The dead (I morti, 1987) Regia di John
Huston. Tratto da "Dubliners" di James Joyce. Sceneggiatura
di Tony Huston. Fotografia di Fred Murphy. Musiche a cura di Alex
North. Interpreti: Donal Mc Cann, Anjelica Huston, Helena Carroll,
Cathleen Delaney, Donal Donnelly, Rachel Dowling, Ingrid Craigie, Dan
O'Herlihy, Richard Parkinson, Marie Kean, Sean Mc Clory, Frank
Patterson. Durata: 83 minuti
"The dead", tratto da un
racconto di James Joyce, è l'ultimo film di John Huston, ed è anche
uno dei capolavori assoluti nella storia del cinema, ma dovete
metterci qualcosa del vostro per capirlo. Non è un film facile, così
come non è facile il racconto di Joyce (tratto da "Dubliners",
in Italia tradotto spesso come "Gente di Dublino") ma se ce
l'ha fatta uno come me ce la può fare chiunque. Coraggio, si può
fare.
Siamo a Dublino nel 1904, a una cena
organizzata da due zie molto anziane, una riunione di famiglia in
ambiente benestante, dove convengono caratteri diversi e dove non
manca la questione politica, perché in Irlanda a inizio Novecento
c'erano in ballo questioni che pesano ancora oggi. Ma il clima è
comunque disteso, nessuno vuole fare torto alle zie, tutto rimane
sottotraccia. Filo conduttore delle varie vicende è la coppia di
sposi interpretata da Anjelica Huston e Donal Mc Cann; il finale è
dedicato a loro ed è toccante, con il ricordo di un ragazzo morto
tanti anni fa, che si era innamorato di lei, e il monologo finale del
marito, tagliato fuori da quel ricordo lontano e straziante. La
canzone che evoca questo ricordo è "The Lass of Aughrim"
("La fanciulla di Aughrim") cantata alla festa dal tenore
Bartell d'Arcy; è lo stesso attore Frank Patterson a cantarla, molto
bravo). Nel corso della festa ascoltiamo anche, un po' straziata
dalla voce senile della zia, un'aria che viene presentata come
"Arrayed for the Bridal" e spesso tradotta alla lettera
nelle varie recensioni; si tratta di "Son vergin vezzosa",
inizio di un concertato dall'opera "I Puritani" di Vincenzo
Bellini. A cantarla, meglio che può, è la stessa attrice Cathleen
Delaney. Nel corso del film si ascoltano molte battute dedicate all'opera e al teatro, bisognerebbe scrivere un post per ricapitolarle tutte.
Tutti gli attori sono perfetti: sono
protagonisti del teatro irlandese e quindi poco noti al grande
pubblico, a parte Anjelica Huston. Merita una citazione l'attore che
interpreta Freddy (Donal Donnelly) sempre ubriaco, ma dolce e
simpatico. La regia del "rozzo" Huston è di grande
delicatezza e profondità (non è una novità, la rozzezza di Huston
era solo una maschera). John Huston, americano di nascita, abitava da
decenni in Irlanda e ne aveva preso anche la cittadinanza; "The
dead" è stato girato da Huston già molto malato, assieme ai
due figli Tony (autore della sceneggiatura) e Anjelica (protagonista
del film). Il film è molto fedele al racconto, anche se con qualche
libertà, ben descritta a suo tempo dall'ottimo critico Mario Sesti:
da wikipedia:
«The Dead è un capolavoro di
fedeltà al testo, o meglio uno straordinario modello di lucidità e
strategie nel passaggio dalla letteratura al cinema. (...) Anche per
chi conosce piuttosto bene il racconto, è molto difficile notare le
aggiunte, le dilatazioni, i prestiti illeciti, perché essi sono
praticati in quella sfera intermedia che potremmo chiamare
“immaginario” del testo che non appartiene più semplicemente al
testo ma al lavoro che il lettore vi ha prodotto con la sua lettura e
il deposito di scena che esso ha generato nella memoria del lettore
stesso.»
Mario Sesti, Cineforum, n. 270,
dicembre 1987 (da www.wikipedia.it)
A mio parere il racconto più bello dei
"Dubliners" è "Arabia", dove mi sono
riconosciuto e mi sono rivisto come ero ("Arabia" è il
nome di una fiera di inizio secolo, sempre a Dublino). Rileggo il
finale in Joyce, e penso che anch'io sto pensando le stesse cose; non
c'è fuori la neve, solo questa è la differenza. Riporto qui il
finale del racconto, è la cosa migliore che si possa fare.
Si era profondamente addormentata. Appoggiato sui gomiti Gabriel le guardò
per alcuni istanti, senza rancore, i capelli scomposti, la bocca
semichiusa e ne ascoltò il respiro profondo. Dunque c’era un
romanzo nella sua vita: un uomo era morto per lei. Quasi non gli
doleva adesso pensare alla. parte meschina che lui, il marito, vi
aveva avuto. La guardava dormire come se mai fossero vissuti insieme
da uomo e donna. Incuriositi, gli occhi s’attardarono a lungo sul
suo viso, sui suoi capelli; e, pensando a quella che doveva essere
stata allora, all'epoca della sua prima bellezza di fanciulla, una
strana, dolce pietà per lei gli penetrò l’anima. Non voleva
confessarlo nemmeno a se stesso che quel viso non era più bello; ma
certo non era più il viso per il quale Michael Furey aveva sfidato
la morte.
Forse non gli aveva detto tutto. Portò
gli occhi alla sedia su cui ella aveva buttato alcuni dei suoi
indumenti. Il laccio di una sottana pendeva sul pavimento, uno
stivaletto stava in terra ritto, il gambale floscio ripiegato, e il
compagno gli giaceva accanto su un fianco.
Lo meravigliava quel disordine di
emozioni, un’ora prima. Da dove era nato? Dalla cena delle zie, dal
proprio sciocco discorso, dal vino e dal ballo, dall'allegria di
quegli ultimi saluti nell’atrio, dal piacere della passeggiata
lungo il fiume, sulla neve. Povera zia Julia! Anche lei presto
sarebbe stata un'ombra con l'ombra di Patrick Morkan e il suo
cavallo. Per un attimo le aveva visto in viso quell'aspetto di larva
mentre cantava Adorna per le nozze. Presto forse si sarebbe trovato
seduto in quello stesso salotto, vestito di nero, la tuba sulle
ginocchia: le imposte sarebbero state accostate e zia Kate seduta
accanto a lui, piangendo e soffiandosi il naso, gli avrebbe
raccontato com’era morta. Si sarebbe torturato il cervello allora
per trovare qualche parola che potesse consolarla e ne avrebbe
trovato solo di goffe e inutili. Sì, sì, sarebbe accaduto molto
presto.
L’aria della stanza gli gelava le
spalle. Si allungò adagio sotto le coperte accanto alla moglie. Ad
uno ad uno tutti si sarebbero mutati in ombre. Meglio trapassare
baldanzosi nell’altra vita, nel piano della passione, che appassire
e svanire a poco a poco nello squallore degli anni. Pensò a come
colei che gli giaceva a fianco avesse serbato così a lungo in cuor
suo l’immagine degli occhi del suo innamorato quando le aveva detto
che non desiderava di vivere.
Lacrime generose gli gonfiarono gli
occhi. Non aveva mai provato nulla di simile per nessuna donna, ma
sapeva che quello doveva essere veramente amore. Più fitte le
lacrime gli velarono gli occhi e nella semioscurità immaginò la
figura di un giovane in piedi sotto albero gocciolante di pioggia.
Altre figure gli erano accanto. L’anima sua s’avvicinava alle
regioni abitate dalla immensa folla dei morti. E pur essendo
cosciente di quella loro illusoria e vacillante esistenza, non
riusciva ad afferrarla. La sua stessa identità svaniva in un mondo
grigio e impalpabile: la stessa solida terra in cui quei morti
avevano un tempo dimorato e procreato, si dissolveva e si
rimpiccoliva.
Un battere leggero sui vetri lo fece
voltare verso la finestra. Aveva ripreso a nevicare. Assonnato
guardava i fiocchi neri e argentei cadere di sbieco contro il
lampione. Era venuto il momento di mettersi in viaggio verso l'ovest.
I giornali dicevano il vero: c’era neve dappertutto in Irlanda.
Neve cadeva su ogni punto dell'oscura pianura centrale, sulle colline
senz'alberi; cadeva lieve sulle paludi di Allen e più a occidente
cadeva lieve sulle fosche onde rabbiose dello Shannon. E anche lì,
su ogni angolo del cimitero deserto in cima alla collina dov'era
sepolto Michael Furey. Si ammucchiava alta sulle croci contorte,
sulle tombe, sulle punte del cancello e sui roveti spogli.
E l'anima gli svanì lenta mentre udiva
la neve cadere stancamente su tutto l’universo, stancamente cadere
come scendesse la loro ultima ora, su tutti i vivi e i morti.
(James Joyce, da "Gente di Dublino
- I morti", ed. Einaudi 1978, traduzione di Franca Cancogni)
(le immagini sono nel mio archivio personale da molti anni, alcune di esse vengono da giornali di quando uscì il film, non saprei più indicarne l'origine)
Nessun commento:
Posta un commento