alex di Malcolm McDowell o una delle sue vittime? La risposta, forse, si può trovare in Konrad Lorenz, “L’anello di Re Salomone”: per queste ricerche lo scienziato fondatore dell’etologia vinse il Nobel per la Medicina, e non è cosa da poco.

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